Uscite discografiche Settembre 2010: recensioni (1° parte)
Linkin Park – A Thousand Suns: continua la discesa artistica di uno dei gruppi di maggior successo dell’ultimo decennio. Chi, dopo aver ascoltato “The Catalyst”, si aspettava una sterzata brusca verso certe sonorità dovrà ricrederesi, perchè se è vero che i Linkin Park con “A Thousand Suns” continuano la loro evoluzione (o meglio… involuzione) e
Linkin Park – A Thousand Suns: continua la discesa artistica di uno dei gruppi di maggior successo dell’ultimo decennio. Chi, dopo aver ascoltato “The Catalyst”, si aspettava una sterzata brusca verso certe sonorità dovrà ricrederesi, perchè se è vero che i Linkin Park con “A Thousand Suns” continuano la loro evoluzione (o meglio… involuzione) e il loro progressivo allontanamento dai territori rock, è anche vero che l’album presenta ancora una volta la solita alternanza fra ballate pop d’effetto (“Iridescent”, “Waiting For The End”, “Robot Boy”… suonano come dei Savage Garden del nuovo millennio) e brani più vicini al mondo dell’hip hop (“Wrectches And Kings”, “When They Come For Me”). Il resto è puro random fatto di interemezzi pseudo-sperimentali. “A Thousand Suns” è il punto più basso di una carriera che ha sempre visto una grande discrepanza fra qualità (bassa) e successo (enorme). Ma se in passato (soprattutto ai tempi di “Hybrid Theory”) potevano essere almeno considerati come una macchina da potenziali singoli, oggi neanche più quello. Un pasticcio. (z.) Voto: 4
Interpol – Interpol: intitolare il quarto disco con il proprio nome non è un buon segno, significa che mancano un po’ le idee. A otto anni dall’ineguagliato capolavoro “Turn On the Bright Lights”, gli Interpol ci propongono un’album in cui continua a mancare l’effetto sorpresa, peraltrò già assente in “Our Love to Admire” e, in parte, in “Antics”. Tutto da buttare quindi? La risposta è negativa, sia perchè comunque la classe degli Interpol è intatta, sia perchè, nonostante l’incapacità di evolversi in modo deciso, non mancano di certo i brani degni di nota, marchiati da atmosfere più scure rispetto al precedente album. Perso da parte, “Interpol, è un bel disco, ma purtroppo bisogna inserirlo sia nel contesto della carriera della band, sia in quello più generale. Interessante “The Undoing”. (z.) Voto: 6,5
Hurts – Happiness: sono bastati due singoloni, “Better Than Love” e “Wonderful Life”, per creare una buona dose di hype attorno all’album di debutto di questo duo di Manchester. C’è poco da fare, gli Hurts hanno una grande capacità di creare melodie terribilmente catchy ma non banali, proprio come accadeva nel miglior pop anni ’80. Sono convinto però che ci debba essere un limite nel riproporre i suoni del passato. Insomma se ho qualche euro a disposizione perchè dovrei spenderli per “Happiness” e non per un vecchio disco dei Depeche Mode, Ultravox o Pet Shop Boys (magari in low-price)? Se si riesce a passare sopra a questo “piccolo” particolare, si può parlare di “Happiness” come di uno dei migliori dischi pop degli ultimi anni. (z.) Voto: 6/7
Uochi Toki – Cuore Amore Errore Disintegrazione: non ne sbagliano una. “Libro Audio” aveva il compito di dare agli Uochi Toki una maggiore visibilità, grazie ad una grande produzione, basi belle toste ma funzionali e alcuni dei testi più interessanti della loro (grande) carriera… insomma, se “Laze Biose” è il disco di culto, “Libro Audio” è il tipico “classico” da tramandare ai posteri. Con “Cuore Amore Errore Disintegrazione” cambiano leggermente direzione verso una maggiore ricercatezza e varietà sonora, rendendo il tutto un po’ più lento da assimilare. Probabilmente è il loro “Paul’s Boutique”. (z.) Voto: 7+
Röyksopp – Senior: la sindrome de “il primo disco è sempre il migliore” ha colpito anche i Röyksopp, difficilmente infatti torneranno mai ai livelli di “Melody A.M.”. Lo scorso anno uscì “Junior”, un discreto disco che mostrava la faccia più trascinante e pop del due norvegese. “Senior”, già dal titolo, è l’opposto. L’atmosfera rallenta, si dilata e si avvicina all’ambient-pop. Purtroppo per i Röyksopp quando si valuta un’album, bisogna sicuramente considerare la capacità di evolversi e di uscire dai propri “confini” musicali, ma anche (soprattutto) il risultato finale nudo e crudo e in “Senior” non c’è nulla di veramente memorabile, solo 9 brani che sembrano presi a random fra le discografie di altri artisti (Air su tutti). (z.) Voto: 5+
