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Fotografi Metal: Sisto Catalano, dai Maiden alle Dive

Metal Shock, Metal Hammer, un calendario di Kerrang… e la famosa foto di James Hetfield in via Montenapoleone. Una lunga chiacchierata con un fotografo che è passato dal sudore del metal alle riviste patinate di gossip

pubblicato 23 Luglio 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 15:20

Sisto Catalano ha dato molto alla fotografia metal italiana, presentandosi al posto giusto nel momento giusto e, dal 1993, collaborando con Metal Shock e Metal Hammer, arrivando fino alle pagine di un calendario di Kerrang. Vederlo ai concerti era un piacere, così come leggere le sue opinioni schiette su interviste e live report, ma ad un certo punto, nel 2006, si ritirò dalle scene – non smise di fare fotografie, ma cambiò nettamente campo d’azione, e da quel giorno fu più probabile vedere un suo scatto in copertina di Chi o Eva 3000, piuttosto che su Metal Shock. Con lui (purtroppo) della fotografia metal si parla al passato, ma è un passato glorioso. Incontrato di persona in un bar per l’intervista, gli occhi gli si illuminano mentre si perde nei ricordi di questo o quello scatto: abbiamo avuto la fortuna di poter sentire direttamente da lui qualche racconto storico…

Partiamo dalle basi: come, quando e soprattutto perchè hai intrapreso la strada di fotografo di concerti?

Inizierei dal perchè: volevo essere un testimone oculare di quel che succedeva in questi famosi posti di Milano in cui sembrava succedere tutto, per la scena metal. Io abitavo in Calabria, per andare ad un concerto impiegavo dodici ore in treno, me lo godevo, poi tornavo a casa dopo altre dodici ore e raccontavo agli amici quel che avevo visto, ma dopoo qualche tempo ho iniziato a sentire l’esigenza di scattare foto, per la “necessità” di essere gli “occhi” di qualcuno al Sud che non poteva vivere i concerti in prima persona.
Il come… ho trovato le persone giuste a cui sono presentato al momento giusto, come Giusy Colagrossi, che mi diede fiducia per diventare il fotografo responsabile su Milano per alcune riviste dopo aver apprezzato alcune foto che le avevo inviato. E’ stato nel 1993, da lì è iniziato tutto.

E perchè hai scelto la scena metal (e affini, ovviamente – hard rock, un po’ di punk…), per praticare le tue doti fotografiche?

Semplicemente, io sono un f0ttut0 metallaro, dalla testa ai piedi, non c’è mai stato dubbio sui soggetti che avrei voluto fotografare: solo metal! I miei fotografi preferiti quando ho iniziato erano PG Brunelli, Carmelo Giordano, Ross Halfin e Neil Zlozower, tutti fotografi che si muovevano in campo hard rock/metal, quindi i miei riferimenti sia musicali che fotografici erano quelli.

Ti sei mai spinto a fotografare qualche band che si allontanasse nettamente dalla scena metal? Come ti sei sentito in quei casi?

Dopo qualche tempo a fotografare concerti ho iniziato a lavorare per una agenzia, e lì mi chiamavano loro per coprire qualche concerto importante di musica leggera italiana: era lavoro, nessun problema… anzi, dopo tanta esperienza nel fotografare matti che corrono su un palco al buio, fare foto a Claudio Baglioni o Tiziano Ferro era un lavoro facilissimo, per me erano super-statici, prendevo subito la posa che volevo, anche tipo Robbie Williams che correva un po’ di più, era illuminato a giorno, nessun problema.

Sei stato testimone del passaggio da pellicola a digitale. Come l’hai vissuto?

Per il modo in cui lavoro io, non ho trovato enormi differenze passando al digitale: da anni ero abituato ad andare ad un concerto e poter scattare un massimo di 72, massimo 96 foto, con il rullino, e questa etica è rimasta a lungo: voglio scattare foto buone alla prima. Certo, magari potendo scattare senza costi mille foto, è più facile trovare una espressione migliore, ma questo ha anche abbassato la professionalità di chi lavora nel pit: anche un quasi principiante può scattare duemila foto, e fidati che una decina di almeno buone ci sono, e quindi la competizione è molto più forte, perchè l’esperienza conta un po’ meno di una volta.
Una volta ti dico com’era, con i rullini: innanzi tutto, c’era la spesa per comprare i rullini (e poi per svilupparli), quindi non c’erano “appassionati squattrinati” a far foto, ma solo persone serie e motivate. Poi c’era l’adrenalina di sapere che non potevi sbagliare, avevi 72 pose a disposizione e dovevi prenderle nel momento giusto, e sempre al momento giusto dovevi cambiare al volo il rullino, aprendo la macchina fotografica, facendo ingranare la pellicola e magari scegliendo se cambiare gli ISO del rullino nuovo, se vedevi che il concerto era più buio del previsto. E se poi il palco si illuminava all’improvviso, le foto ti si “bruciavano” ed eri fregato.
Quanta adrenalina… adesso lo ammetto, il digitale più che altro mi ha impigrito, perchè so che tenendo premuto il pulsante la mia macchina fotografica scatta dieci foto in un secondo. Visti anche i soggetti che fotografo ora, ammetto che la tecnica fotografica conta solo per un 10%, mentre il resto è tutto indagini, appostamento, attese… non puoi pretendere uno scatto iconico, se stai fotografando qualcuno di nascosto da 200 metri di distanza.
Con la pellicola poi io lavoravo su diapositiva (su richiesta degli editori), quindi c’era anche meno possibilità di sistemare le foto durante lo sviluppo. C’era il momento della selezione con la lente d’ingrandimento guardando le diapositive, le impacchettavo, le spedivo in posta… c’era una certo rapporto fisico con le tue foto, mentre adesso è tutto un po’ più freddo e sterile.

