Uscite discografiche Settembre 2011: recensioni
Recensioni nuovi album di Giorgia, M83, Wilco, Kasabian, The Drums, The Kooks, David Guetta e tanti altri
M83 – Hurry Up, We’re Dreaming : tornano i francesi M83 a tre anni di distanza dall’album della consacrazione definitiva: “Saturdays = Youth”. Viste le premesse era lecito aspettarsi un comeback poco ordinario… ed infatti “Hurry Up, We’re Dreaming” non difetta certo di ambizione: doppio LP per un totale di 22 brani (comprese alcune “pause” strumentali). Partendo dal classico dream pop/gaze con synth al posto delle chitarre, Anthony Gonzalez sempre più sicuro di sè, maneggia (in qualche occasione con fin troppa convinzione) tentazioni da pista (“Steve McQueen”), atmosfere chillwave (“Midnight City”, “Claudia Lewis”), esplosioni epiche d’effetto (“My Tears Are Becoming A Sea”, “Echoes of Mine”), pazzia pura (“Year One, One UFO”) e atmosfere acustiche (la bellissima “Wait” e “Soon, My Friend”). C’è tantissima carne al fuoco in “Hurry Up, We’re Dreaming” e di conseguenza il rischio “confusione” è dietro l’angolo, ma per il resto non c’è nulla da rimproverare. (z.) Voto: 7
Kasabian – Velociraptor! : diciamoci la verità, “West Ryder Pauper Lunatic Asylum” ha salvato i Kasabian dal destino tipico delle “next big thing” inglesi, caratterizzato da un disco d’esordio riuscito e di successo e da un secondo disco a rischio flop. A due anni dalle 900.000 copie inglesi di “West Ryder…”, Pizzorno e compagni escono con Velociraptor!, undici tracce in cui le sorprese stanno a zero: solito brit pop (“Let’s Roll Just Like We Used To”) innamorato della vecchia madchester (“Days Are Forgotten”) ma che non si fa problemi a flirtare con l’electrorock (title track e “Switchblade Smiles”) e con la psichedelia più “classic” (“Neon Noon”). Nel complesso gradevole ed eterogeneo, ma iniziano a farsi largo una certa ripetitività e alcuni passaggi meno ispirati (“La Fee Verte”, “Man Of Simple Pleasures”). (z.) Voto: 6,5
Wilco – The Whole Love: lo ammetto, ci ho messo tanto tempo (e ancora oggi a volte faccio fatrica) a capire dove andare a cercare la magia e la superiorità dei Wilco, all’interno di una proposta musicale apparentemente così “normale”. La loro bravura sta proprio nel nascondere (con grande maestria) dietro a brani dal sapore “classic”, lampi di genio al passo con i tempi. Fattori che nelle ultimissime prove, “Sky Blue Sky” e soprattutto nell’omomino album di due anni fa, faticavano più del solito a venire fuori. Con queste premesse esce “The Whole Love”, un lavoro che li riporta idealmente ai fasti di “A Ghost Is Born” (ripetere “Yankee Hotel Foxtrot” è impossibile), in cui trovano spazio due picchi creativi (e lunghezza…) come l’iniziale kraut alienante di “Art Of Almost” e la conclusiva “One Sunday Morning”. Sì vero, non ci sono sorprese epocali, ma nel caso dei Wilco l’unica sorpresa potrebbe essere quella di pubblicare un brutto disco… (z.) Voto: 7+
Giorgia – Dietro Le Apparenze : “Giorgia è brava ed è un grande talento vocale”… lo dico subito così mi tolgo subito il peso. Purtroppo però sono poche le occasioni in cui queste capacità innate sono state sfruttate nel migliore dei modi… e per migliore non intendo più furbo o più funzionale. C’è chi ha accolto a braccia aperte il singolo “Il Mio Giorno Migliore” etichettandolo come innovativo… mi chiedo, innovativo dove? Semplice tentativo aggiornarsi alla moda upbeat. Che il lavoro di autori e coautori sia fondamentale lo si capisce anche da brani come la buona “Passerà l’Estate”, uscito dalle sottovalutate mani di Marina Rei, o la meno riuscita “Tu Mi porti Su” uscita dalle pesanti tasche piene di sassi di Jovanotti. “Dietro Le Apparenze” è un disco in cui si fa veramente fatica ad apprezzare qualcosa che non sia la voce di Giorgia: “Inevitabile” con Eros Ramazzotti è ironicamente evitabilissima, mentre “Niente ci porta via” è puro Sanremo-style, ma sono proprio generali problemi di scelte stilistiche, di arrangiamenti (obsoleti e poco incisivi) e di testi a limitare un lavoro di questo tipo. Mi riesce veramente difficile consigliare “Dietro Le Apparenze” a qualcuno che non sia fan di Giorgia. (z.) Voto: 5-
