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Galup a Blogo: “Non si può fare la rockstar nel reggae”

Il cantante reggae ci racconta di Libero, il suo primo disco, in una lunga intervista…

pubblicato 23 Febbraio 2015 aggiornato 29 Agosto 2020 08:19

Ventidue anni, bresciano, cantante reggae. Nel 2013 è passato per X-Factor, sfruttando la sua breve eperienza lì per farsi conoscere al “grande pubblico” e costruire una rete di contatti che passano attraverso vari video su YouTube e soprattutto lunghi tour che l’hanno portato in tutta Italia. Questo è Galup, che ora debutta sul mercato discografico con Libero, il suo primo disco, uscito per la Strongvilla nel nome della contaminazione musicale, con un reggae cantato su basi a volte pop e a volte più spinte verso la drum’n’bass, con un occhio anche verso il mondo dell’hip-hop.
La cosa migliore, in un caso di musica così “contaminata”, è di schiacciare il tasto play nel video qui sopra, per godersi uno dei suoi singoli, e poi farsi presentare il disco direttamente da lui. Buona lettura!

Ciao Galup, partiamo dal “tema libero”: presenta te stesso e “Libero” ai lettori di Soundsblog!
Per me “Libero” è più di un progetto musicale: è ed è stato un viaggio durato due anni alla ricerca di me stesso, di nuovi amici, artisti e del mio sound. Volevo sperimentare, non volevo fare un classico disco reggae o hip hop. Grazie a StrongVilla, etichetta discografica e collettivo di sei persone, ho avuto l’opportunità di stare a contatto con sei identità differenti che mi hanno permesso di imparare come guardare la musica da più punti di vista. Tutto questo ha contaminato il mio modo di pensare permettendomi di allargare i miei orizzonti e la mia mente accettando le diverse realtà presenti nel collettivo che mi hanno dato voglia di non buttare via niente. L’occasione che ho avuto di avere a disposizione più teste, più amici, più collaboratori, produttori e soprattutto professionisti, mi ha fatto pensare che non potevo fare tutto di testa mia. Volevo dare la possibilità a più persone di intervenire all’interno del mio progetto, perché è questa la nostra filosofia di family, una collaborazione unica. Io sfiderei chiunque ad avere quattro produttori ed avere il coraggio di buttare via produzioni di qualità: la mia intenzione era quella di essere influenzato e contaminato non dall’intera scena italiana, dall’hip hop o dal reggae, ma dal pensiero di più persone all’interno di una casa, StrongVilla, per creare il mio suono, il mio stile.

E’ limitante venire presentato, ancora adesso, come “quello che ha fatto X-Factor”?
Sinceramente no, visto che continuo a essere ricordato per un programma in cui sono apparso tre minuti e a cui nemmeno ho partecipato realmente. Probabilmente ho lasciato un bel segno, difficile da dimenticare: resta una presentazione che amano fare i giornalisti, io ho sempre evitato di parlarne, non per paura ma perché per me è stata semplicemente un’avventura divertente, al di là della tv. Per me è stato un concorso come gli altri a cui ho partecipato in quegli anni, in cui ho incontrato tante belle persone e tanti falsi, con la differenza che sono riuscito a entrare nel cuore di tantissima gente in un colpo solo, gente che ha capito che non sono un interprete, ma un cantante originale che sa sorridere alla vita al di là delle difficoltà.
Essere serio non fa parte del mio modo di essere, non esiste nulla per cui vale davvero la pena di fare una faccia triste, nemmeno una figuraccia televisiva. La musica salva l’anima e dio, in più modi, mi ha fatto capire che devo tenere duro perché ora ho tante belle persone dietro di me che, in caso mollassi un attimo, mi tirerebbero su, perché semplicemente cantando sono riuscito certe volte a tirare su loro. Avere così tanta gente che crede in me nonostante sia uno sconosciuto è la cosa più forte che abbia mai provato: ora non sono più solo ho la mia gente, non grazie ad X Factor, ma grazie a quello in cui credo.

Purtroppo alla memoria di internet non si sfugge: cercando su Soundsblog “Galup”, ho trovato una scheda scritta da un redattore ai tempi di X-Factor, che ti descriveva come “partecipante di X-Factor che ha dimostrato di avere scarsa memoria, ma tanto amore per la musica (per il reggae) e un’ottima capacità di stare sul palco”. Ti ritrovi in questa descrizione?
Mi ritrovo di più in questa descrizione: ragazzo chiamato a casa per fare dei casting grazie ai video su YouTube, a cui hanno consegnato la canzone da cantare forse due giorni prima dell’esibizione.
Sinceramente con la produzione non si riusciva a trovare una linea per farmi risaltare in mezzo agli altri. Cioè, parliamone: io ero là per fare ciò che amo, cantare, invece di musica non si parlava mai! Allora ho deciso di fare di testa mia, volevo solo cantare canzoni mie perché sapevo che avrei fatto solo i casting e sapevo che anche solo 30 secondi di una mia canzone in TV avrebbero potuto darmi una visibilità nazionale. Poi in quel che si è visto, un po’ di magia di montaggio televisivo c’è, ma queste sono cose che deve sapere la gente senza che le dica io, stiamo parlando di show non di vita vera.