The Walkmen – Lisbon: In Italia sono semisconosciuti, ma in USA, da quando suonarono “The Rat” al Letterman Show, continuano ad essere fra i gruppi indie maggiormente aprezzati. Il loro sound nel corso degli anni è passato dal “NYndie” (vedi Strokes) ad una formula che profuma di antico, molto antico, spostando i confini musicali verso la tradizione americana più genuina figlia di Bob Dylan. Dopo il piccolo passo falso di “A Hundred Miles Off” (2006), i Walkmen tornarono alla grande con l’ottimo “You & Me” di due anni fa. “Lisbon” non si discosta molto dal predecessore e per questo si fa apprezzare leggermente meno. Assolutamente da ascoltare “Stranded”. (z.) Voto: 6/7
Weezer – Hurley: sorpresa sì o sorpresa no?? Difficile da dire: sorpresa-sì perchè “Hurley” è sicuramente meglio del precedente e disastroso “Raditude”, sorpresa-no perchè c’era veramente qualcuno che pensava che potessero fare di peggio? Lo scorso anno scrissi che li avevamo persi definitivamente, ma in realtà con “Hurley” dimostrano che c’è ancora qualche speranza. Attenzione però, non aspettatevi nulla di più che mezz’ora (circa 45 minuti nella versione deluxe, che contiene la cover di “Viva la Vida”) di spensieratezza all’insegna della sindrome di Peter Pan. (z.) Voto: 6
Salem – King Night: un progetto che riesce a creare un sottogenere nuovo non può passare inosservato. Ormai da qualche tempo il nome Salem (trio americano, da non confondere con il gruppo metal israeliano) è sulla bocca di molti appassionati. Il motivo? La “witch house”, un mix fra dubstep, beats HH, chillwave e dark-wave che ha lo scopo di infettare i club di mezzo mondo con atmosfere tetre, lugubri… epiche. “King Night” potrebbe diventare l’album simbolo di tutto il movimento, nonostante ci siano ancora molti margini di miglioramento. (z.) Voto: 7-
Brandon Flowers – Flamingo: Dopo tre album con i The Killers, Brandon Flowers ci presenta la sua prima opera solista. Un disco che poteva essere tranquillamente evitato… non si sentiva davvero bisogno di dieci canzoni simil-Killers, soprattutto dopo un disco debole come “Day & Age”. Album consigliato solamente ai fan del gruppo di Las Vegas che probabilmente apprezzeranno anche questa accozzaglia di leggero pop rock (un tempo si chiamava AOR), nella speranza che si sia trattato solamente di una sbandata temporanea.(z.) Voto: 5
The Script – Science & Faith: obbligati a ripetere il successo (quasi un milione di copie in UK) dell’omonimo debutto di due anni fa, trainato da un pezzo Sting-influenced come “The Man Who Can’t Be Moved”, il gruppo irlandese torna senza troppo clamore con questo “Science & Faith”, che poco aggiunge al loro, già fin troppo prevedibile, sound. Se vi piace il banale pop-rock di gruppi come One Republic o Fray, potrebbe anche fare per voi… (z.) Voto: 5
Superchunk – Majesty Shredding: l’album che non ti aspetti. I Superchunk tornano a nove anni di distanza dall’ultimo “Here’s to Shutting Up” con un disco sicuramente fuori dal tempo massimo, ma anche terribilmente fresco, soprattutto per una band con vent’anni di carriera alle spalle. Inalterata la capacità di scrivere melodie contagiose a metà fra indie rock e power pop. Magari da ascoltare insieme ai nuovi dei Weezer e dei Thermals. (z.) Voto: 6/7
Skunk Anansie – Wonderlustre: anni ’90, nessun capolavoro ma tre ottimi dischi, tanto che il loro scioglimento aveva lasciato un certo vuoto nel panorama mainstream. Poi la dubbia carriera solista di Skin e il ritorno dello scorso anno coronato con il greatest hits. “Wonderlustre” per molti versi sembra più un continuo dell’esperienza solista di Skin che il nuovo lavoro del gruppo che avevamo lasciato a “Post Orgasmic Chill”: arrangiamenti piatti e suoni prevedibili. L’alternanza fra pezzi tirati e ballad che in passato funzionava alla grande si trasforma in una sequenza di brani pop/rock che dicono e che lasciano veramente poco. (z.) Voto: 5
Manic Street Preachers – Postcards From a Young Man: Che fretta c’era?? E’ passato solamente un anno dal discreto “Journal for Plague Lovers” ma evidentemente i Manic Street Preachers avevano voglia di pubblicare altro materiale. Il problema è che “Postcards From a Young Man” è un disco debole, fiacco… che dice veramente poco. Nessuno chiede a loro di scrivere ancora oggi capolavori come “Motorcycle Emptiness”, “A Design for Life” o “If You Tolerate This…” ma almeno di mantenere i livelli decenti dei brani contenuti nei loro ultimi dischi. (z.) Voto: 5,5
Everything Everything – Man Alive Voto: 7 (z.)
Blonde Redhead – Penny Sparkle Voto: 7 (z.)
Stone Sour – Audio Secrecy Voto: 5/6 (z.)
Les Savy Fav – Root for Ruin Voto: 6+ (z.)
Oceansize – Self Preserved While the Bodies Float Up Voto: 6/7 (z.)
The High Violets – Cinema Voto: 6,5 (z.)
Grinderman – Grinderman 2 Voto: 6/7 (z.)
Tarja – What Lies Beneath Voto: 5 (z.)
The Thermals – Personal Life Voto: 6 (z.)
Tamaryn – The Waves Voto: 6/7 (z.)
Robyn – Body Talk Pt. 2 Voto: 6+ (z.)
The Charlatans – Who We Touch Voto: 6 (z.)
Mr.Milk – Mr.Milk Voto: 6,5 (z.)