Pula+ a Blogo: “Per me la musica è allargare, non stringere”
Ancora una volta il cantante torinese va oltre le aspettative, con un disco che si allontana dai “canoni della scena rap”.
Featuring Pula è il nuovo album di Pula+, artista torinese da sempre ascritto alla “scena rap”, ma che al contempo ne ha sempre spinto i limiti del genere (il disco del 2015, “Non Lo So”, è descritto come “disco di un genere indefinito”).
Certo, Non Lo So è uscito per l’etichetta di Dargen D’Amico, mentre il web-album del 2010 +PulaxTutti è prodotto da Fabri Fibra, e nel 2012 “Di Niente E Di Nessuno”, vedeva fra gli ospiti Fabri Fibra, Primo, Danti, Levante: ma ora, all’alba dei 35 anni, il cantante ha deciso di fare un ulteriore strappo alle regole, e si è autoprodotto il disco, con una campagna di successo su Musicraiser che ha quasi raddoppiato la richiesta iniziale: il risultato ha il titolo ironico di “Featuring Pula”, un disco senza featuring, la cui unica voce è proprio la sua. Anche le sonorità sono diverse da quelle che ci si aspetta, grazie anche alla base di chitarra.
Insomma, è tutto diverso. Anche il suo pubblico, forse: canzoni come “Capello Bianco” o “Freestyle del Freelance” toccano argomenti che il “pubblico medio di rap in Italia nel 2017” (ovvero giovanissimo) troverebbe molto distanti.
Abbiamo quindi parlato con Pula+ per approfondire alcuni di questi argomenti…
Ciao Pula+, iniziamo con una domanda semplice: parlaci di Featuring Pula, un disco con meno featuring di quel che ci si potrebbe aspettare…
…o con featuring in ogni brano. Solo che il featuring sono sempre e solo io. Un disco scritto con la collaborazione di me stesso, di ogni lato di me, in ogni brano.
Tanti artisti sognano un contratto con Universal, o anche solo di lavorare per (e con) Fibra o Dargen D’Amico. Tu hai ottenuto queste esperienze, ma poi hai deciso di tornare all’autoproduzione. Come mai?
La vita di un artista raramente è monotona, e la cosa principale è seguire il flusso degli eventi e dei propri bisogni. Fare musica non è solo uno stemma o una coccarda che ti appendi al petto. Per me è un’avventura, un bisogno di esplorare, a volte di imparare dai più grandi, altre (come questa) di ascoltare solo me stesso. Ho creduto di potermi permettere un viaggio in solitaria dopo aver imparato da alcuni mostri sacri, in primis i due che hai citato. Quindi è tutto consequenziale, è tutto parte di un disegno, ma non deciso da me. Io unisco i puntini, ma non so che disegno uscirà alla fine.
La tua campagna Musicraiser aveva dei traguardi fantastici e pieni d’amore. Rispetto ad altre piattaforme, purtroppo non si può ficcare il naso e vedere quante persone hanno sponsorizzato i traguardi più particolari. Ci puoi dare qualche dettaglio tu, o siamo troppo curiosi? Con quante persone ti sei trovato nel backstage “a lasciar succedere quel che succeda”, e con quante ti sei trovato a bere in studio?
Ora come ora non ho sottomano i numeri, ma il backstage live è stato comprato da una decina di persone… conta che qualcuno di loro non è venuto perché era troppo distante dal live a Torino (che era quello del pacchetto di Musicraiser). È stato comprato da alcuni utenti emiliani, lombardi, veneti. Neanche io so perché l’abbiano fatto, forse speravano di poter riuscire a venire. Altri hanno comprato il pacchetto in studio, altri i live o la birra insieme, e c’è anche chi ha approfittato dell’offerta di scrivere una canzone con me. È stato comprato ogni pacchetto presente, questa è stata la bella energia che ha mosso l’iniziativa. C’era un amore che spingeva la gente a sostenere il progetto a prescindere, anche oltre alcune logiche molto pratiche, vedi chi era in città o regioni lontane dalla mia.