Come mai hai deciso di esprimerti con il reggae?
Ho semplicemente deciso di esprimermi e il mio cuore mi ha portato lì, poi la mia testa ha deciso di modificare il mio percorso e le mie produzioni in base alle esperienze che mi hanno arricchito, che mi hanno fatto capire che per essere ricordati bisogna fare un po’ di rivoluzione, bisogna creare critica e soprattutto bisogna divertirsi. E in questi due anni mi sto davvero divertendo e sto amando i regali, la gioia e le soddisfazioni che mi sta dando la vita arricchita dal reggae/dancehall in questa versione rivisitata da noi. Ci vuole allegria e spirito e questa musica mi ha dato ciò che cercavo, quindi, quando si sta bene, davvero bene, perché cambiare strada? 

Come vedi il presente della musica reggae in Italia? Ed il futuro?
Non credo di essere la persona giusta per rispondere a questa domanda… Non me lo chiedo perché ci sono troppi fondamentalisti in questo mondo, esattamente come nell’hip hop, che fermano il progresso. Sì certo, mi auguro un futuro radioso per il reggae italiano, ma nessuno in questi ultimi anni, tranne i Mellow Mood, sta facendo musica destinata a diventare immortale, a mio parere, perché tutto gira intorno alle solite cose e nessuno osa essere originale per paura delle critiche. Resto fermamente convinto che siamo in Italia ed il reggae italiano deve essere in italiano. Purtroppo noi italiani non sappiamo apprezzare niente di quanto c’è a casa nostra: sono sempre più bravi gli altri, in un altro stato o dall’altra parte del mondo. Quindi gli artisti nostri vogliono sembrare giamaicani. Questo è un approccio che non condivido: c’è chi fa di tutto per non sembrare italiano e c’è chi fa di tutto per creare serate con artisti che vengono dall’altra parte del mondo quando qua siamo pieni di gente di talento. Il futuro del reggae italiano dipende dall’unità vera di questa scena, ed essere uniti non vuol dire fare tutti la stessa musica: il reggae comunica un messaggio di pace e fratellanza che dovrebbe unirci nelle differenze, non dovrebbe dividere chi vuole cambiare mood da chi ha messo radici in questa cultura, anzi dovrebbe esserci una sorta di orgoglio nazionale tra artisti che dovrebbero essere onorati di non essere soli in questo stato a ricercare l’unione tra la gente. Purtroppo in tanti cercano la divisione per risaltare singolarmente nella scena, dimostrando un egoismo non ben accetto dalla cultura di questa musica. Vedrò un futuro migliore per il reggae italiano quando vedrò gli artisti che parlano di rispetto, rispettare veramente, quel che vedo è che la gente ci crede veramente, e questo è essenziale, ma chi comunica un messaggio, l’artista, deve capire che fa parte di quella bella gente e non è niente di più: piedi per terra, siamo tutti uguali, questo ci deve unire e questo potrà darci futuro, non si può fare le rockstar nel reggae.

Sul disco hai anche dato molta attenzione ai produttori – ad esempio Cianobi ha prodotto dei gran beat, a partire da Corro che si insinua sotto la pelle man mano che il brano va avanti…
Cianobi è stato il primo a credere in me: nel 2012 mi scrisse dicendomi “ho trovato un disco masterizzato con scritto Galup in macchina che mi diede un ragazzo a una festa e da li ho cominciato a cercarti sul web per incontrarti…”. Capiamoci, avrei mai potuto buttare via un tale segno del destino? Assolutamente no. Tutto comincio così, pura casualità. La mia musica già a quei tempi viaggiava più di me, quindi poco dopo, feci la mia prima visita nello studio a Mantova di StrongVilla e rimasi stupito dal clima, dalla fratellanza, dall’unione di questi cinque professionisti, ragazzi semplici, in una casa con a disposizione uno studio fenomenale. Con Cianobi, già ai tempi lavorai a “Corro”, canzone che scrissi anni prima durante i piccoli viaggi in solitudine fatti da adolescente tra Spagna, Belgio e Olanda, ma che con lui cambiò mood diventando qualcosa di unico, un inno alla fuga dagli amici che ci hanno deluso nella vita. Dopo “Corro” entrai a tutti gli effetti a far parte dell’etichetta con Cianobi come unico produttore, anche se a distanza di pochissimo tempo riuscii a far amare il mio progetto anche a Virgo, Kuma 19 e Dj Ferry (Karma Recordz), riuscendo a fare un album grazie a tutti loro che hanno sposato la mia voglia di cambiare qualcosa nella scena.

