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Primavera Sound 2012: il diario

Report Primavera Sound 2012: resoconto del festival

pubblicato 5 Giugno 2012 aggiornato 30 Agosto 2020 15:18


L’avevo atteso per dodici mesi e lo stesso farò per i prossimi dodici: il San Miguel Primavera Sound si riconferma un evento imperdibile per tutti gli appassionati di musica. Lo scorso anno era andata così, quest’anno se possibile è andata ancora meglio.

30 Maggio : la serata di apertura/benvenuto è affidata al centro di Barcellona (il festival vero e proprio si svolge al Parc Del Forum nella zona nord della città). Ad aprire le danze ci pensano i No More Lies, ma il mio Primavera inizia ufficialmente con i The Walkmen all’Arc de Triomf. Come nel 2011, la band americana fatica a coinvolgermi, nonostante apprezzi i loro dischi. Meglio è andata con i Black Lips: set tirato, loro marci come al solito con il pubblico a seguire. Il tempo di una decina di brani e poi di corsa (piedi+metro) verso l’Apolo, dove la fila per entrare era già così impressionante da scoraggiare chiunque. Una volta dentro, seconda fila conquistata per aspettare i Chairlift. L’ultimo album della band di Brooklyn l’ho apprezzato ma live sono forse ancora meglio: la presenza scenica e le movenze di Caroline Polachek sono la marcia in più ma tutto nel complesso funziona egregiamente. Si rimane a Brooklyn (non mancano infatti i Friends tra il pubblico) e dopo i Chairlift salgono sul palco i Beach Fossils (a proposito tenete d’occhio i DIVE/Diiv), carini ma abbastanza dimenticabili, come forse poco memorabile è il disco di debutto di Kindness, che invece in versione live porta sul palco il meglio del suo personaggio: assurdo capellone alto e magro, tra improbabili balletti funk e atmosfera da NY club in era disco. Il tutto sotto gli occhi attenti (…) dei Black Lips, giunti all’Apolo subito dopo aver finito di suonare.

31 Maggio : – il giorno hipster – si inizia a fare sul serio, destinazione Parc Del Forum. Sole (che mai abbandonerà l’evento) e quell’atmosfera unica, forse dovuta ai grandi spazi e alle architetture caratteristiche che solo il Primavera Sound può vantare. Coda impressionante per ritirare il press pass e poi dentro. Passeggiare per il Forum nelle ore pomeridiane con pochissima gente, i primi concerti e i soundcheck in lontananza è decisamente suggestivo. Con l’arrivo al Parc del Forum iniziano anche le sovrapposizioni tra artisti e conseguenti difficili scelte dettate sia dai gusti/importanza sia dalla lontananza dei palchi. Il primo live che guardo è quello dei Purity Ring, progetto che da mesi sta facendo parlare di sè e che a breve pubblicherà l’album d’esordio. Prima fila e il duo Megan James (bambolina tondeggiante) e Corin Roddick (suona uno strumento particolarissimo composto da “lampade-sonore”) a smorzare la calura con le fredde sonorità tra elettronica, witch e art-pop. Ci si catapulta poi dalla parte opposta del Parc (10 minuti buoni) al palco Mini (ex Llevant) per vedere i Friends. Visti dieci giorni prima a Milano, la band di Brooklyn sembra a proprio agio anche in contesti di queste dimensioni. Album di debutto suonato quasi nella sua interezza, trascinando il pubblico con tanto di stage diving (o quasi) dell’ancora infortunata (a Milano era in stampelle, qua solo fasciata) Samantha Urbani. Per completare il trittico da first line si ritorna al palco Pitchfork per vedere, dopo un paio di canzoni dei giovani punk danesi Iceage, l’attesissima Grimes (un paio di giorni prima all’Hana Bi di Marina di Ravenna aveva avuto qualche problema tecnico). Claire Boucher/Grimes è il personaggio chiave del future pop e nonostante qualche imprecisione (monta tutto da sola…), conferma il titolo, tenendo bene e intrattenendo il pubblico, anche grazie a un gruppo di assurdi e (forse?) improvvisati ballerini. Sia chiaro, in contemporanea suonava gente del calibro di Field Music, Lee Ranaldo e soprattutto il grande ritorno degli Afghan Whigs, ma non mi pento della scelta Grimes. Fare un festival vuol dire anche subire l’influenza dei tuoi compagni di viaggio: se tutti vogliono vedere un gruppo ci si va… anche se a rimetterci sono due nomi storici come Mudhoney e Mazzy Star (che avrei visto molto volentieri). Così si torna al Mini per i Death Cab For Cutie mentre iniziano a riecheggiare le note di “I Will Possess Your Heart”. La band di Ben Gibbard se ne esce in modo dignitoso, senza grossi momenti topici (la scaletta e buona, ma un paio di classiconi non avrebbero guastato) ma con tanta esperienza, piccolo problema tecnico a parte. A questo punto la scelta era andare a vedere i Wilco nel main stage (il San Miguel), rimanere al Mini per Beirut o fare una piccola pausa cibo/bagno. Opto per l’ultima opzione prima di guardare tre brani dei Thee Oh Sees all’ATP (troppo poco per giudicare) e prima di tornare al Mini. Ultimi minuti dei Beirut (che non mi ha lasciato nulla, per quel poco che ho visto) e poi più vicini possibile per i The xx (sì, lo so… c’erano i Refused al Ray Ban, non ricordatemelo). Inizio un po’ tiepido, ma poi il crescendo è uno di quelli da incorniciare: dietro agli algidi Romy e Oliver, Jamie XX inizia a tirare fuori dal cilindro alcuni numeri veramente notevoli. Brani del primo album in parte rivisitati e nuovi pezzi molto interessanti con basi belle corpose. Dopo questo live le aspettative sul sophomore “Coexist” aumentano a dismisura. Altro momento stanchezza… rimanere 30 minuti al Mini aspettando gli Spiritualized (che volevo comunque vedere…) o andare al San Miguel dove suonano i Franz Ferdinand (che non disprezzo… anzi, però in quel momento non ci stavano)? Nessuno dei due, meglio incamminarsi con calma verso il Vice (con pausa press con i black metallari Wolves In The Throne Room in sottofondo) per prendersi le prime file del set dei Japandroids. Scelta azzeccata in generale, un po’ meno per l’udito. Il duo di Vancouver pesta veramente come pochi e setta tutto a volumi veramente impressionanti. Brian ha la foga di uno Springsteen invasato e sembra suonare due chitarre e basso contemporaneamente e David imprime energia primordiale. Inizia il club-time, prima un passaggio veloce da The Field (5 minuti e già ero ipnotizzato) e poi di corsa all’esordio live di John Talabot che stava chiudendo il set. John non mi ha impressionato, su disco le sensazioni erano migliori. Veloce ritorno al Pitchfork per Rustie (delusione) e poi quasi chiusura sui ritmi di Erol Alkan.