Vorresti tornare indietro ai tempi della pellicola, quindi?

Vorrei tornare indietro nel tempo con una bella digitale, ecco! Anche perchè avevamo dei costi enormi, e quando andavamo ai festival dovevamo portarci chili di rullini, da conservare al fresco… mi godrei un po’ più i concerti, con una digitale nel 1990!

Cos’è una serata “fotograficamente no” per te?

Serate “no” non ne ho mai avute, altrimenti non sarei mai uscito di casa se avessi avuto paura di qualche problema. Ogni sera in cui andavo a fotografare era una serata “sì”, anche perchè con l’esperienza iniziavo a conoscere i locali, quindi sapevo il psoto giusto in cui mettermi, sapevo che luci mi sarei potuto aspettare… Poi d’accordo, incidenti potevano succedere, ricordo purtroppo la sera in cui ebbi l’onore di fotografare BB King, ma per distrazione sbagliai i tempi di posa e di 72 foto non se ne salvò nemmeno una. Fu una cosa terribile, ma frutto di un mio errore, non di una “serata no” per colpa di qualcun altro.
Io le considero tutte “serate sì” perchè adoravo il momento in cui entravo nel photo-pit, sentivo l’odore del palco e del pubblico, le urla dei fan, il momento in cui si spegnevano le luci, i tuoi beniamini che ti si mettono davanti, mentre tu per le prime tre canzoni stai nel miglior posto del club o dell’arena… ovviamente ero lì per lavoro e dovevo fare delle buone foto, e quindi cercavo di essere sempre all’altezza, ma l’emozione era sempre fortissima e tutte le serate erano “sì”.

Ci mostri una foto che ti ha dato soddisfazioni? E ci dici perchè te le ha date, queste soddisfazioni?

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Questa, è la prima foto che ho mai fatto a Steve Harris da sotto al palco, ed è stata epica: dopo aver visto gli Iron Maiden in tantissimi tour, finalmente ottenni un photo-pass per il tour di X-Factor. La data milanese aveva un palco con tre passerelle che andavano verso il pubblico, io mi piazzai a metà di due passerelle, dalla parte dove sta di solito Steve Harris. Il concerto inizia, vedo tutti, vedo Janick, vedo quella schifezza di Blaze Bailey, faccio foto a tutta la band, vedo tutti… ma Steve Harris dov’era? Mi guardo in giro, mi sporgo sul palco… inizio a imprecare e Roberto Villani, accanto a me nel pit, mi dice: “Oh Sisto guarda che sta dietro di te!”. Steve aveva iniziato il concerto andando subito sul bordo di una delle passerelle, quasi a toccare il pubblico, e quindi io guardando il palco non lo vedevo! Mi sono girato ed era lì, per me è stato come vedere una statua di un dio: prima i piedi, poi le gambe, il basso, la faccia… era esattamente sopra di me e ho scattato questa foto.
Posso aggiungere un’altra storia legata ai Maiden, ma questa volta legata ad una foto che non ho potuto scattare? Una volta venni invitato ad un warm-up show a Tolosa in Francia. Arrivo lì prendendo tre treni (perchè ho paura di volare), e scopro che il tour manager non voleva fotografi perchè non era un concerto ufficiale, le scenografie non erano ancora perfezionate, era uno show per soli fan… a me crolla il mondo addosso, mi lamento, e lui allora mi dice che in cambio mi avrebbe consentito di fare foto per qualche canzone in più quando i Maiden sarebbero passati per Imola all’Heineken Jammin’ Festival, e soprattutto avrei potuto salire sul palco a cantare i cori di “Heaven Can Wait”. Cavolo, pace fatta subito, e pazienza per le foto!
Però se all’epoca ci fossero stati i cellulari e le macchine digitali, qualcuno mi avrebbe fatto una foto mentre ero sul palco, e invece sono qui ancora alla ricerca di qualche ricordo…

C’è stato un momento in cui la tua attività di fotografo metal e la nuova attività di paparazzo hanno combaciato: tu sei l’autore del famosissimo scatto di James Hetfield che esce dal negozio di Armani in Via Montenapoleone a Milano. C’è una storia, dietro quella foto?