Sul Libero sono presenti anche canzoni che ormai hanno un paio d’anni e che hai già portato in giro per l’Italia, come Corro e Avevo Un Sogno. Gli altri brani sono più recenti, o “covavi” questi testi da anni?
Da anni covavo l’idea di un viaggio dentro di me, quindi ogni canzone l’ho vissuta, scritta e cantata con tanta carica. Sono legato a ogni traccia da ricordi differenti ma tutti meravigliosi e ogni titolo mi dà un’emozione. Non potrei essere più emozionato e soddisfatto: questo album è stato fatto canzone per canzone, passo dopo passo, viaggio dopo viaggio, l’ho scritto durante tutto il tour che mi ha portato in mezza Italia facendomi conoscere ancora più gente, ancora più artisti e ancora più persone legate al mio mondo. Anche grazie ai video girati durante l’anno ho avuto l’opportunità di vedere posti che mi hanno tolto il fiato. Tutto questo mi ha permesso di non pensare a un progetto vero e proprio ma il progetto si è creato da solo su di me, mi si è cucito addosso, ho solo letto i segni della vita. Nel disco non c’è nulla che ho scritto precedentemente, tutto quello che sempre farò sarà scrivere e comporre in base a cosa sto vivendo nel momento in cui scrivo. Non scriverò mai una canzone su un tema non inerente a me e alla mia vita, non avrebbe davvero emozione: parlo di ciò che conosco o di ciò che amo o temo. La forza del messaggio sta nel confessarsi in maniera naturale, senza sforzi di concetti “paranormali”: questo permette alle persone di immedesimarsi in me come se fossimo uguali, come se stessimo chiacchierando, come se per un attimo, indipendentemente da quello che io ho vissuto realmente mentre scrivevo, la gente avesse l’opportunità di legare a un proprio istante personale della vita una mia canzone. Credo che non esista energia più forte e positiva di questa.

Quale processo può portare dal chiedere “dammi libertà”, a finalmente proclamarsi “libero”?
Non c’è nessun processo, dipende da noi stessi: “Dammi libertà” è stata scritta e pensata come una preghiera, una confessione a dio, quasi una chiacchierata personale tra me e lui alla ricerca del mio benessere, soprattutto per quanto riguarda lo spirito e la mente… avevo bisogno di chiarimenti e per me non c’è modo migliore di chiarire le questioni con me stesso se non tramite composizione e scrittura. Per quanto riguarda “Libero” ho le idee chiare, nessun dubbio: in quella canzone parlo alla gente, in maniera diretta, più che altro ripeto ciò che le persone in qualche occasione hanno detto su di me in maniera ironica, ma in maniera aggressiva proclamo a chiunque la mia identità unica, libera da schemi canoni e imposizioni artistiche. Ognuno deve esprimersi come vuole. Regole? Nella musica? La musica è libertà di pensiero e di espressione, se qualcuno ha la capacità di scrivere le sue regole, che lo faccia pure! Nessuno, secondo me, ha il diritto di mettere in discussione le novità paragonandole al resto che già esiste. Creare senza prendere ispirazione ma semplicemente ascoltando il cervello e gli stimoli  è la carica più naturale che può esprimersi da un individuo libero di essere semplicemente se stesso.

Il lato live della tua musica è sempre stato fortissimo – sei andato in tour subito dopo X-Factor, con all’attivo solo un paio di singoli, e ancora oggi esprimi sempre la tua voglia costante di girare per concerti. Cosa ti dà la carica, in uno show?
Vedere la gioia negli occhi delle persone che urlano a squarciagola ogni strofa, vederle divertirsi perché ogni serata è unica e non può essere vissuta negativamente. Chi vuole vivere con entusiasmo una serata ricca di musica, indipendentemente che sia io o qualcun altro a fare uno show, non resterà mai deluso, il reggae sa regalare questo, al contrario dell’hip hop, mai nessuno verrà a guardarti pensando “vediamo se è bravo”, “vediamo se è una delusione”… tutti vengono a divertirsi e questo mi carica: le vibrazioni positive e il rispetto della gente! One Love.

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