1 Giugno : – il giorno del divertimento – si arriva con discreta calma, si salta Laura Marling all’Auditori (già vista a San Francisco) e si aspetta al San Miguel l’arrivo degli Other Lives. Bel live, ottimi musicisti (ancora più folk che su disco, dove c’era qualcosa anche di National/Interpol) da non far rimpiangere, in parte, i Fleet Foxes dello scorso anno. Di corsa poi al palco Adidas per omaggiare l’italia con Boxeur the Coeur e poi verso il Pitchfork per vedere Dirty Beaches. In due sul palco (Alex Zhang Hungtai defilato sulla destra) e 15 minuti per capire che è l’ora di muoversi e correre verso il Mini dove stanno per salire i Girls (in contemporanea I Break Horses e gli ottimi Lower Dens, purtroppo), autori di uno dei più bei dischi del 2011. Christopher Owens, per vari motivi non esattamente l’immagine della buona salute, in camicia rosa, trio spettacolare di coriste e mazzi di fiori ovunque. Suonano bene e i pezzi sono pura gioia per le orecchie. Con dispiacere per i The War On Drugs (che comunque suonano a brevissimo in Italia) e gli interessanti Liturgy (i Melvins a quanto pare hanno perso l’aereo), la destinazione è il main stage dove arrivano i big, ovvero i The Cure. Non ero partito con l’idea di vederli, o almeno pensavo di sacrificare gran parte del live per altro ed invece hanno piazzato i classiconi uno dietro l’altro e preso bene non riuscivo più ad andare via, almeno per 2/3 del lungo concerto. Piccolo passaggio al Vice per vedere i Mayhem (palco addobbato come se si trattasse di un rito satanico), giusto per dire di averli visti, prima di andare al Ray Ban per i The Drums. Al lontano Mini c’era M83 (anche lui in Italia tra poco) e all’ATP i grandissimi Codeine, ma tutto sembrava voler dire “stasera ci si diverte” e di conseguenza la scelta The Drums era la più azzeccata. Jonathan Pierce & co non saranno delle cime, ma i pezzi hanno il tiro giusto post-Smiths per far muovere la gente e intrattenere il pubblico al punto giusto. Veloce salto al Pitchfork per SBTRKT (più convincente rispetto all’ultimo Robot di Bologna) per continuare a ballare (anche per questo motivo evitati i pur buoni The Men) e poi su al San Miguel per i The Rapture. L’ultimo album mi ha convinto a metà ma live sono veramente una bomba (nonostante la dipartita di Mattie Safer… che Gabriel Andruzzi sostituisce bene). Club-time con la dubstep tamarra di Benga (anche lui bello ruffiano, ma in certe occasioni la qualità passa in secondo piano) e la disco di Aeroplane (stesso discorso di Benga) che sul finale ripesca brani altrui, Arcade Fire compresi. Arriva l’alba ma si continua a ballare fino a oltre le sei, nonostante i piedi fossero completamente distrutti. Zombie-walk verso la metro.