Ascoltando Featuring Pula (non solo i testi, ma anche la musica, che ha una base di chitarre e non elettronica) c’è una sensazione, come se il rap ti fosse stretto. Io questo disco lo chiamerei un disco di un cantautore, sperando che non suoni come un insulto o un abbaglio troppo grande…
Se dovessimo fermarci alla definizione letterale di cantautore, per me sarebbe un enorme complimento. Digerisco un po’ male quello che si è costruito nella mentalità italiana dietro la parola “cantautore”, così come dietro la parola “indie”. Faccio fatica a ritrovarmi in certe metodologie prestabilite, in certi cliché. Vorrei, a volte, inserirmi in certe ondate più facilmente, ma ormai con il tempo ho capito la mia natura e ho fatto pace con lei. A me tutto in genere sta un po’ stretto, dal rap al non rap, dalla chitarra, ai synth. Mi sta stretto tutto, questo è il mio problema. Per me la musica è allargare, non stringere. Anche perché da allargare c’è sempre, lo spazio è infinito. Diversamente invece, puoi stringere solo fino a un certo punto.
Sono consapevole che quando uno ha una “teoria”, poi trova tutti gli indizi per confermarla, ma la canzone Addio A Modo Mio, supponendo che sia metaforica, quando dice “guardami, cosa sono diventato, un uomo sereno forse posso fare a meno di te” e soprattutto “guardati, cosa sei diventata, una puttana violentata, forse puoi fare a meno di me”, mi fa pensare che tu ti stia rivolgendo alla scena rap. Mi sbaglio alla grande?
In generale mi rivolgo alla musica, compresa la scena rap. Sei uno dei pochi che comunque non ha riferito quelle parole a una storia d’amore con una donna. Nella canzone, io volevo fare un po’ la voce grossa nei confronti della musica, parafrasando in effetti un rapporto conflittuale con una donna, in cui ti scappa anche la parola di troppo, in cui il modo di raccontare il tuo disagio è istintivo, sfugge alla razionalità. C’è tanto amore in quella canzone. È la fotografia di una lite, in cui ti incazzi, ti spintoni, ti spacchi i piatti addosso, piangi, ti abbracci e fai l’amore. Non si capisce niente e prima di andare a dormire sei frastornato, violentato da mille emozioni contrastanti. Addio “a modo mio”, proprio perché non è un vero addio, forse.
“Il Freestyle del Freelance” è un brano perfetto per un paio di trasmissioni di Radio 24 (sì, quando non ascolto musica io ascolto Oscar Giannino e Focus Economia). Ti posso suggerire di mandar loro il brano? Una esposizione su Radio24 potrebbe essere più fruttuosa che non su Radio DeeJay, di questi tempi?
Qualsiasi esposizione potrebbe essere fruttuosa o no, purtroppo certe dinamiche non le ho mai capite e ormai ho deciso di non interessarmene, ma solo per non farmi il sangue amaro. Se arrivano bene, se non arrivano bene uguale. Il disco, le canzoni in generale, sopravvivono a noi e resteranno per sempre qua.
Un testo come questo sui Freelance, o quello di Diego, è decisamente un testo maturo per ascoltatori maturi: qual è tuo pubblico?
Credo, e mi pare di vedere, che il mio pubblico vada dai 25 ai 30/35 anni. Ragazzi che stanno già annusando il mondo dei grandi o forse ci sono entrati da poco. Io non so fare canzoni se non per i miei coetanei: a 10 anni scrivevo canzoni che sarebbero piaciute ai bambini. A 20 avevo un pubblico di ventenni scatenati di rap italiano, di rivalsa e di canzoni autoreferenziali. A 30 ho i trentenni. A 90 suonerò per i vecchietti.
Appena uscito il disco, hai affrontato subito due concerti, a Milano e Torino. Com’è andata? Ne hai altri in programma, per l’Estate?
Bene, le prime date con le canzoni nuove sono sempre pregne di ansia, perché faccio fatica a ricordare tutti i brani. Quindi non le vivo mai bene, ma per fortuna è andato tutto ok, ho fatto così tante prove che probabilmente cantavo anche nel sonno. Per me è molto faticoso fare i live, perché li prendo molto sul serio. È una fatica positiva, bella, ma c’è.
Quando dico bella intendo che, per esempio, sabato a Torino sono venuti ragazzi anche da fuori città, chi da Milano, chi dalla Francia. E questo è fantastico. Per il resto, a breve avrò la riunione con il booking per interfacciarci sulle nuove date, quindi credo che usciranno nuove cose presto.
Grazie per il tuo tempo!
Grazie a voi, un abbraccio.