One Direction, This Is Us: il film raccontato da un metallaro
In anteprima la recensione del film in 3D degli 1D, con i commenti e le opinioni da un punto di vista un po’ particolare…
Ho avuto il privilegio di assistere alla prima proiezione in anteprima italiana di One Direction, This Is Us: il documentario sulla teen boy-band inglese. Sì, un metallaro all’anteprima. Un metallaro che si è offerto volontario, per due motivi: il regista Morgan Spurlock è un gran documentarista, quello che in SuperSize Me mangiava McDonald’s per un mese rischiando la vita, quello che in Che fine ha fatto Osama Bin Laden? cercava il terrorista “chiedendo in giro” in Afghanistan, quello che aveva trovato cinque fantastiche storie alla San Diego Comicon per Comic-Con: Episode IV – A Fan’s Hope. Un gran regista con grandi idee: sarebbe quindi riuscito a farmi capire cosa ci trovano milioni (e milioni e milioni) di fan, di “directioners” in quelli che per il resto del mondo sono solo dei bimbiminkia, cinque ragazzi inglesi baciati dalla fortuna ma non dal talento?
La risposta, diciamolo subito, è “no”: nel film non si vede niente del processo compositivo delle canzoni, dell’arte musicale. Si vedono tantissimi spezzoni di concerti, dei cantanti ragazzi con in mano il microfono, un po’ di vita on-the-road, e viene tracciata la brevissima storia della band, nata totalmente sotto i riflettori. Scartati come singoli da X-Factor in Inghilterra, vengono ‘assemblati’ al volo come gruppo e arrivano secondi. Ma le fan sono già impazzite, e il loro sostegno li porta immediatamente in vetta alle classifiche con il primo singolo, prima ancora che si parli di un album o di un tour. Da lì in poi, la band è in vetta, sempre e comunque, arrivando alla fine del tour mondiale a suonare in Messico per 65,000 persone. Nel film si vede questo, l’ascesa in ascensore velocissimo verso il successo. C’è poco delle storie personali dei singoli, mentre si possono godere di momenti di baldoria fra backstage. Intendiamoci: si tratta di scherzi fra amici, nel film non si vede un goccio d’alcool, un grammo di droga o un centimetro di pelle nuda di fan o ammiratrici. Niente sesso, droga o rock and roll, per gli 1D: solo il calore delle fan, stando al documentario. Per le spettatrici del film in 3D, si possono invece ammirare lunghi scorci di petti nudi e un Harry Styles presumibilmente nudo a letto (mentre fa fatica ad alzarsi per andare a cantare sul disco). Per gli spettatori uomini, un bonus inquietante o intrigante (dipende dal vostro posizionamento nella scala della perversione umana): la telecamera tridimensionale spesso si adagia sulle tette delle fan ai concerti, e spesso si ha quasi la sensazione di venire schiaffeggiati da seni procaci.
Divagazioni a parte, la sezione musicale del film è man mano più imponente, al punto che verso la fine si susseguono brani dal vivo, più che sezioni documentaristiche. Una manna dal cielo per chi vuole cantare a squarciagola anche al cinema, ma la cosa diventa un po’ noiosa, alla lunga. Per la gioia italiana, sono presenti anche i concerti a Verona e Milano, con un brevissimo spezzone live e delle interviste alle fan, comprese quelle che sotto all’hotel degli One Direction offrivano pizza.
Per la parte più strettamente documentaristica, la mano del regista è totalmente assente, se non nello spezzone geniale in cui un neurochirurgo spiega che le fan non sono “pazze”, ma solo “eccitate”: le endorfine rilasciate dall’ascolto di musica piacevole stimolano tutto il corpo, e provocano reazioni simili all’orgasmo. Per il resto, pochi tocchi di genio (quando uno della band si traveste da tizio della security e va ad un concerto dicendo che gli 1D fanno schifo è una cosa molto divertente, anche per il fatto che sostanzialmente si sta guardando un finto 40enne barbuto che abborda ragazzine di 16 anni), e qualche occasione mancata: il ritorno dei cantanti alla loro “vita normale” è solo accennato (bello vedere chi torna a fare il panettiere per un giorno, facendosi anche palpare le chiappe dall’anziana proprietaria, o l’altro che lavorava in un negozio di giocattoli e suonava la tastiera quando non c’erano in giro clienti), e non è nemmeno sfruttato a fondo il momento in cui la band è in giro per Amsterdam in incognito e viene riconosciuta e letteralmente assediata dentro ad un negozio. Lì ci sono i lati oscuri del successo improvviso e planetario, un argomento che forse Spurlock avrebbe potuto indagare, ma per il quale sicuramente non ha avuto mano libera.
Riassumendo: il film non cambierà l’opinione di nessuno sui One Direction, anzi probabilmente se la band non piace, è anche inutile vederlo – quindi non scandalizzatevi se “un metallaro” l’ha visto, l’ho fatto per tutti voi e per riferirne il contenuto!
Le fan, invece, troveranno dozzine di momenti memorabili, e alla fin fin è questo quello che conta, anche se si sta parlando di cinque ragazzi dotati di buona voce ma le cui canzoni sono scritte da altre persone, il cui successo è tutto legato ad un format televisivo e ad una pubblicità martellante. Si meritano il successo? Al momento, sicuramente sì. E dal vivo si impegnano parecchio. Almeno quello!
Per i fan del metal, il consiglio è di tenersi stretti i Vulgar Videos dei Pantera, il miglior documentario su quel che succede ad una band in tour. Sesso, droga, rock and roll, metal, nudità, follie, Dimebag Darrell. Bisogna vederselo un paio di volte, ora, per espirare la “colpa” di aver assistito a questa anteprima. E se siete fan degli 1D e state leggendo questa “recensione metallara”, date anche voi un’occhiata ai Vulgar Videos. Magari cambierete fede musicale, e vi sporcherete con il mondo del rock and roll… dove la gente è molto meno perfetta, dove si suda e si sanguina sul palco, e dove ci si scrive le proprie canzoni, pur non arrivando mai a suonare per 65,000 persone. Una vita più ‘vera’, più longeva artisticamente: non è un caso se verso la fine di questo documentario gli One Direction parlano del loro futuro, immaginando quando tutto questo sarà finito.
PS: la versione che ho visto io in anteprima era tutta in inglese, senza sottotitoli. C’è da sperare che per la versione “al pubblico” siano presenti sottotitoli italiani (o almeno inglesi), perchè altrimenti bisognerà chiedere conto al sistema scolastico italiano del perchè le fan usciranno dal cinema senza aver capito moltissimo…