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Uscite discografiche Agosto 2011: recensioni

Nuovi album di Red Hot Chili Peppers, Lenny Kravitz, Jay Z & Kanye West, Girls, Beirut, The Weeknd e tanti altri

pubblicato 23 Agosto 2011 aggiornato 30 Agosto 2020 20:27


Red Hot Chili Peppers – I’m With You : la quasi trentennale carriera dei RHCP si può riassumere come segue:
Anni ’80 : album importanti ma di poco successo
Anni ’90 : album importanti e di grande successo
Anni ’00 : album poco importanti ma di grande successo
Il quarto decennio di attività non si è aperto nel migliore dei modi con “The Adventures of Rain Dance Maggie“, debole singolo di lancio del decimo disco in carriera (e primo con Josh Klinghoffer alla chitarra): “I’m With You”. A differenza del predecessore, l’album non ambisce a qualcosa più grande della musica contenuta in esso, “I’m With You” infatti è volutamente diretto e compatto e gioca (fin troppo) ad effettuare piccole variazioni sul ben noto tema. Ancora rock/pop tinto di funk (Flea più presente che nelle ultimissime prove) e qualche midtempo un po’ buttata lì ma dal mood in parte inedito per la band (“Brendan’s Death Song”, “Even You Brutus?” o “Meet Me At The Corner”). Un disco con i suoi momenti degni di nota (provate a stare fermi su “Factory Of Faith” o la strofa Zeppelin di “Ethiopia”), in parte penalizzato (oltre che da Rubin) dalla minore personalità (e non solo nella mancanza di assoli) di Josh… ma quello che più contrasta con il loro neanche tanto lontano passato (leggasi “Californication”) è la esasperata e spudorata ricerca della melodia radiofonica, all’epoca spontanea e sicuramente più onesta. L’impressione è quella di un gruppo che ha perso la sua guida compositiva (John Frusciante) e che all’improvviso si è ritrovata a dover “fare i RHCP”, con una maggiore libertà ma senza troppe (buone) idee per la testa. Anni fa sarebbe stato un disco di b-sides… (z.) Voto: 5/6

Beirut – The Rip Tide : sono bastati due dischi (“Gulag Orkestar” del 2006 e “The Flying Club Cup” del 2007) per iscrivere ufficialmente i Beirut nel firmamento dei “grandi”. A quattro anni di distanza, il progetto di Zach Condon sembra voler ricordare a tutti che non c’è solo Bon Iver, rivendicando in parte la paternità di un certo modo di intendere il folk. Le origini (New Messico) vengono messe bene in mostra (“Santa Fe”), ma ancora una volta lo sguardo punta verso l’Europa orientale… uno sguardo più diretto che in passato, ma capace ugualmente di emozionare e di racchiudere dentro di sè lo sconfinato mondo del global-folk. (z.) Voto: 7

Girls – Father, Son, Holy Ghost : lo scanzonato esordio dei Girls (intitolato semplicemente “Album”) era riuscito fin da subito a suscitare clamore, non solo all’interno della scena “druggy” californiana. Il successivo EP “Broken Dreams Club” ha poi tolto ogni dubbio sull’effettivo valore della band di Christopher Owens. Il singolo “Vomit” (un po’ Radiohead e un po’ Pink Floyd) non ha fatto altro che aumentare l’hype attorno a “Father, Son, Holy Ghost”. “Vomit” rimane la prova più compiuta, ma non mancano altre piccole gemme. Un lavoro molto più crepuscolare, riflessivo e maturo (soprattutto dal rock psichedelico di “Die” in poi) rispetto all’esordio. Possono puntare ancora più in alto… hanno già dimostrato di poterlo fare. (z.) Voto: 7+

Lenny Kravitz – Black and White America : dopo i mediocri “Lenny” (2001) e soprattutto “Baptism” (2004), la carriera di Lenny Kravitz sembrava essere arrivata in fondo alla parabola discendente. “It Is Time for a Love Revolution” (2008) riuscì ad invertire lievemente la tendenza. Si chiedeva quindi a “Black and White America” di riportare definitivamente la musica di Lenny su livelli degni di nota. Un disco piuttosto eterogeneo che varia dai pezzi tipicamente “white” (rock e ballads) a quelli tipicamente “black” (funk/r&b) passando ovviamente per il mix dei due mondi, senza però riuscire mai ad uscire dai binari del “già sentito” (spesso e volentieri nel suo repertorio, ma non solo… RHCP, Jamiroquai…). Non c’è nulla di veramente terribile in “Black and White America”, ma neanche nulla in grado di fare la differenza sia all’interno della sua discografia, sia (ovviamente) a livello più generale. (z.) Voto: 5,5

