Bruce Springsteen: il 25 agosto del 1975 usciva “Born To Run”
Bruce Springsteen: il 25 agosto del 1975 usciva “Born To Run”
Dei quattordici mesi che servirono per consegnare “Born To Run” alla Storia, sei furono spesi da Bruce Springsteen sulla canzone che diede poi il titolo all’album. The Boss aveva in mente un suono preciso, potente: una sorta di versione anni ’70 del “Wall of Sound” di Spector, ma non riusciva a comunicarlo ai suoi collaboratori e ai musicisti. C’era molta, forse troppa pressione nell’aria per questo terzo capitolo discografico. La Columbia Records era sicura del successo e aveva alzato considerevolmente il budget. Dopo il promettente esordio di “Greetings From Asbury Park, N.J.” e i buoni risultati del tour di “The Wild, the Innocent, and the E Street Shuffle”, l’opinione di tutti era che Springsteen avrebbe tirato fuori dal cilindro l’album della ‘svolta’.
L’intuizione era giusta, ma la tensione era eccessiva. Springsteen era nervoso e frustrato, tanto che dopo la prima parte delle sessions ai “914 Sound Studios” (registrate nelle pause del tour tra il gennaio del 1974 e l’ottobre dello stesso anno), licenziò definitivamente il producer e manager Mike Appel. Al suo posto una figura che divenne poi fondamentale per il resto della sua carriera: Jon Landau, critico musicale celebre per aver pronunciato la frase “I saw rock and roll’s future and its name is Bruce Springsteen” (Ho visto il futuro del rock and roll e il suo nome è Bruce Springsteen). Landau entrò in studio durante la seconda parte delle session, quelle registrate al “The Record Plant”, dove il disco fu completato e missato.
“Born To Run” fu una vera e propria esplosione. Si piazzò in Top 10 già alla seconda settimana e si aggiudicò nel tempo un Disco d’Oro e ben sei Dischi di Platino arrivando a vendere sei milioni di copie. Tutto sicuramente anche grazie alla imponente campagna promozionale, costata alla Columbia 250000 dollari, ma soprattutto al valore di un’opera che riuscì a condensare in otto brani incredibili l’immagine di un’America dura, provinciale e piena di contraddizioni, con quella più consapevole, in fuga dall’American Dream.
Difficile parlare delle canzoni. Non perché non sia possibile farne una disamina, ma perché “Born To Run” è come un libro: un breve e potente romanzo in cui i singoli capitoli trovano (più) forza, senso e valore in relazione tra loro. C’è la title-track, certo, e il suo ‘corrispettivo’ in “Thunder Road” (ad oggi forse, due tra le migliori della sua discografia), c’è l’amore annichilito dalle bugie di “She’s The One” che rimanda all’abbandono di “Backstreets” (“I hated you, when you went away”). I ‘personaggi’ delle canzoni, uno degli assoluti punti di forza della scrittura di Springsteen, qui scivolano quasi sullo sfondo: ci sono i nomi, ci sono le storie, eppure le otto tracce di “Born To Run” parlano talmente bene ai sentimenti di una generazione ‘disillusa’ (iniziava pur sempre la seconda metà dei ’70s) che è difficile non identificarsi, nonostante non si sia mai stati nel New Jersey o non si abbia mai guidato una Chevrolet. E’ un’epopea letteraria, quella di Springsteen e il suo sorriso in copertina, appoggiato alla schiena del compianto sassofonista Clarence Clemmons, ci racconta in una sola immagine, tutta la forza e l’amarezza di un disco immenso.
Di seguito, trovate i due video del documentario “Wings For Wheels: The Making of Born To Run”.