The Drums – Portamento : il successo di un hypeizzato disco d’esordio, nella maggioranza dei casi apparecchia la tavola ad una cocente delusione. Per i The Drums, ad esempio, partire con il pesante fardello di dover ripetere una hit come “Let’s Go Surfing” (finita persino in uno spot televisivo), era un handicap non da poco. La band di Brooklyn guidata da quel personaggio che risponde al nome di Jonathan Pierce, con una certa umiltà esce con “Portamento”, un album che continua il discorso del “Smiths+surfpop+postpunk+indiepop” centrando pienamente l’obiettivo in almeno quattro/cinque occasioni (“What You Were” è semplicemente adorabile e il singolo “Money” è perfetta nel suo intento). Peccato che non tutto il disco (che nel complesso preferisco al debutto per il suo saper unire spensieratezza e malinconia) sia sullo stesso livello: soprattutto nella seconda parte si nota qualche filler di troppo. Ora le strade sono due: prendersi più tempo e realizzare un terzo lavoro valido dall’inizio alla fine o continuare su questa strada, aspettando che arrivi il momento di un “greatest hits”. (z.) Voto: 6/7
David Guetta – Nothing But The Beat : l’intenzione di David Guetta era chiaramente quella di ripetere il successo del precedente “One Love”, uno degli album “dance” più venduti dell’ultimo decennio. Dopotutto basta leggere la sfilza di guest presenti su “Nothing But The Beat” per capire quale sia l’obiettivo: buona parte del peggio dell’attuale scena musicale (Chris Brown, Jessie J, Usher, Flo Rida…) presta la voce in questo concentrato di truzzo-house/pop che farà sicuramente contenti i propetari/dj/abitudinari dei club commerciali di tutto il mondo… ma non gli amanti della musica. “Little Bad Girl” è probabilmente uno dei peggiori singoli dell’ultimo anno, “Nothing Really Matters” rischia di far rivalutare in positivo gli indegni ultimi B.E.P. e “Crank It Up” è semplicemente ridicola. Solamente Sia riesce a rendere passabile la sua “Titanium”. (z.) Voto: 4
The Kooks – Junk Of the Heart : niente da fare… continuano a spingerli (il singolo è presente anche nella limitatissima playlist di RDS..) senza nessun particolare motivo. Il precedente “Konk” aveva fatto intuire che contrariamente a quanto si volesse far credere, dietro ai bei faccini di Luke Pritchard e compagni (nonostante un buon pezzo come “Sway”) non si nascondevano enormi dosi di talento, anche per questo “Junk Of The Heart” rappresenta un po’ la prova del nove. I Kooks la affrontano con lavoro di ordinario e svogliato indie pop-rock che finisce più per annoiare che divertire. Piattume assoluto… ma poi perchè lasciare fuori un brano come “The Saboteur” che lasciava intravvedere un notevole passo in avanti?? (z.) Voto: 5-
Neon Indian – Era Extraña: se Washed Out aveva aperto ufficialmente l’estate chillwave, Neon Indian idealmente la chiude. Dopo aver incendiato la scena con “Psychic Chasms” c’era molta attesa per questo secondo lavoro del texano Alan Palomo. “Era Extraña” si pone a metà strada tra Washed Out, M83 e synth pop anni ’80, senza riuscire mai a convincere al 100% o a procurare la sfrenata voglia di farsi ascoltare più volte di seguito. Valido, ma ci si aspettava forse qualcosina di più (z.) Voto: 6/7
Opeth – Heritage : gli Opeth in carriera hanno sbagliato ben poco: più di quindici anni caratterizzati da dischi generalmente di ottimo livello. Ovviamente per farseli piacere bisogna essere amanti di certe sonorità (prog-death metal) ma basta avere un buon orecchio per capire quanto gli svedesi ci sappiano fare. Tecnicismi a parte, hanno sempre saputo proprorre dischi pieni zeppi di spunti notevoli pur rimanendo su coordinate tipicamente metal. In questo senso “Heritage” rappresenta un grande salto nel buio: via il growl, via i riff, via la cattiveria e dentro quintali di progressive rock anni ’70 (in “Famine” fanno addirittura il verso ai Jethro Tull). Apprezziamo il coraggio (non tutti i metalheads saranno dello stesso parere…) e tutto sommato anche la realizzazione, ma rimane il grande dubbio… che valore piò avere un disco di questo tipo nel 2011?? Voto: 6/7 (z.)