Jay-Z & Kanye West – Watch The Throne : arriva in pompa magna il disco-evento che doveva essere, ed è, pura ostentazione all’ennesima potenza. Anticipato da singoli poco convincenti, in realtà “Watch The Throne” è un album che mostra il suo valore nella sua interezza. I due rapper fanno un po’ quello che vogliono lungo le tracce del disco (presenziano il buon Frank Ocean, il kanye-pupillo Mr.Hudson e la jay z-pupilla Beyonce): abbiamo un Kanye West che dimostra di avere ancora qualche colpo da sparare dopo la raffica di mitra di “My Beautiful Dark Twisted Fantasy” e un Jay-Z sicuramente in forma (con lui è un prenderci…). Da questa collaborazione poteva uscire il rap-masterpiece epocale, così non è stato (ci sono alcuni passaggi deboli), ma non lamentiamoci… poteva anche uscire il pasticcio epocale… e così non è stato. (z.) Voto: 7-

The Weeknd – Thursday : a quattro mesi di distanza dall’ottimo album/mixtape d’esordio (vedi recensione) “House of Balloons”, Abel Tesfaye aka The Weeknd torna con un secondo mixtape gratuito. La più grande differenza rispetto a “House of Baloons” è da cercare nei vibes meno oscuri e in una maggiore allegria di fondo, per il resto Abel non fa altro che consolidare la propria (e sempre più propria) proposta musicale. Altro bel dischetto per il re del post-r&b… sperando che in futuro non cada in certe tentazioni che subdolamente iniziano a farsi largo (presenza di Drake evitabile). (z.) Voto: 7-

Matana Roberts – Coin Coin Chapter One: Gens de Couleur Libres : un disco jazz nel 2011 che sia in grado di non cadere nel banale, nell’obsoleto o nel revival più incravattato?? Eccolo! Ci ha pensato la giovane americana Matana Roberts con questo “Coin Coin Chapter One: Gens de Couleur Libres” (che arriva dopo altri dischi dei quali, purtroppo, ne ignoravo l’esistenza). Atteggiamento free e sperimentazioni ben amalgamate ad un gusto sofisticato e all’amore per lo spoken word. Esce per la Constellation che, dopo anni di grandissimo post-rock, ha evidentemente deciso di avvicinarsi al mondo del jazz più innovativo senza sbagliare un colpo (vedi anche Colin Stetson). (z.) Voto: 7

Little Dragon – Ritual Unions : vengono dalla Svezia ma la cantante (Yukimi Nagano) ha origini giapponesi, hanno già all’attivo altri due album ma solo ora sembra sia arrivato il loro momento… si parla dei Little Dragon. Sfruttando il periodo d’oro della “soulstep” (chiamiamola così…) e aumentando certe contaminazioni elettroniche, in “Ritual Unions” ci sono tutti gli ingredienti in grado di regalare soddisfazioni, sia a loro che a noi ascoltatori. Brani contagiosi come pochi si alternano senza remore lungo la durata del disco. Janelle Monàe, SBTRKT, Prince, Stereolab e tanti altri i possibili nomi di riferimento, ma vi basta ascoltare le prime due tracce (la title-track e “Little Man”) per capire quanto sia personale e trascinante la proposta di questi svedesi atipici. (z.) Voto: 6/7

The War On Drugs – Slave Ambient : nell’anno di gloria di Kurt Vile, c’è spazio (meritato) anche per la sua “vecchia band”, i The War on Drugs. Kurt non c’è più, ma questo non sembra aver spaventato più di tanto Adam Granduciel e compagni che con questa seconda prova sembrano convincere maggiormente rispetto al debutto di tre anni fa (“Wagonwheel Blues”). La parola magica è “equilibrio”… perfetta sinergia fra melodie dirette dall’atmosfera heartland (Springsteen, Petty… Dylan) e attitudine alternative, che tende a tramutare in sonorità vagamente psichedeliche. E’ sempre più difficile trovare dischi rock potenzialmente capaci di mettere tutti d’accordo… “Slave Ambient” è uno di quelli. (z.) Voto: 7-

