Sanremo 2019, canzoni: giudizi e riflessioni dopo il preascolto
Sanremo 2019, canzoni: scopri cosa ti devi aspettare dalle ventiquattro canzoni in gara al Festival. Soundsblog le ha ascoltate e…
Venerdì 18 gennaio si è tenuto a Milano, presso il Centro Produzione Tv di Corso Sempione, l’appuntamento stampa dedicato all’ascolto dei brani in gara al Festival di Sanremo 2019. Di seguito puoi leggere i giudizi su tutte le canzoni.
Achille Lauro – Rolls Royce: in poche strofe cita Amy Winehouse, Axl Rose, Rolling Stones, Jimi Hendrix, Elvis e Paul Gascoigne. Canzone molto ritmata, con echi rock, cantata biascicando, sporcando le parole. Vita spericolata rock versione Achille Lauro.
Anna Tatangelo – Le nostre anime di notte: un amore che pare finito, in realtà può esistere ancora se si lotta insieme. Analitica e romantica: “Le nostre anime di notte sono più limpide che mai”. Brano in stile Tatangelo sanremese.
Arisa – Mi sento bene: il brano insegna che per stare bene bisogna vivere serenamente la quotidianità (“Se cogli il buono di ogni giorno ed ami sempre fino in fondo”). Musicalmente inizia un po’ vintage, alla Orietta Berti, poi cambia marcia, la musica incalza e il brano pesca un po’ ovunque da Raffaella Carrà alle sigle dei Cartoni animati anni ’90. Finale retrò, delicato. Inaspettato.
Boomdabash – Per un milione: canzone sull’attesa per la nascita di un figlio, la cosa più bella del mondo. Ritmo reggae. Parte del ritornello con coro dei bambini. Trasmette felicità. Tormentone estivo fuori stagione.
Daniele Silvestri – Argento vivo: si scopre oggi che nella seconda parte c’è una strofa cantata da rancore. Il brano descrive gli adolescenti d’oggi. Il protagonista è condannato a vivere una vita che non si è scelto, a immergersi nel mondo virtuale. La musica, coinvolgente unione tra batteria e orchestra, è fatta di distorsioni, suoni cupi, bassi persistenti e archi. Il testo è forte, attuale, a tratti crudo. Tosta.
Einar – Parole nuove: brano dedicato ad un amore che sta per finire: “Giuro che se te ne vai, non ti verrò a cercare”. Melodica, sentimentale, sentita, incalzante nel ritornello (“Riscriverò l’amore con parole nuove”). Sanremese.
Enrico Nigiotti – Nonno Hollywood: ricordo del nonno e del suo racconto della Livorno di un tempo, come confronto tra ciò che era il mondo una volta e come è adesso. Meglio prima di adesso? (“Siamo ostaggi di una rete che non prende pesci”). Prima sussurrata, poi intima, infine struggente. Ragazzo della via Gluck 2.0.
Ex Otago – Solo una canzone: storia di un amore maturo e di condivisione: “A te posso dire tutto, tutto ciò che sento”. L’amore può durare nel tempo se c’è complicità. Indie a tratti un po’ insipida.
Federica Carta e Shade – Senza Farlo apposta: racconto di un amore finito. Ritornello facile da ricordare (“E scusa ma, non me ne importa, sono qua un’altra volta, ci finisco sempre senza farlo apposta”). Suddivisione classica dei due cantanti: Shade fa le strofe, Federica Carta canta il ritornello. Prevedibilmente radiofonica.
Francesco Renga – Aspetto che torni: l’amore per la donna amata (“Sei l’ossigeno che cerco quando resto senza fiato”) è capace di lenire il ricordo della madre morta (“Mi manca da trent’anni e vorrei dirle tante cose”). La melodia crea l’atmosfera. Elegante.
Ghemon – Rose viola: la sofferenza di una donna raccontata con la poesia e la crudezza che contraddistinguono il cantante (“Dieci fori di proiettile”, “Com’è difficile salvarsi”, “Nodi in gola”). 100% Ghemon. Intima da club.
Il volo – Musica che resta: pop che si fonde con la lirica; amore all’ennesima potenza, sostenuto da musica epica e versi ad alto tasso di romanticismo: “Amore abbracciami, voglio proteggerti, siamo il sole in un giorno di pioggia, stanotte stringimi, baciami l’anima, siamo musica vera che resta”. Dilemma: o vince o fa venire la carie.