Laura Marling – A Creature I Don’t Know : viene da ridere pensando che, riferendosi al talent-act di turno, c’è chi dice “ha solamente 23 anni, lasciamolo crescere”. Laura Marling di anni ne ha appena ventuno (21!!!) e questo “A Creature I Don’t Know” è già il terzo album di una carriera che l’ha già vista protagonista ai Mercury Prize e ai Brit Awards e collaboratrice dei Noah and the Whale. Difficile lasciare la malinconia della patria Inghilterra, ma qui si guarda anche agli USA in più di un’occasione (nel banjo-folk di “My Friends” ad esempio), attraverso una maturità veramente sorprendente, sia a livello musicale (arrangiamenti più corposi) che di testi. Piccole Joni Mitchell crescono in fretta…(z.) Voto: 7
Thrice – Major/Minor : tornano i sottovalutatissimi Thrice a due anni di distanza da “Beggars”. Una carriera la loro che inizia ad essere una di quelle di un certo peso sommando quantità e qualità: dagli esordi punk/post-hc alle ambizioni dei quattro volumi “The Alchemy Index” di strada ne hanno fatta tanta. “Major/Minor” è probabilmente il lavoro più coeso (qualcuno direbbe monocorde), più diretto e, ipoteticamente, maggiormente fruibile. Se in passato hanno dimostrato di passare anche in territori elettronici (“Digitale Sea”) e folk-blues (“Come All You Weary”), qui gli sforzi si sono soffermati, pur mantenendo l’attitudine “art” e “post”, su sonorità più classiche, vicine all’alternative rock e al post-grunge, relizzando semplicemente “belle canzoni” senza scalfire di un minimo la loro reputazione di “gruppo serio”. (z.) Voto: 7
Dream Theater – A Dramatic Turn of Events : in una sorta di grafico sulle categorie di ascoltatori che ho realizzato, c’è la categoria “chitarristi”. I fan dei Dream Theater spesso volentieri rientrano in questa categoria, gente capace di dirti “non è vero che è un brutto disco, non senti che lavori che fa John Petrucci alla chitarra o Mike Portnoy alla batteria??”. Ora Portnoy non c’è più (c’è Mike Mangini), ma il discorso non cambia. Come fai a convincerli che oltre alla tecnica fine a se stessa, un disco come “A Dramatic Turn of Events” non ha molto senso di esistere?? Le loro prime cose erano interessanti, se non altro per la semi-novità (semi perchè i Fates Warning lo facevano da prima) di unire il mondo del progressive e quello del metal, ma ormai sono anni che ci deliziano con lavori con pochissime idee. Volete solamente la tecnica? “A Dramatic Turn of Events” fa per voi, ma se volete sia tecnica che idee, meglio andare a bussare in casa Opeth (vedi sopra). (z.) Voto: 5+
Lil Wayne – Tha Carter IV : Lil Wayne ci ha messo tre anni a dare un vero seguito al clamorosamente fortunato “Tha Carter III” (in USA più di 1 milione di copie nella prima settimana). Nell’attesa ha cercato di rimanere sulla cresta dell’onda: prima ci ha provato con l’agghiacciante “Rebirth” (buono solo per farsi due risate) poi con l’EP “I Am Not a Human Being” di qualche mese fa. Chiariamo subito, in “Tha Carter IV” non troverete nulla di nuovo o di particolarmente interessante, ma tutto sommato nell’ultimo decennio abbiamo ascoltato (purtroppo) dischi di mainstream rap ben peggiori. Rispetto a “Tha Carter III” forse si è guardato meno nella direzione di facili chorus pop/r&b (l’evitabile “How To Love” esclusa), ma rimangono tutte le caratteristiche che continuano a togliere a Lil Wayne forti dosi di credibilità artistica. (z.) Voto: 5-