The Rapture – In the Grace of Your Love : non siamo più nella “golden age” della DFA, ma il ritorno dei The Rapture è uno di quelli che non si può fare a meno di accogliere con un certo interesse. Esplosi con il secondo disco, quell'”Echoes” capace di riaprire il discorso “funk-(post)punk” messo da parte per vent’anni, la band di New York non seppe poi confermarsi con l’interlocutorio “Pieces of the People We Love” del 2006. A cinque anni di distanza, orfani del basso (elemento chiave del Rapture-sound) di Mattie Safer, tornano con “In The Grace of Your Love”, un… disco disco, e non è un errore di battitura. Levigati tutti gli spigoli dance-punk, Luke Jenner e soci puntano alla dancefloor anni ’70 pur concedendosi un paio di stralunate pop songs (“Roller Coaster” e “It Takes Time To Be A Man”) e cercando soluzioni mai troppo scontate. Una band che ha saputo rinnovarsi ma che per molti continuerà ad essere semplicemente “quella di House of Jealous Lovers”. (z.) Voto: 6/7

Primus – Green Naugahyde : tante uscite di impostazione funk-rock (RHCP, 311, Lenny Kravitz…) così ravvicinate non si vedevano da anni. Quella dei Primus è probabilmente quella più inaspettata dato che arriva dopo dimenticabili parentesi soliste che hanno riempito i dodici lunghi anni che sono passati dall’uscita del precedente “Antipop” (1999). In “Green Naugahyde”, la band di Les Claypool (probabilmente il bassista più rinomato, assieme a Flea, degli ultimi 25 anni) fa a meno dello storico batterista Tim Alexander (sostituito dal compagno di avventure Jay Lane) ma riparte esattamente da dove si era fermata. La solita mistura di slap bass distorto, pazzia zappiana, scioglilingua in spoken e sperimentazioni/divagazioni prog-strumentali… forse in pochi ne sentivano la mancanza, beh io sono uno di quelli. Primus sucks! (z.) Voto: 6,5

Jon Fratelli – Psycho Jukebox : cosa c’è di peggio di una band mediocre in fase calante (i The Fratellis)? Semplice… l’album solista del leader della band. Jon Fratellis ci prova con “Psycho Jukebox”, album con il quale vorrebbe passare per uno di quei songwriter-rock anni ’70 dalla vita vissuta… almeno a giudicare dalla copertina. Il contenuto invece non è altro che il solito banale brit rock già proposto con i “suoi fratelli”. A meno che non amiate certe sonorità, sbadigli e voglia si skippare vi faranno compagnia. Se anche NME (che solitamente regala ottimi voti ad album pessimi) gli ha dato 1/10… (z.) Voto: 5-

Ronnie Vannucci – Big Talk : dopo quello di Jon Fratelli, ecco un altro disco che si inserisce tranquillamente nella categoria “album di cui nessuno sentiva il bisogno”. Anche qui la storia è quella di una band (i The Killers) in discesa, incapace di ripetere il songwriting spontaneo degli esordi. Se nel 2010 è stato il turno di Brandon Flowers (che è uscito con il mediocre “Flamingo”), quest’anno è il turno del batterista Ronnie Vannucci. Cosa spinga un batterista a fare un disco come questo sinceramente per me rimane un mistero… pop/rock generico che almeno nella metà dei brani ricorda quando non in modo sconcertante, almeno alla lontana (qualche chitarra in più e qualche synth in meno) la musica proposta con i The Killers. (z.) Voto: 5

Crystal Antlers – Two-Way Mirror : “hype, hype e ancora hype”… due anni fa in molti ci cascarono, rimanendo intrappolati nei tentacoli (“Tentacles”) dell’album di debutto degli americani Crystal Antlers. In parte rimasi fregato anchio in sede di recensione di un disco che, con il senno di poi, non ha lasciato il segno. Non per nulla l’uscita di questo secondo LP, intitolato “Two-Way Mirror”, è passata decisamente in sordina… e noi questa volta non ci faremo fregare (nonostante l’onestà della proposta). Buone le idee, meno il risultato finale. (z.) Voto: 6