2 Giugno : – il giorno emozionale – con l’accumularsi della stanchezza, è necessario fermarsi un attimo e lasciare spazio alle emozioni. Il terzo giorno al Parc Del Forum inizia all’interno della (stupenda) struttura dell’Auditori per vedere l’ex Fleet Foxes Josh Tillman sotto il nome di Father John Misty. Molti parlano tremendamente bene del disco… a me è piaciuto ma nulla che mi abbia fatto strappare i capelli dalla testa… lo stesso il live. Lui è molto bravo (era completamente da solo, contrariamente a recenti apparizioni televisive) e la voce non gli manca… ma è troppo poser e l’atteggiamento da “sono un figo” guasta non poco. Si esce alla luce del sole per vedere Sharon Van Etten al San Miguel dopo aver acquistato (a 2€) il biglietto per Jeff Mangum. Sharon non riesce a prendermi, il live cresce solo nelle rare accelerazioni dell’impianto rock e la sensazione è che tutti, me compreso, stessero aspettando l’esecuzione di “Serpents”… che probabilmente si è tenuta per ultima. Ci muoviamo quindi nuovamente verso l’Auditori per vedere Jeff Mangum (mi interessavano anche i Veronica Falls, ma erano al Mini e con il senno di poi è andata bene così). Jeff è storia della musica indie (e non solo), con i Neutral Milk Hotel nel 1998 pubblicò il masterpiece assoluto “In the Aeroplane Over the Sea”. Vederlo nuovamente sul palco a cantare quelle stesse canzoni (anche se in solitaria) dopo tanti anni è occasione rara da non lasciarsi scappare. Lui ripaga, attirando rispetto e commuovendo per la quantità di intima onestà che riesce a sprigionare. Atmosfera unica. Dopo un’ora così toccante i King of Convenience non possono che uscirne sconfitti. Venti minuti per loro e poi diretto verso il Mini (neanche un salto da Atlas Sound, lo scorso anno al Primavera con i Deerhunter) per prendersi le posizioni migliori per i Beach House, anche a costo di sentire gli ultimi minuti di live degli spagnoli Grupo De Expertos Solynieve. L’attesa per i Beach House è trepidante: il nuovo disco è già un must e chi li aveva già visti (sempre al Primavera, due anni fa) ne parlava come un live da vedere assolutamente. Palco e luci suggestive, band lontana dal pubblico, quasi nascosta. Poca interazione (rientra nei personaggi), bella atmosfera ma probabilmente le aspettative erano troppo alte. Di corsa verso il Pitchfork (dove avevano da poco terminato i Real Estate) per accaparrarsi le prime file per il live dei Chromatics (il loro “Kill For Love” è ancora il top dell’anno per quanto mi riguarda). Loro come i Beach House sono forse più una band da ascolto su disco… chiudi gli occhi e la mente fa i suoi viaggi. In particolare i Chromatics ricreano l’atmosfera perfetta per guidare in solitaria nella notte, cosa che nel live non traspare. Traspare invece il grande talento al synth di Johnny Jewel, vera mente della band. La voglia di vedere qualche minuto di The Weeknd è tanta, ma alla fine la vincono i Wild Beasts, nonostante li avessi già visti a Bologna. Loro veramente bravi, a volte quasi troppo bravi… il rischio più grande in futuro sarà proprio questo… l’eccesso di bravura. Andare fino al Mini per la fine dei Yo La Tengo non ha senso e la stanchezza inizia a farsi sentire prepotentemente. Un salto al San Miguel per i Justice (bolgia vista forse solo per i Cure in questa edizione… anche se la fiumana di gente post-Beach House non era forse tanto inferiore), poi giù dalle scalinate prima al Pitchfork dove Washed Out mi ha riconfermato che live non riesce a ricreare le atmosfere chillose del disco e poi al Vice con un po’ di step-house dettata da Jamie XX. Il finale è tutto per il valido Neon Indian al Ray Ban, visto sulle gradinate con le ultime forze rimaste. Niente Scuba… il giorno dopo si torna a casa.

Quasi 40 acts visti e zero rimpianti, nonostante alcune scelte dolorose. See you next year!

Foto di Eugenia Angelini
Wild Beasts @ Primavera Sound 2012 Images

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The Chromatics @ Primavera Sound 2012 Images
Beach House @ Primavera Sound 2012 Images
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Jeff Mangum @ Primavera Sound 2012 Images
Sharon Van Etten @ Primavera Sound 2012 Images
Father John Misty @ Primavera Sound 2012 Images
l\'alba @ Primavera Sound 2012 Images
The Rapture @ Primavera Sound 2012 Images
The Drums @ Primavera Sound 2012 Images
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The Cure @ Primavera Sound 2012 Images
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Girls @ Primavera Sound 2012 Images
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Other Lives @ Primavera Sound 2012 Images
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Japandroids @ Primavera Sound 2012 Images
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Friends @ Primavera Sound 2012 Images
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The Chromatics @ Primavera Sound 2012 Images
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Kings of Convenience @Primavera Sound 2012 Images