Mark Ronson & the Business Intl: ascolta per intero “Record Collection”
Appena trentacinquenne, Mark Ronson è uno dei produttori e discografici più influenti degli ultimi anni. In ‘sala comandi’ dei lavori di artisti come Lily Allen (“Littlest Things”), Robbie Williams (“Lovelight”), Christina Aguilera (“Slow Down Baby”) e – soprattutto – responsabile del suono e della fortuna di Amy Winehouse, per cui ha prodotto “Rehab”, “You Know
Appena trentacinquenne, Mark Ronson è uno dei produttori e discografici più influenti degli ultimi anni. In ‘sala comandi’ dei lavori di artisti come Lily Allen (“Littlest Things”), Robbie Williams (“Lovelight”), Christina Aguilera (“Slow Down Baby”) e – soprattutto – responsabile del suono e della fortuna di Amy Winehouse, per cui ha prodotto “Rehab”, “You Know I’m No Good”, “Back to Black” e “Love Is A Losing Game”.
Volendo provare a identificare il suo tratto distintivo, è praticamente obbligatorio soffermarsi sulla sua incredibile capacità di unire una evidente passione per il sound tradizionale e caldo del pop più legato al soul con le sonorità attuali e il ‘fiuto’ per quello che scatena il pubblico sul dance floor.
E’ sempre molto difficile per i produttori il salto verso la carriera solista. Nel caso di Ronson il problema è risolto brillantemente con l’utilizzo dei featuring: brani che vengono affidati alla voce giusta, attorno alla quale poi cerca di rifinire il suono complessivo fino a renderlo allo stesso tempo identificabile con il cantante e con la sua scrittura.
Esce oggi finalmente “Record Collection”: il nuovo disco a nome Mark Ronson & the Business Intl. Un disco nato durante alcune session ai Dunham Studios di Brooklyn lo scorso anno, dove Ronson – ispirato dai suoni anni ’80 di Nick Rhodes – porta delle tastiere vintage trovate su Ebay. Coinvolge Homer Steinweiss, il genio del sound ’60s regalato alla Winehouse e gli chiede di lavorare sulla falsariga delle produzioni dei Duran Duran. Poi, per non perdere l’atmosfera soulful, chiama anche Thomas Brenneck, chitarrista dei Dap-Kings.
I tre si chiudono in studio per due mesi, a “suonare semplicemente arrivando a delle basi che ci piacevano, fino a quando abbiamo avuto un po ‘di sound, qualcosa su cui valeva la pena proseguire il lavoro. Poi ho pensato di coinvolgere alcuni altri scrittori per le melodie ed i testi.”
Il risultato è un album che ospita una quantità di personaggi (tra scrittura, produzione ed esecuzioni) di cui si fa fatica a tenere il conto. La particolarità sta invece nell’intelligenza con cui ogni featuring è stato scelto. Non c’è una presenza che sia mero calcolo promozionale (Ronson non ne ha certo bisogno): tutto funziona a meraviglia proprio perché ogni artista è stato convocato per una particolare ragione: realizzare una specifica idea legata alla singola traccia.
Come in “Lose It (In The End)”, canzone scritta insieme a Jonathan Pierce dei The Drums, che Ronson stesso ha deciso di cantare (dopo aver preso lezioni dal maestro di Lady Gaga, su suggerimento di lei stessa). Voleva un pezzo alla Zombies /Turtles accompagnato da Ghostface Killah. “La mia voce suona così piccola accanto a Ghostface – è letteralmente schiacciata, quando lui entra nel brano. Ma io volevo che quella canzone suonasse come The RZA che campiona un disco dei Turtles e ci aggiunge un breakbeat”. Detto fatto.
Insomma, questo “Record Collection” finisce per essere un’opera pop monumentale. Un lavoro di cui si parlerà molto, soprattutto perché è – finora – la summa dell’esperienza di Ronson come produttore. Un disco che riesce anche nell’intento di divertire, con classe e gusto. Un disco che possiamo ascoltare per intero tramite il widget che trovate qui di seguito.