Sublime with Rome – Yours Truly fra 311 (vedi sotto) e i Sublime sembra di essere tornati negli USA del biennio 1996/1997. In quel periodo i Sublime erano letteralmente sulla cresta dell’onda con il loro solare mix di ska e punk rock californiano e singoli del calibro di “Santeria”, “What I Got” e “Wrong Way”… tutti contenuti nell’omonimo disco capace di vendere più di 6 milioni di copie negli States (dove continua a vendere parecchio). Successo alimentato anche dalla prematura morte del leader Bradley Nowell. Una perdita pesante per tutta la scena californiana (che due anni dopo vide andarsene anche Lynn Strait degli influenti Snot), ma sopratttutto per i Sublime che non pubblicarono più nulla… fino ad oggi. Alla voce (e chitarra) c’è il ragazzone Rome Ramirez, per il resto il tempo sembra essersi fermato… se purtroppo o per fortuna lo decidete voi… (z.) Voto: 6+

311 – Universal Pulse : ci sono riusciti… i nipotini dei RHCP (con un tocco in più di reggae) sono arrivati a quota dieci album in carriera (poco) prima dei nonni. Mai stati delle teste di serie, i 311, negli anni ’90 erano comunque uno dei gruppi crossover più in vista, autori di un mix ben collaudato a tratti in grado di convincere anche i più scettici. Ormai però sono anni che continuano a scrivere le stesse canzoni. “Universal Pulse” non fa eccezione: chi li conosce un minimo non farà fatica a capire già al primo ascolto le dinamiche delle otto canzoni (strofa melodica-ritornello corale/solare-pseudorap ecc…) contenute nel disco. Un album decisamente trascurabile, ma in fondo 28 miniti di summer-vibes non hanno mai fatto male a nessuno… (z.) Voto: 5

Eleanor Friedberger – Last Summer : non sono pochi gli addetti ai lavori che nel corso dell’ultimo decennio hanno acclamato i The Fiery Furnaces… personalmente invece non sono mai riuscito a capire fino in fondo il motivo di tale esaltazione (soprattutto negli ultimi lavori). Mentre l’altra metà, il fratello Matthew, esce a ripetizione con dischi che passano inosservati, Eleanor con maggiore convinzione pubblica “Last Summer”, un disco fondamentalmente pop in cui non mancano i riferimenti con la band madre (suprattutto dal lato melodico) ma che allo stesso tempo presenta una varietà stilistica in grado di trasformare semplicità e apparente banalità in qualcosa capace di ammaliare (z.) Voto: 6/7

Hyetal – Broadcast : l’idea di unire la dubstep e influenze witch house è sicuramente interessante, ma c’è ancora qualcosa da mettere meglio a fuoco. (z.) Voto: 6,5

Maria Gadú – Maria Gadú : E’ destino… durante il periodo estivo, qui in Italia ci innamoriamo sempre di una canzone dal sapore latino. Sembra queasi che il sole, i tramonti, le spiagge e tutto il resto ogni anno debbano avere la propria colonna sonora. Per l’estate 2011 il nome che è stato “scelto” è quello di Maria Gadù (già al lavoro con Caetano Veloso). Un disco vecchio di due anni, sbarcato sullo stivale in occasione dell’esplosione del singolo “Shimbalaiê”, in linea con la MPB più acustica che da qualche anno in Brasile va per la maggiore. Destino dicevo… e se il destino segue una sua logica, la ritroveremo fra qualche anno a prezzo stracciato nei cestoni degli autogrill… (z.) Voto: 5

