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AvA a Blogo, la cantante e produttrice si racconta dopo l’uscita dell’album “Lo Squalo”

AvA a 360 gradi: la cantante si racconta a Blogo

pubblicato 6 Dicembre 2019 aggiornato 27 Agosto 2020 10:46

È uscito il 25 ottobre 2019 “Lo Squalo”, l’album di debutto di AvA, cantante e produttrice romana, prima artista italiana a proporre il moombahton cantato in italiano, dove il rap si fonde con il pop e la trap con la latin wave e l’afro beat. Dopo “AvA” e “Adesso il capo sono io” l’album è stato anticipato dal singolo “Shazam”, brano ispirato alla trap francese con un velato omaggio a Missy Elliott.

Abbiamo intervistato AvA per chiederle di questo primo progetto solista e ne è nato un interessante scambio, tra riflessioni sul mondo della musica di oggi, passione, credibilità dell’artista e una realtà non sempre facile.

Lo squalo è il titolo del tuo album di debutto ma anche un animale che ti rappresenta molto.

Lo squalo è il mio animale guida, da piccola ho avuto un incontro ravvicinato per fortuna senza alcun graffio. Quando avevo 6 anni al Circeo mi è passato sotto ai piedi uno squalo di 4 metri e mezzo che poi è stato preso due giorni dopo ad Anzio. E da lì è iniziata la mia passione per questi animali che mi hanno sempre accompagnata. Il progetto “AvA” è sorto dalle ceneri del precedente progetto delle Calypso Chaos, eravamo una band di sole ragazze. Nel momento in cui si attestava la fine di questo bellissimo sodalizio, io ho iniziato a sentire l’esigenza di spingere a livello musicale e di testi. Per anni mi sono sentita criticare per essere sempre stata una persona moderata, suonavamo sedute, ipervestite, mi sono sentita dire che non avevo mai approfittato del mio aspetto, che dovevo alzare -letteralmente alzare- la cresta.

Era faticoso essere moderata?

In realtà sono diventata col tempo una persona moderata perché, di natura, l’indole estrema ce l’ho sempre avuta. Ma siccome non potevo andare per il mondo a fare la guerra a tutti e tutto, ho imparato a trattenermi, a misurarmi per quieto vivere (ride). In realtà AvA è veramente il mio alter ego. L’indole e il misurarsi per il quieto vivere aveva generato in me un “mostro” che mi stava mangiando da dentro. E mi sono detta “O mi ammalo o la libero, questa bestia”. E così è nato questo progetto, AvA, l’alter ego di Laura, personaggio che alza la cresta anche a livello estetico (ride), che non ha mezzi termini o concetti moderati. È l’artefice dell’idea del sovranismo femminile senza passare per la parità di genere. Per ovvi motivi ho scelto come immagine rappresentativa proprio lo squalo. Lo squalo che nuota sotto il pelo dell’acqua e quando lo vedi è un pochino tardi. Il predatore all’apice della catena alimentare, solitario, implacabile e invincibile.

Rivoluzione femminile, matriarcato, non la parità di genere. Secondo te, a parte nella società, nell’ambito musicale come vedi la figura della donna?

Le donne sono messe malissimo, te lo dico per esperienza personale diretta, recentissima. La donna ha una data di scadenza perché deve essere appetibile per il maschio di turno, è questo il suo ruolo. Invece in ambito musicale, da dieci anni a questa parte se hai più di 25 anni sei fuori a prescindere da quanto tu possa essere brava e credibile. Questo mio progetto è molto presuntuoso. Alla veneranda età di 35 anni ho la presunzione di tirare fuori la testa. È una follia e probabilmente al 99% non ci riuscirò, non per niente recentemente mi ha chiamata un’etichetta discografica per tagliarmi le gambe da questo punto di vista.

Mi accennavi questa cosa del “tagliare le gambe” da parte di questa casa discografica, del loro management. Mi puoi spiegare meglio?