Irama – La ragazza col cuore di latta: l’amore inteso come sentimento che ti porta a condividere la sofferenza con il proprio partner, anche una violenza. “Il dolore che hai addosso non passa più, ma non sei puù da sola, ora siamo in due”. Si parte con suoni simili al carillon, poi entra il piano, con voce narrante di Irama fino al ritornello. Il finale è a sorpresa: si parla di un bimbo che sta per nascere. Doppio giudizio: Cuore di panna; inaspettatamente credibile.
Loredana Bertè – Cosa ti aspetti da me: l’incertezza dell’amore: “Che cosa vuoi da me, cosa ti aspetti da me? Che tanto non lo sai”. La musica sostiene la forza e la grinta della voce della Bertè. Incalzante.
Mahmood – Soldi: racconto della mancanza di un padre che se n’è andato, fregandosene del figlio (“Dimmi se ti manco o te ne fotti”). Citazioni al mondo arabo (“Ramadan, Narghilè, ualadì ualadì habibi tahaleena”). Uso sonoro dell’autotune (ma durante le serate del Festival il cantante ha scelto di non usarlo). Autobiografica.
Motta – Dov’è l’Italia: critica nei confronti dell’Italia attuale. Vuole ritrovare la strada giusta, ma: “Dov’è l’Italia amore mio? Mi sono perso”. Voce e chitarra fino al ritornello. Indie straniante.
Negrita – I ragazzi stanno bene: inno alla vita che va vissuta (“Voglio un sogno da sognare e voglio ridere, non mi va… non ho tempo per brillare, voglio esplodere”), contrario alle storture della società contemporanea, all’immobilismo, alla precarietà e all’insensibilità (“Per far pace con il mondo dei confini e passaporti, dei fantasmi sulle barche e di barche senza un porto”). I giovani, che hanno ancora il fuoco che scorre nelle vene, sono la speranza. Rivendicatrice di vita.
Nek – Mi farò trovare pronto: brano d’amore. Nel testo si scopre che lui vuole essere all’altezza dell’amore, ma sa che non è facile. Stavolta, però, è pronto. Canzone ritmata con tanta batteria e chitarra elettrice. Dimenticatevi “due braccia con un cuore”. Maturo.
Nino D’Angelo e Livio Cori – Un’altra luce: generazioni a confronto. Testo in napoletano, abbastanza comprensibile. Morale? Per uscire dall’oscurità bisogna credere alla vita. Modernità e tradizione si incontrano anche a livello musicale dove, alla musica melodica si aggiunge l’autotune. Riflessiva.
Paola Turci – L’ultimo ostacolo: la coppia come sostegno: “Ci impegneremo a stare meglio quando far di meglio non si può”. Brano ricco di messaggi positivi, tanto che si arriva a dire che, di fronte agli ostacoli, è bello cadere se si cade insieme. Musica in alcuni passaggi un po’ Coldplay. Ha il suo perché.
Patty Pravo e Briga – Un po’ come nella vita: amore come speranza (“Io resto qui a capire come illuminarmi il cuore, come illuminarci il cuore”). Inizia Patty Pravo, poi si inserisce Briga e le voci si sovrappongono tra loro e si fondono nella melodia fino al ritornello. Gradevole per tutta la durata. Briga rapper solo nel finale. Duetto vero.
Simone Cristicchi – Abbi cura di me: manuale su come prendersi cura della persona amata. Canzone molto recitata. Come dice Cristicchi: “Sono solo quattro accordi ed un pugno di parole”, ma sono parole pesanti. Musicalmente la voce viene accompagnata da archi e pianoforte, mentre il ritornello cantato è accompagnato da brevi assoli di violino. Finale melodico, musicale, ad effetto, che precede un’ultima strofa recitata. Teatrale e scenografica.
The Zen Circus – L’amore è una dittatura: brano filastrocca di protesta nei confronti di certa politica che gioca sulla paura del diverso. Si parte con “le porte aperte, i porti chiusi” e si conclude con un esplicito: “Spero ancora che qualcuno sia lì fuori ad aspettarti, non per chiederti soldi, neanche per derubarti, non per venderti la droga e soffiarti il posto di lavoro…”. La musica si mescola tra carillon e rintocchi di orologio. Polemica.
Ultimo – I tuoi particolari: dichiarazione d’amore nei confronti di una persona che non c’è più, fatta di racconti di piccoli particolari di vita quotidiana. Si parte con voce e pianoforte, poi si inseriscono gli altri strumenti e si arriva al ritornello con un’esplosione di musica. Una certezza.