Vanessa Carlton – Rabbits on the Run : sono passati quasi dieci anni dal debutto e dall’apice mediatico di Vanessa Carlton… quella “A Thousand Miles” che per qualche mese ha invaso le radio di mezzo mondo, innescando una “mini-sfida fra simili” con Michelle Branch. Altri tempi sicuramente… oggi Vanessa ha sorpassato i trenta (e si vede…) e prova a ritrovare il successo perduto con “Rabbits on the Run” (che esce per la Razor & Tie). Scritto da lei, l’album fa sfoggio della produzione di Steve Osborne e dell’aiuto di Patrick Hallahan (My Morning Jacket). Pop rock gradevole (a tratti vocalmente e melodicamente ancora un po’ immaturo) senza infamia ma soprattutto senza lode. (z.) Voto: 5,5

Widowspeak – Windowspeak : tentativo piuttosto riuscito di aggiornare, vent’anni dopo, il suono dei mai troppo citati Mazzy Star. (z.) Voto: 6/7

Viva Brother – Famous First Words : i ragazzi sono andati alla famosa high school “School of Brit Pop” e ne sono usciti a pieni voti. Cosa si può dire… hanno studiato tutto alla perfezione, look, melodie, chitarre e sfacciataggine… il grande dubbio non è quindi sulla loro carriera scolastica ma sul senso che può avere una scuola del genere. Musica gradevole e piacevole da canticchiare, ma questo non basta a salvare un disco che risulta quasi ridicolo nel suo tentativo lanciare un improbabile revival brit-pop. (z.) Voto: 4+

Dead Skeletons – Dead Magick : disco hot dell’estate… però hot nel senso stretto: caldo, fuoco, lava, inferno… quello presente nelle viscere di qualche vulcano Islandese (terra di origine dei Dead Skeletons). Coordinate impazzite fra rituali, mantra, ossessività kraut, acid-gaze late ’80s. Una pozione realizzata da qualche Warlock(s)… ricetta? Un bicchiere di sangue dei Brian Jonestown Massacre, una manciata di Kraut(i), tre foglie di Spacemen 3 e un bulbo oculare dei Residents. (z.) Voto: 7

Gazelle Twin – The Entire City : è ufficiale… ormai si è perso il conto delle art-poppers (figlie un po’ di Kate Bush e un po’ di Bjork) che sperimentano con l’elettronica e le atmosfere oscure. Fever Ray, Zola Jesus, Glasser, Chelsea Wolfe (vedi sotto), Austra, iamamiwhoami, Bat For Lashes, Esben and The Witch e chissà quante non mi vengono in mente in questo momento. Una scena vicina alla saturazione probabilmente, ma ancora in grado di regalare ottimi artisti come Elizabeth Walling, in arte Gazelle Twin. In “The Entire City” non Elizabeth non cerca mai il chorus da canticchiare, piuttosto cerca di mantenere un certo flusso melodico che aiuti ad immergersi completamente nelle atmosfere claustrofobiche ma rilassanti del disco. Ottima prova. (z.) Voto: 7-

Male Bonding – Endless Now : gli inglesi (ma come gli Yuck potrebbero benissimo venire dagli USA) Male Bonding hanno bruciato parecchie tappe in poco tempo. “Endless Now” esce ad un anno di distanza dal debutto “Nothing Hurts” e in poco più di trenta minuti macina tanto scazzato punk-pop di chiara influenza late-80s (Hüsker Dü, Superchunk e perchè no… i R.E.M. più tirati). Divertente, appicicoso e spensierato quanto basta per superare la seconda prova senza troppa fatica. (z.) Voto: 6,5

Nero – Welcome Reality: di chiara scuola Chase & Status, quindi inseribili senza problemi sotto l’ombrello sempre più ampio che definirei “the pop side of the dubstep”, i Nero arrivano al debutto su disco. “Welcome Reality” è un album che arriva dopo svariati singoli di successo sempre crescente (“Promises” primo in classifica in UK) e che a conti fatti rappresenta un caso unico all’interno del panorama internazionale: in tanti in Inghilterra stanno cercando di “sputtanare” la dubstep… anche il duo (a cui si aggiunge Alana Watson alla voce) di Londra lo fa, ma lo fa a modo suo (voci e melodie da trance anni ’90 e elektro-beat belli tosti). Irresistibile quanto odioso… prendere o lasciare. (z.) Voto: 6

Stephen Malkmus And The Jicks – Mirror Traffic :
Titolo – “Del perchè i Pavement sarebbero ancora attuali”
Regista – Beck
(z.) Voto: 6/7