Alexandra Stan – Saxobeats : se noi italiani purtroppo all’estero siamo conosciuti soprattutto per un certo tipo di pop sdolcinato e obsoleto, i rumeni non se la passano meglio con la loro dance tanto ingenua quanto kitsch… dal tormentone “Dragostea Din Tei”, alle hit di Imma, passando per “Stereo Love” di Edward Maya, tutti riempista brainless. Alexandra Stan è l’ultima arrivata e da mesi spopola nelle discoteche commerciali con la sua “Mr. Saxobeat” … qui contenuta in tre versioni differenti a contorno di altri undici brani dai titoli che esplicano da soli il contenuto e il valore del disco (“Lollipop”, “Ting Ting”… “Energy”). (z.) Voto: 4
Dum Dum Girls – Only in Dreams : come i The Drums (vedi sopra), anche le Dum Dum Girls non hanno perso tempo e ad appena un anno di distanza dal debutto “I Will Be”, se ne escono con il secondo disco, intitolato “Only in Dreams”. “Coming Down” è una versione pop dei Mazzy Star, ma il resto del disco non si distacca troppo dal garage-fuzz-pop piacevole ma mai sopra le righe tipico della band. Nel complesso non è peggio del fortunato (più come “buzz” che vendite) esordio, ma difficilmente aumenterà le loro quotazioni. (z.) Voto: 6+
Tinariwen – Tassili : l’uscita di “Tassili” è una sorta di evento che gode una visibilità purtroppo limitata. I Tinariwen sono un gruppo di tuareg del deserto del Mali (Africa) che ormai da anni porta avanti un discorso musicale unico al mondo, quello del “tichumaren”, genere che fonde le influenze africane con i suoni elettrici delle chitarre. L’evento va ricercato nel fatto che a questo giro ci sono le carte in regola per il grande salto mediatico verso “l’occidente”: ad aiutare il combo ci sono esponenti “midstream” come Tunde Adebimpe dei TV On The Radio e Nels Cline dei Wilco… e la cosa bella è che tutto si amalgama (quasi) alla perfezione. (z.) Voto: 7-
Ladytron – Gravity The Seducer : difficile dire quanto il lavoro dei Ladytron sia stato influente per tutte le divette electro-pop degli ultimi tempi, sicuramente però sono stati tra i primi a riportare in auge certi suoni anni ’80 nel nuovo millennio. Non solo tra i primi, ma probabilmente anche fra quelli che hanno saputo farlo con maggiore personalità. A undici anni dal classico “Playgirl” (il che mi fa sentire veramente vecchio…) e a tre anni dall’interlocutorio “Velocifero” (troppi alti e bassi), tornano con “Gravity The Seducer”. Proprio come un amico che non senti da tempo, ma dal quale sai benissimo cosa aspettarti, anche i Ladytron sono ormai un libro aperto, con le loro riuscitissime fredde melodie un po’ dark e un po’ mitteleuropee a coprire cascate di synth (c’è spazio anche per la strumentale “Transaparent Days”, fra Vangelis e “Atmosphere” dei Joy Division). La mancanza di significative novità è ben controbilanciata dalla consapevolezza di essersi ritagliati un posticino importante nella musica pop degli ultimi dieci anni. (z.) Voto: 6,5
Gotye – Making Mirrors : Gotye è lo pseudonimo scelto dal belga Wally De Backer per la sua avventura discografica. Avventura iniziata, dopo essersi trasferito in Australia, con “Boardface” (2004), primo assaggio della personalità di Wally, esplosa poi con il successivo “Like Drawing Blood” del 2006 (c’era dentro di tutto: soul, pop, trip hop, elettronica, drum & bass…). A cinque anni di distanza torna più in forma che mai, arrivando fin da subito ad un successo clamoroso nella terra dei canguri: album e singolo (“Somebody That I Used to Know”, ovvero il pezzo che da anni Sting non riesce più a scrivere) al numero 1. Quasi tutti i brani contenuti in “Making Mirrors” (piuttosto diverso rispetto al precedente) sono di ottima fattura, fra sofisticherie da Radio Capital, elettronica e pop “artistico” di scuola Peter Gabriel. (z.) Voto: 7
