Rihanna: “Talk That Talk”, la recensione
Rihanna: la recensione di “Talk That Talk”
Già numero uno su iTunes in 15 paesi, “Talk That Talk”, l’ultimo album di Rihanna, s’appresta a debuttare nel mondo con un boom di vendite.
E’ un periodo d’oro per la cantante americana che, da qualche disco a questa parte, non ne sbaglia una. Non che le sia andata male in passato, anzi, ma da “Umbrella” in poi la sua carriera è stata sempre un crescendo di successi che non ha intenzione di fermarsi con quest’ultima prova.
Suddiviso in due versioni, una standard e l’altra deluxe, “Talk That Talk”, forte delle sue 14 tracce, dimostra ancora una volta la versatilità del personaggio capace di destreggiarsi tra stili diversi, tutti accomunati dal substrato pop, contesto che l’artista sta contribuendo a cambiare e quindi a far evolvere. Proporrà anche un disco ogni anno ma lo fa sempre senza cadere nella produzione frettolosa, quella che ti fa fare sgarri e che ti rovina per sempre. Segue la recensione.
1. You Da One.Per preparare il lettore a quello che l’aspetterà non poteva essere scelta traccia migliore alla partenza. Se una delle caratteristiche principali del pop è la spensieratezza allora “You Da One” riesce nell’intento di diffondere questa sensazione. Si tratta infatti di una midtempo, semplice, leggera e molto divertente che, giocando con i soliti balbetti a cui la cantante ci ha abituati e con un’influenza caraibica, fa avvicinare al disco con un sorriso. Voto: 7
2. Where Have You Been. E’ facile per canzoni dance dal piglio trance come questa accollarsi l’appellativo di “brano truzzo” ed io stesso non condivido il piacere che molti provano nell’ascoltare questa tipologia musicale. Insomma: viste tali premesse, ci sarebbero tutti i presupposti per non apprezzare la canzone. Ma siccome è di Rihanna che stiamo parlando, colei che è capace di rendere oro anche le cose più oscure, allora diventa evidente il motivo per il quale “Where Have You Been” non stufa. Si fa ascoltare senza storcere il naso non risultando nemmeno tamarra, trappola nella quale sarebbe stato facile cadere. I motivi di tale entusiasmo per il pezzo? Non saprei rispondere bene: forse è merito della sua voce, oppure della melodia infallibile o ancora della struttura non appesantita. Definiamola “magia di Rihanna” e lasciamoci portare dall’istinto, quello che non si presta a logiche, a razionalizzazioni o a spiegazioni sterili e non esaustive. Voto: 8
3. We Found Love (feat. Calvin Harris). Forse un tipo di dance più particolare e meno convenzionale rispetto alla traccia che la precede (Calvin Harris si è di sicuro superato in questa sua produzione) ma nonostante questo non colpisce nel segno come l’altra. Sarà la melodia meno accattivante e meno incisiva oppure il fatto stesso che venire, in ordine di successione, dopo un’altro brano da “discoteca” stanca. Indicatissima comunque la scelta di farlo diventare singolo… e i risultati in classifica sono sotto gli occhi di tutti. Voto: 7
4. Talk That Talk (ft. Jay-Z). Più sporca e cattiva rispetto alle altre ma non aggressiva. E’ qui che Rihanna ritorna nel ghetto accompagnata da Jay-Z il quale, messo ad un inizio brano in questo modo, impedisce alla canzone di aprirsi subito. L’apertura comunque arriva e lo fa nel momento esatto in cui parte il primo ritornello, urban, r’n’b ma non molto forte se vogliamo considerare un discorso di classifiche (almeno per ciò che concerne le charts pop). La produzione targata Stargate si fa sentire subito ma delude un pò rispetto a quello che hanno proposto in passato. Voto: 6 meno
5. Cockiness (Love It). E’ qui che si inizia a sperimentare. Questo è reso possibile da Bangladesh, producer capace di creare un’atmosfera confusionaria, psichedelica ed irresistibile. Potremmo definirla l’evoluzione moderna di Timbaland, uno che ha fatto storia ed ha aperto le strade del pop contemporaneo. La struttura della canzone è chiara anche se in continuo cambiamento: dal pop, all’r’n’b ad un pizzico di reggae/rap alla Nicki Minaj (vedi bridge). Qualcosa di nuovo che non dispiacerebbe ascoltare in futuro. Quello che non vorremmo invece sentire ancora sono testi di tale portata, vera pecca di questo disco. L’essere spudorati va bene ma bisognerebbe sempre far attenzione a non superare un certo limite. Voto: 9
