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Beirut band, un nuovo corso per la musica indie

Che il fenomeno indie (la musica di Bloc Party, Arctic Monkeys e Franz Ferdinand, per intenderci) stia cambiando bruscamente direzione dopo aver dominato gli ultimi anni, è ormai chiaro sopratutto dopo il successo di band come Arcade Fire, The Go! Team, I’m From Barcelona. E il prossimo album dei Beirut, stravagante progetto dell’autore-polistrumentista Zach Condon,

pubblicato 30 Settembre 2007 aggiornato 1 Settembre 2020 00:54

Che il fenomeno indie (la musica di Bloc Party, Arctic Monkeys e Franz Ferdinand, per intenderci) stia cambiando bruscamente direzione dopo aver dominato gli ultimi anni, è ormai chiaro sopratutto dopo il successo di band come Arcade Fire, The Go! Team, I’m From Barcelona. E il prossimo album dei Beirut, stravagante progetto dell’autore-polistrumentista Zach Condon, potrebbe essere il punto di svolta. Strana storia quella di Condon, ragazzo prodigio di Albuquerque che a 15 anni produceva da solo, nella sua cameretta, brani doo-wop e electro-pop. A 16 anni, nonostante un ottimo curriculum scolastico, lascia il liceo e parte per un lungo viaggio in Europa, un viaggio liberatorio dove tra eccessi, sbronze e avventure romantiche, scopre la musica gitana e balcanica. Narra la leggenda che una sera, sentendo della strana musica arrivare dall’appartamento sopra il suo, sia finito in mezzo a un gruppo di musicisti gitani e che in una sola notte abbia maturato “The Gulag Orkestar”, il suo primo album.

Descriverlo non è facile: prendete una buona dose di Goran Bregovic (il musicista dei film di Emir Kusturica), aggiungete la voce sognante di Thom Yorke, l’atteggiamento vagamente stradaiolo alla Beck e una spruzzata di densa malinconia (incredibile in un ragazzo di soli 19 anni) e avrete un’idea delle atmosfere dell’album. Dopo questa esperienza, Condon si trasferisce a Parigi dove ciò che resta dello spirito bohemien gli ispira l’ep Long Island, uscito nella primavera del 2007. Il caratteristico sound balcanico viene leggermente smorzato dalle fisarmoniche, che riportano direttamente alla Parigi che fu la Ville Lumière di fine ‘800, come nella struggente “Elephant Gun”: echi di fredde mansarde (la tipica abitazione dei bohemien), di romanticismo maledetto, di Rimbaud e di bottiglie di vino scolate per non sentire il male dell’esistenza. Intanto il nome dei Beirt comincia a uscire dai blog di appassionati e dalle riviste specializzate per farsi conoscere da un pubblico più vasto.

Il nuovo album, “The flying club cup”, in uscita il 9 ottobre, risente ancora di più delle influenze parigine, anche se non mancano l’ukulele (la tipica chitarrina hawaiana strumento preferito di Condon) e i fiati gitani che hanno reso famoso il sound del gruppo. Se l’album avrà il successo che ci auguriamo, potrebbe essere l’inizio di qualcosa di più grande, e speriamo anche più originale, della scena indie rock dominante. E’ possibile ascoltare parte del nuovo album è sul sito flyingclubcup.com, e intanto vediamoci il video della romantica “Postcard from Italy”, dall’album “The gulag orkestar”.

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