Staind – Staind : quando una band esce con un disco omonimo dopo quindici anni di carriera non è mai buon segno: a volte può indicare un nuovo punto di partenza, ma spesso nasconde una certa mancanza di idee. Mancanza di idee che traspare anche nei dieci brani contenuti nell’ultima fatica di Aaron Lewis (che ha avuto tempo di pubblicare un trascurabile EP di musica country made in USA) e compagni. Il ritorno a certe sonorità maggiormente “nu metal” (“Wannabe” con Snoop Dogg, “The Bottom” e la korniana “Paper Wings”) rispetto agli ultimi e meno riusciuti lavori orientati sul modern rock/post-grunge e l’assenza di ballad acustiche (quelle che in qualche modo fecero la fortuna del milionario e onesto “Break the Cycle”) scala classifiche, potrebbero far piacere ai nostalgici… ma probabilmente solo a loro… (z.) Voto: 5/6
Ganglians – Still Living : dopo i The Drums ecco un’altra band indie pop chiamata a ripetere quanto di buono fatto intravedere con il debutto. Due anni separano il nuovo “Still Living” dai “oh, potrebbero essere i nuovi Beach Boys” che accompagnavano l’esordio “Monster Head Room”. “Still Living” si sviluppa lungo brani di psichedelia pop plurisfaccettata, incastonati in strutture atipiche che all’improvviso mostrano barlumi di genio melodico e che il secondo dopo affogano il tutto nell’inconcludenza. Difficile dire a cosa potrebbero puntare in futuro e fin dove potrebbero arrivare, ma per il momento hanno sicuramente ancora tanto da dimostrare. (z.) Voto: 6
Example – Playing in the Shadows : un personaggio come Example (all’anagrafe Elliot John Gleave) poteva nascere solo in Inghilterra… e forse solo a Londra, con quella faccia da schiaffi e quel furbo mix di “tutto ciò che va di moda in UK nel 2011”. Trascinato dai singoli da club “Stay Awake” e “Changed The Way You Kissed Me”, Example si muove tra Uk Hip Hop (grime è esagerato), ritmi popstep, rave-fidget e electropop con grande astuzia. Non tutto funziona, soprattutto quando si butta sul pop meno contaminato (“Microphone”) o in retrogusti d&b (“Never Had a Day”) ma, come detto per Nero, è odioso quanto irresistibile (anche se può benissimo bastare una capatina su iTunes per i singoli). (z.) Voto: 5,5
Balam Acab – Wander / Wonder : Nato come uno dei nomi di punta dell’ondata witch-house dello scorso anno, Balam Acab pubblica finalmente l’album di esordio intitolato “Wander / Wonder”. Di witch-house alla fine qui non ce n’è quasi traccia (a parte qualche beat post-hip hop), piuttosto Alec Koone ha preferito creare qualcosa di più intimo e ambientale. Ascoltando l’LP sembra di stare immersi sott’acqua fra suoni ovattati e canti di sirene, glitch, musica astratta, a tratti impalbabile e sfuggente. Un disco che non si presta ad ascolti ripetuti (e bisogna essere comunque nel mood giusto) ma che mette alla luce le indubbie capacità del giovanissimo (20 anni…) Alec. (z.) Voto: 6/7
Apparat – The Devil’s Walk : ormai sono anni che Sascha Ring (aka Apparat), sia da solo che con Modeselektor, delizia il popolo dell’elettronica a suon di IDM e techno. L’ultimo “Walls” (2008) è stato l’album che gli ha dato definitivamente visibilità ed è anche per questo motivo che c’era molta attesa per il ritorno discografico del berlinese. Purtroppo “The Devil’s Walk” è destinato a dividere i puristi (e non solo): è chiara l’intenzione di distaccarsi dal passato e di tentare la via della “forma canzone”. L’elettronica rimane ma è al servizio di brani che probabilmente, se fossero uscite dieci anni fa, l’avrebbero avvicinato a Radiohead (in “Ash Black Veil” sembra di sentire Yorke&co, o forse giustifica solamente la somiglianza fisica con Jonny Greenwood) o Sigur Ros (“Escape”), ma che oggi suonano spesso come un esercizio di stile, spesso gradevole (a volte semplicemente noioso) ma tutto sommato superfluo. (z.) Voto: 6