6. Birthday Cake. Linea di basso molto evidente con continui claps che servono a mantenere viva l’attenzione. La melodia evoca una dimensione arabeggiante e questo non dispiace. Il tutto supportato da un sottofondo di frastuoni atto a conferire l’aggettivo “moderno” ad un brano che, se sviluppato meglio, avrebbe potuto dare qualcosa in più. Voto: 5 e mezzo
7. We All Want Love. La partenza della chitarra ci fa capire che si sta per cambiare strada rispetto a quella perseguita fino ad ora. Ed è questo il bello del disco: neanche il tempo di abituarti ad un genere che subito ne subentra un altro. Ciò dimostra che Rihanna ha molto da dire e lo fa in tutte le salse possibili. Adesso ha voglia di essere più romantica, pacata e dolce. Gli arrangiamenti l’aiutano nel ritrovare questa atmosfera.. e pure i No ID, i produttori. Il brano è sicuramente uno dei più deboli ma, data la sua collocazione strategica nell’album, scorre tranquillamente senza generare danni irreversibili. Voto: 6 meno
8. Drunk On Love. Si continua a restare nel mood romantico/lento (in questo caso è una midtempo), con la differenza che questa volta la mano degli Stargate “fa la differenza” (concedetemi la ripetizione). Questo voler far attendere il beat nelle strofe riesce a creare la giusta suspance che serve a far avvicinare al brano con molta curiosità: quello che si scopre è piacevolissimo. Una melodia orecchiabile per una produzione che ricorda quella “Te Amo” tanto apprezzata nel nostro bel paese. Voto: 9
9. Roc Me Out. Riesce a coinvolgermi di meno ma è fuori dubbio che gli Stargate, nuovamente chiamati all’appello, abbiano proposto alla cantante, per l’ennesima volta, un gioiellino non banale, non scontato e molto appetibile. Potremmo dire che RedOne sta a Lady Gaga così come gli Stargate a Rihanna oppure Timbaland a Justin Timberlake? Forse si. Voto: 6+
10. Watch n’ Learn. Pure il reggaeton. Rihanna non si lascia scappare via nulla e non poteva farsi sfuggire l’occasione di riproporre al grande pubblico quelle che sono le sue origini musicali, quelle più calienti, divertenti, fresche e piene di sex appeal. Viene dalle Barbados e non vuole farlo dimenticare. Si diverte a giocare con due tipi di registri vocali: uno si trova nei toni più bassi, l’altro in quelli più acuti. Sembra quasi che uno sia la risposta dell’altro. Voto: 8
11. Farewell. Ci voleva solo il ballatone finale. Ecco “Farewell”, pezzo prodotto da quell’Alex Da Kid, lo stesso artefice di “Love The Way You Lie” e “Castle Walls”. Lui è capace di creare canzoni da “passo a due”, piene di enfasi e calore, atmosfere evocate dai violini, dal pianoforte del bridge e dalla sessione ritmica non invadente. Manca forse la bella (bellissima) melodia nel ritornello ma va bene lo stesso. Voto: 7
12. Red Lipstick. Dark, inquietante e mediorentale. E ancora… misteriosa, particolare e tanto affascinante. Voto: 6 e mezzo
13. Do Ya Thing. Pezzo anonimo, chiaro riempitivo di un album che fino ad ora non ha compiuto nemmeno un passo falso. Voto: 4
14. Fool In Love. E ci si ostina a voler chiudere questa nuova era con una ballata… e c’hanno pure ragione vista l’ottima consistenza della canzone. Una Rihanna che finalmente mostra le proprie abilità vocali caratterizzate da vocalizzi (agilissimi), toni acuti e cambi di registro in falsetto acchiappa emozione (come mi piace definirli). Una ballatona dedicata a “mammà e papà” di quelle classiche (resa comunque moderna da qualche suono elettronico) in cui l’incalzare della batteria nella seconda parte e l’incursione da protagonista della chitarra elettrica nel finale fanno la loro bella figura. Voto: 9