Brett Anderson – Black Rainbows : più rock delle precedenti prove soliste, ma tutto sommato è sempre “more of the same”. Però bisogna ammetterlo, l’ex-Suede dimostra di sapere ancora scrivere belle canzoni (“Crash About To Happen”). (z.) Voto: 6+

Hard-Fi – Killer Sound: dopo aver trovato fin da subito il grande successo europeo con “Stars of CCTV” (2005), gli Hard-Fi, come spesso accade, non riuscirono a bissare l’impresa con il seguente “Once Upon a Time in the West”. Il dubbio che la band di Richard Archer fosse solamente un bluff (non solo a livelo di numeri, ma anche qualitativamente) era forte. “Killer Sound” probabilmente è la risposta definitiva… un gruppo fossilizzato nei propri prevedibili confini Clash-pop a cui aggiungono di tanto in tanto richiami più o meno evidenti ad altre band (INXS, Police…). Un sound che non uccide nessuno, se non per noia e mancanza di vere idee. Una carriera che sembra destinata a non andare mai oltre a quel paio di riusciti singoli degli esordi. (z.) Voto: 5

CSS – La Liberación : chiariamo … “La Liberaciòn” nel comple3358o è più riu del precedente “Donkey” (2008). Merito non tanto dell’ultima fatica del combo bra, quanto della ba3358ezza da cui partivano e in cui erano impantanati dopo il promettente omonimo e del 2005. Produzione maggiormente main che in pa3358ato e tre/quattro brani (“I Love You” e “City Grrrl” tutti) che potrebbero finire problemi in un disco qual della divetta tra-pop di turno… per il re “La Liberaciòn” si a con un di piacere. (z.) Voto: 5,5

Joss Stone – LP1 : quando le canzoni non sono all’altezza della voce… (z.) Voto: 5+

Chelsea Wolfe – Apokalypsis Voto: 7- (z.)
Portugal. The Man – In the Mountain in the Cloud Voto: 6/7 (z.)
Handsome Furs – Sound Kapital Voto: 6+ (z.)
Trivium – In Waves Voto: 5 (z.)
*shels – Plains of the Purple Buffalo Voto: 7- (z.)
Queensrÿche – Dedicated to Chaos Voto: 4/5 (z.)
Liturgy – Aesthethica Voto: 6/7 (z.)
Giorgio Canali e Rossofuoco – Rojo Voto: 6 (z.)
Verily So – Verily So Voto: 6,5 (z.)
Moonface – Organ Music Not Vibraphone Like I’d Hoped Voto: 6,5 (z.)
40 Watt Sun – The Inside Room Voto: 6/7 (z.)
The Black Dahlia Murder – Ritual Voto: 6,5 (z.)
Thievery Corporation – Culture of Fear Voto: 6 (z.)
Cascada – Original Me Voto: 4+ (z.)
Giles Corey – Giles Corey Voto: 6/7 (z.)
Cold – Superfiction Voto: 5 (z.)
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LEGENDA
10: la perfezione… non esiste
9: capolavoro, fra i migliori di sempre
8: grandissimo disco, probabilmente destinato a rimanere nella storia
7: album di ottimo livello, manca solo quel qualcosa che lo renda veramente memorabile
6: discreto, passa abbastanza inosservato… innocuo
5: disco trascurabile, banale e poco degno di nota
4: album completamente inutile
3: disco dannoso, difficile trovare di peggio.
2: neanche Justin Bieber
1: …

—— Precedenti ——
Luglio 2011 – 2° Parte
Luglio 2011 – 1° Parte
I Migliori Album del 2011 (Primo Semestre)
Giugno 2011 – 2° Parte
Giugno 2011 – 1° Parte
Maggio 2011 – 2° Parte
Maggio 2011 – 1° Parte
Aprile 2011 – 3° Parte
Aprile 2011 – 2° Parte
Aprile 2011 – 1° Parte
PRIMO TRIMESTRE 2011
Dicembre 2010
Novembre 2010 – 2° Parte
Novembre 2010 – 1° Parte
Ottobre 2010 – 2° Parte
Ottobre 2010 – 1° Parte
Settembre 2010 – 2° Parte
Settembre 2010 – 1° Parte
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