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Quella foto mi è costata molto… mi è costata la stima che avevo per i Metallica!
Mi trovavo in ricognizione in Via Montenapoleone, come spesso facevo in quei tempi, e ad un certo punto mi vedo sbucare James Hetfield dal negozio di Armani: immediatamente ho iniziato a scattare foto. Lui mi ha visto e mi ha detto di smettere, io gli ho spiegato che è un personaggio pubblico in luogo pubblico, e per legge mi era consentito far foto. Gli ho anche spiegato che comunque ero un fan dei Metallica, che non volevo metterlo in cattiva luce, lui mi ha guardato e ha detto: “Tu un fan? Non mi sembra proprio! Fuck Off!”, e allora ho risposto “A me dici Fuck Off? MaVaffancul0! Non ti riconosco più, ti avevo visto nel tour di Master Of Puppets con i Metal Church di supporto, ignoranza pura…”. Mi è caduto un mito.
Voglio dire, ho fotografato anche Bruce Springsteen nella stessa situazione, sempre in Montenapoleone, e mi ha visto, abbiamo parlato, gli ho stretto la mano dicendo che era un fan, tutto tranquillo. E invece James si è rintanato nel negozio aspettando che arrivassero le guardie del corpo per scortarlo fuori. Che caduta di stile, che caduta di un mito.

Qual è la soddisfazione più grande che ti sei preso fino ad ora, grazie alle foto scattate ai concerti?

Aver pubblicato una mia foto sul calendario di Kerrang del 2007, una foto dei Trivium backstage al Rainbow di Milano. Tra dodici fotografi, compreso Ross Halfin, c’era anche una mia foto: una gran soddisfazione, e per questo rngrazierò sempre Barbara Francone, che all’epoca si occupava di RoadRunner e mi concesse questa photo session esclusiva da cui fu poi scelta la foto.

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Come mai hai deciso di cambiare genere fotografico e lasciare il campo della live metal photography, per passare alle riviste di gossip?

Io credo di essere adatto ad una fotografia d’azione, e quindi ho deciso di cercare l’azione anche DIETRO la foto, non solo davanti: il lavoro che faccio ora mi richiede di correre sullo scooter, appostarmi, trovare il luogo giusto… è un lavoro molto fisico, che ho scelto di perseguire quando ho smesso di sentire l’adrenalina nel photo pit. Forse è anche una cosa legata all’avvento del digitale, perchè nel pit ho iniziato a vedere ragazzi con equipaggiamenti dieci volte più potenti (e costosi) dei miei, che trattavano il concerto come una seccatura, qualcosa che dovevano fare quasi per forza o per fare i fighi, e questo non era più l’ambiente in cui mi riconoscevo. Poi c’è stata anche una crisi dell’industria musicale, e quindi mi sono allontanato.
Mi è costato questo, perchè comunque la sento come una ferita nell’anima il non far parte in prima persona più di questo mondo meraviglioso…

Come si vive un concerto da “semplice” spettatore, dopo essere stato per anni nel posto migliore del club (come dicevi tu), e senza la scarica di adrenalina di cui parlavi prima?

E’ dal 2008 che non andavo ad un concerto – gli ultimi visti sono stati gli Iron Maiden al Gods Of Metal.
Ieri han suonato i Maiden a Milano, per motivi lavorativi non sarei comunque potuto andare, ma se ci fossi andato durante i primi tre pezzi probabilmente avrei sofferto come un maiale, guardando le luci, le posizioni, immaginando cosa avrei potuto fare… Dal quarto pezzo in poi, quando i fotografi escono dal pit e nessuno avrebbe più potuto scattare, mi sarei rilassato… tra l’altro la quarta canzone in questo tour è Tears Of A Clown, e io un po’ magari avrei pianto, ma essendo un clown mi sarebbe passata.
Mi è venuto in mente che in effetti fra il 2008 e il 2016 un altro concerto l’ho visto, quello dei Wasp all’Alcatraz nel 2012. Il concerto mi è piaciuto, ma mi sentivo strano perchè non ero sotto al palco con i miei amici (non colleghi, ma amici!). Se posso fare un paragone forte, mi sentivo un po’ come i boss mafiosi che dopo quindici anni di carcere escono e non contano più niente, ero un po’ spaesato senza i miei punti di riferimento, senza un pass… è stato strano.

Facciamo un po’ di gossip: c’è qualche personaggio pubblico che sotto sotto è metallaro, che magari hai beccato ad un concerto metal o con una maglietta metallara?

Il primo che mi viene in mente è Francesco Facchinetti, DJ Francesco: è un vero amante del metal, e anche suo padre Roby, voce dei Pooh, è stato avvistato ad un paio di edizioni del Gods Of Metal. Poi Enrico Ruggeri, grande fan di Alice Cooper, ci sono anche J.Ax e Caparezza… Eros Ramazzotti è appassionato di AC/DC.

Però son tutti musicisti. Qualcuno di insospettabile?

Riccardo Scamarcio. Non me ne vengono in mente altri, al momento, ma Scamarcio è davvero appassionato di heavy metal.

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