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Thom Yorke contro Spotify: “E’ l’ultimo respiro di un morto”

Il cantante dei Radiohead spiega perché è contro lo streaming online della musica

pubblicato 4 Ottobre 2013 aggiornato 30 Agosto 2020 03:44

Mentre Paul McCartney lo corteggia a distanza per un duetto desideratissimo (che speriamo si possa realizzare), Thom Yorke continua il suo lavoro con gli Atoms For Peace, il progetto parallelo che tiene assieme a Flea dei Red Hot Chili Peppers, e interviene con la sua opinione sull’annosa questione dello streaming online, già discussa anche dai Pink Floyd e all’alba dei tempi nell’epica battaglia Metallica contro Napster del 2001.

In una lunga e intervista per un giornale messicano, il frontman dei Radiohead ha toccato diversi aspetti della sua carriera di musicista, cantante e improvvisato ballerino (come nel video di Lotus Flower della sua band primaria e successivamente in Ingenue degli Atoms For Peace), fino al momento cruciale della dichiarazione sulle tendenze della musica e la fruizione musicale che recentemente ha preso piede: per una star della musica formatasi negli anni Ottanta ed esplosa nel decennio successivo, il confronto col passato è più impietoso che mai.

Sento che il modo in cui le persone ascoltano la musica sta attraversando una fase di transizione. Credo che noi come musicisti dobbiamo combattere Spotify. Mi sembra che in qualche modo quello che sta succedendo nella musica che va di moda ora sia l’ultimo singhiozzo della vecchia industria. Una volta che quella sarà morta, e lo sarà, qualcos’altro apparirà: ma tutto ciò riguarda il cambiamento nel modo di ascoltare la musica, è ciò che succederà in termini di tecnologia e di come le persone parleranno tra loro di musica. Molto di tutto questo potrà essere maledettamente brutto. Non vado dietro a tutta quella gente dentro l’industria musicale che dice “beh, è quello che ci resta: dobbiamo farlo”: non sono d’accordo, punto.

Per spiegare la sua posizione, Thom Yorke ha raccontato dell’esperienza con In Rainbows, il disco dei Radiohead uscito nel 2007 che si propose come metodo alternativo al download illegale della musica, procedendo con il sistema dell’offerta libera per l’acquisto dell’album direttamente dal sito della band. A suo dire, Spotify ha interrotto questo processo intimo tra artista e fan:

Quando abbiamo fatto quella cosa di In Rainbows, la cosa più eccitante era l’idea di avere un legame diretto tra te come musicista e il tuo pubblico. Tagliavi tutto fuori, era solo così. E poi arrivano tutti ‘sti stron*i come Spotify, che cercano subito di diventare i guardiani dell’intero processo. Non ci serve che lo facciate. Nessun artista ha bisogno che lo facciate. Possiamo pensare alle stron*ate da soli, quindi vaffanc**o!

Il problema, per Thom Yorke, è a monte e parte sempre dalle case discografiche, ormai concentrate sul business prima di tutto.

Le case discografiche sono d’accordo perché vedono un modo di rivendere tutta la roba vecchia quasi gratis, fare fortuna e non morire. Ecco perché per me tutto Spotify è una battaglia di tutti, perché è il futuro della musica. Riguarda proprio se credere in un futuro della musica, come nell’industria del cinema, come con i libri. Per me non è la tendenza del momento: questa è l’ultima scoreggia, l’ultima scoreggia disperata di un corpo morente. Quello che succederà dopo è la parte importante.

Una bella posizione polemica e netta per il cantante dei Radiohead, che non offre molte soluzioni se non un ritorno al rapporto quasi diretto con i fan, pur essendo superstar planetarie.

Voi siete d’accordo con Thom Yorke contro Spotify?

Via | Sopitas, Alternative Nation

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