Kendrick Lamar – Section.80 : Kendrick Lamar viene dalla California, ma l’attitudine è praticamente l’opposto di quella dei conterranei OFWGKTA. Kendrick non cerca la provocazione facile, l’esuberanza giovanile e la violenza gratuita… Kendrick ha tanto da raccontare e punta tutto su quello che dice (con una maturità impressionante per l’età), non su come lo dice (voce nasale e poco spazio per giochetti superflui) . Quella contenuta in “Section.80” è la west coast delle idee, è rap sociale e mentale (negli anni ’90 si sarebbe chiamato conscious hip hop)… è musica che può fare solo del bene… (z.) Voto: 7-
Warm Brains – Old Volcanoes : 2005, l’intero panorama musicale sembra dover fare i conti con il nuovo movimento dance-punk, il quale trova nei tre giovanissimi Test Icicles uno dei nomi di punta (“Circle Square Triangle” riempe le piste). 2006, i Test Icicles non esistono più ma lasciano una buona eredità al movimento “nu rave”. 2008, Devonte Hynes inizia la carriera sotto il nome Lightspeed Champion. 2011, esce l’album di debutto il progeto di Rory Attwell: Warm Brain. Un disco pop poco pop… ci sono sprazzi dei primissimi Blur (stonature, anche un po’ Pavement, comprese) ma è tutto nascosto da uno particolare strato psichedelico fra l’acerbo e il lo-fi. Rory non è dotatissimo, ma anche quando non si fa aiutare da qualche donzella (compresa Roxanne dei Veronica Falls), dimostra comunque di saper sostituire la tecnica con intuizioni interessanti. (z.) Voto: 6,5
Kittie – I’ve Failed You : qualcuno dice che il metal è una cosa da uomini… beh, le Kittie (fin dai giovanili esordi tendenti al “nu”) hanno quasi sempre portato acqua al mulino di questa teoria. “I’ve Failed You” non fa eccezione, ultimo capitolo di una poco fortunata evoluzione che ha cercato negli ultimi anni di seguire la fumosa (e ormai terminata) moda del metalcore. (z.) Voto: 5-
Vanilla Ice – WTF : WTF!!!!! (z.) Voto: 3,5
St.Vincent – Strange Mercy Voto: 7 (z.)
Butcher Boy – Helping Hands Voto: 6,5 (z.)
Today Is the Day – Pain Is a Warning Voto: 6+ (z.)
Will Young – Echoes Voto: 5+ (z.)
Edguy – Age of the Joker Voto: 5,5 (z.)
Ghost Brigade – Until Fear No Longer Defines Us Voto: 6/7 (z.)
Danny Brown – XXX Voto: 6/7 (z.)
Chimaira – The Age of Hell Voto: 5,5 (z.)
The Red Jumpsuit Apparatus – Am I The Enemy Voto: 4,5 (z.)
Cobra Starship – Night Shades Voto: 4,5 (z.)
The Nightwatchman – World Wide Rebel Songs Voto: 5- (z.)
Dead Elephant – Thanatology Voto: 6,5 (z.)
Nosound – The Northern Religion of Things Voto: 6,5 (z.)
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LEGENDA
10: la perfezione… non esiste
9: capolavoro, fra i migliori di sempre
8: grandissimo disco, probabilmente destinato a rimanere nella storia
7: album di ottimo livello, manca solo quel qualcosa che lo renda veramente memorabile
6: discreto, passa abbastanza inosservato… innocuo
5: disco trascurabile, banale e poco degno di nota
4: album completamente inutile
3: disco dannoso, difficile trovare di peggio.
2: neanche Justin Bieber
1: …
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Luglio 2011 – 1° Parte
I Migliori Album del 2011 (Primo Semestre)
Giugno 2011 – 2° Parte
Giugno 2011 – 1° Parte
Maggio 2011 – 2° Parte
Maggio 2011 – 1° Parte
Aprile 2011 – 3° Parte
Aprile 2011 – 2° Parte
Aprile 2011 – 1° Parte
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