Solo per una questione anagrafica. La prima cosa che mi hanno chiesto è di scrivere questa cosa per altri. Il genere lo sanno che è arrivato e prenderà piede. Io l’ho introdotto a febbraio, adesso le stesse radio che non mi hanno ospitata, hanno fatto addirittura programmi su questa musica qua. Ho visto persone che approcciano il moombahton anche nei talent televisivi. L’aiuto che sto chiedendo a voi giornalisti, uomini, femministi, è quello di veicolare questo messaggio. La discografia, che ha come obiettivo quello di vendere, deve essere credibile. Se io faccio cantare le mie canzoni a una ventenne non risulterà mai credibile perché non ha quell’appeal. AvA ha vissuto queste cose, le scrive lei, non qualcun altro. Il pubblico non è stupido, la credibilità di un’artista fa la differenza. Ho il sogno di rompere questo muro. Quando sono andata lì ho detto tutte queste cose. Se c’è una 50enne che è credibile e vende, a voi cosa importa? Qual è il problema? Ma non mi hanno risposto…

Mi sembra, soprattutto, un corto circuito assurdo. Loro pensano che tu abbia troppi anni, quindi una questione di tempo, ma è proprio il tempo, il vissuto ad essere alla base per poter raccontare e cantare questi brani…

Esatto, per forza. Se devi raccontare, devi avere il tempo di viverle. La cosa che sto riscontrando è che c’è un gap enorme tra gli addetti ai lavori e la discografia. Voi siete concordi con me da questo punto di vista, la discografia no.

Abbiamo proprio davanti l’invasione di numerosi cloni di rap e trap in questi ultimi tempi…

Sì, basta che metti una qualsiasi playlist di Spotify. Ci sono canzoni che sembrano cantate dallo stesso artista e poi, invece, sono tutti differenti. Venti canzoni diverse ma sempre quella. C’è un appiattimento scandaloso.

Da quello che hai cantato nel tuo album, Il capo sono io, la Donna Alpha, c’è una sincerità di messaggio e di immagine anche extramusicale. Sincerità un’arma forte ma anche a doppio taglio?

È assolutamente un’arma a doppio taglio, soprattutto perché sono una donna. Per arrivare dal punto A al punto B ci ho messo il doppio dei miei colleghi uomini o mie colleghe donne che usavano escamotage. Non ce l’ho con loro, mi auspico che la maggior parte delle donne possano anche utilizzare il loro fascino, nulla di male. Ad AvA non importa nulla, lei dice le cose come stanno. Avere un’identità forte rende un’artista credibile. A lungo andare paga e rende un progetto inattaccabile. Se AvA si svegliasse domani e facesse un altro genere, sarebbe credibile perché lo scrive lei e lo produce lei. Sarebbe comunque credibile perché è lei. Avere un’opinione, in questo momento storico, è qualcosa che ti può andare contro.

Quindi, per te, se alla casa discografica di cui mi parlavi prima, si fosse presentato un uomo, con la tua stessa età e canzoni, sarebbe andata diversamente?

Sicuramente se avessero pensato che il genere musicale potesse andare non gli avrebbero fatto troppi problemi. Assolutamente. Anche perché gli esponenti internazionali di questo genere non sono mica ragazzini: Major Lazer, Diplo…sono quarantenni. È vero che sono progetti, come la Lopez, in ballo da vent’anni, sicuramente se fossi stata un uomo, un dj, un trapper, mi avrebbero dato una risposta diversa. Hanno segato ME non la mia musica.

Passami il termine e non una critica su di te, ma sentirsi rispondere così, non è stato umiliante?

Umiliante? Sono tornata a Roma e ho scritto una canzone intitolata “L’elaborazione del lutto”. Mi hanno buttato sotto un treno. È discriminante. Umiliante è poco, al contempo ti fa capire che se non la si svanga non dipende nemmeno da te. E quindi o abbandoni o ti ci metti ancora più di tigna e diventi presuntuosa e continui per la tua strada. Ho l’obiettivo di darmi poi alla produzione ma prima voglio acquistare quel minimo di autorevolezza che soltanto mettendo la testa fuori, ti puoi dare. Vedi Sia o LP che sono più grandi di me ma vedi ora dove stanno. In Italia nessuna delle due avrebbero avuto la possibilità di fare quello che hanno fatto. Con la casa discografica non ho chiuso le porte ma devo riflettere se continuare con il mio progetto, ci sto riflettendo in questi giorni.

C’è un 51% più da una parte?

(Sorride) Non lo so…credetemi. Più parlo con voi più mi accorgo di questo gap tra la discografia e il resto del mondo. Diventa utopico, anche, pensare di poterlo affrontare da sola, sia a livello fisico ma anche economico. È faticoso, di una difficoltà immane. Non richiede solo coraggio ma anche masochismo vero e proprio, una battaglia contro i mulini a vento.

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