Britney Spears, Glory: un album che gioca con la sensualità senza strizzare l’occhio alle immediate hit da ballare [recensione]
Glory di Britney Spears: la recensione del disco su Blogo.it
“Glory è il mio miglior lavoro. (…) Ho davvero avuto il tempo di lavorare con persone davvero, davvero grandiose … Julia Michaels e Justin Tranter. Solo produttori incredibili e grandi autori. E’ stato un dono”
Britney Spears ha descritto così il suo nuovo album, pochi giorni prima dell’uscita ufficiale e qualche giorno dopo il leakaggio che ha colpito il disco. Risale a tre anni fa la sua ultima fatica, Britney Jean. Ai tempi, disse:
“Dopo aver avuto una difficile rottura di quest’anno, avevo molto da dire in studio quindi è stato bello avere una terapia nella scrittura delle canzoni ed essere in grado di condividerla con i miei fan … quindi è un vero e proprio album personale. Di solito le cose che realmente arrivano dal cuore sono la cosa migliore e il miglior beat. Davvero questo genere di cosa ti aiuta a superare la rottura più facilmente perché si canta di quello e ci pensi ogni notte. Ma poi quando sei lì pensi “Ok Va tutto bene, adesso sto esibendomi, quindi va tutto benissimo”
L’album non andò bene. Fu un flop se confrontato con i precedenti lavori della popstar: in classifica sparì dopo poco tempo e i singoli ufficiali rilasciati furono solamente due, Work Bitc* e la sfortunata ballad Perfume. Poi, Britney si dedicò a Las Vegas, ai suoi concerti, al deludente duetto con Iggy Azalea in Pretty Girls. Glory segna ufficialmente il suo ritorno, con un nuovo singolo Make Me (feat. G Eazy) e una serie di brani promozionali rilasciati nella settimane prima della data di pubblicazione dell’album. E adesso, con la sua nuova fatica, quello che possiamo ascoltare è sicuramente una evoluzione della popstar, apparentemente interessata a sperimentare un nuovo sound. A quasi trentacinque anni, giustamente -anche se con un po’ di malinconia- non possiamo più aspettarci di ascoltare una carrellata di pezzi bubble gum e pop come i primi dischi della sua carriera o il tanto amato Blackout. Questo, però, come vedremo, non è per forza un difetto.
Invitation è il brano che apre Glory, un pezzo delicato, quasi sussurrato e un vero e proprio invito a entrare in questo nuovo capitolo, la tanto chiacchierata differente era (“Here’s my invitation, baby, Hope it sets us free To know each other better, Put your love all over me, Here’s my invitation, baby, Come feel my energy, We give emotions to each other”). Bisogna spogliarsi di inibizioni (“Let inhibitions come undone”) ed essersi disposti a fare questo viaggio. Subito è il momento di Make Me, il primo singolo ufficiale dell’album. E’ il perfetto esempio del cambio di registro: il testo è ammiccante, sensuale, gioca con chi ascolta ma non eccede in un ritmo dance martellante, preferendo atmosfere più rarefatte e sinuose. Non è una hit pensata per scatenarsi in discoteca (l’opzione forse più facile e scontata per un comeback di presa commerciale immediata) ma più adatta a momenti “in due”. Private Show è ancora più pensato per l’attimo di coppia: Britney canta un momento di intimità, uno spettacolo sexy pensato per l’altra metà, uno show privato che non lesina twerking e tocchi (“Put on a private show, Pull the curtains until they close, I put on a private show, We’ll be whiling all on the low, Work it, work it, boy watch me work it, Slide down my pole, watch me spin it and twerk it”). Anche in questo caso, il titolo potrebbe far pensare a un pezzo alla Slave 4 u o Gimme More. No, non ci siamo. La sensualità non è più sbattuta in faccia ma sussurrata (quasi miagolata, in questa tonalità vocale…).
Man on the moon parla della ricerca dell’amore, quello vero, dell’uomo sulla luna, quello che non sparisce dopo qualche ora di divertimento (“Last night I was in your arms so strong, One small step and, baby, you were gone, Now there’s meaning in the saddest songs, All I do is cry and sing along”). Non è una ballad ma più una mid-tempo sulla capacità di avere pazienza e maggiore coscienza delle cose (“Patience, darling, wait for the night, Darkness comes and love comes alive”). Just Luv me è un semplice appello ad essere amata, con una intro che ricorda le atmosfere di Make Me (“But I’m not gonna ask you for nothing, Just luv me, just luv me, I’ma keep it simple, real simple Just luv me, just luv me I’m not gonna ask you for nothing”).
Clumsy, uno dei singoli promozionali rilasciati nelle settimane prima della pubblicazione di Glory, ritorna alle atmosfere e al ritmo più scanzonato. Descritto come una hit dance degna del repertorio del passato di Britney, non è altro che un pezzo che mostra una Britney più interessata a giocare con diverse vocalità (ed effetti sonori) con un testo ironico (“Call me a fool, call me insane, But don’t call it a day, Closer to you, closer to pain, It’s better than far away (ooh…)”). E’ più che altro Do You Wanna Come Over ad avere le caratteristiche più tipiche dei suoi pezzi da riempipista. Se c’è un pezzo, fino ad ora, con queste qualità e intenzione, lo stiamo ascoltando proprio in questa settima traccia (che in certi passaggi sembra strizzare a Me against the Music).
Slumber Party torna alle atmosfere da acrobazie da lenzuola anche nel testo (“No, n-no, no, you and I, I, I, We ain’t gonna sleep tonigh-igh-ight, Oh baby, no, n-no, no, you and I, I, I, We ain’t gonna sleep tonight (…) We use our bodies to make our own videos, Put on our music that makes us go fucking crazy, oh”) con atmosfere da “festa in pigiama” per adulti. Just Like Me ci fa finire direttamente all’interno di un triangolo, con lui tra due donne (e l’altra proprio uguale a Britney…) come lei canta nel ritornello (“She looks just like me, just like me, No, I just can’t believe, She looks just like me, just like me, Just like me, ooh, She can, she can, she can have you. She can, she can, she can have you”).
Love Me Down rischia l’effetto assuefazione nel ritornello con un “La-la-la-love me, La-la-la-love me, La-la-la-love me, down, down” che ci entra dentro anche solo per sfinimento. Hard to Forget Ya racconta la difficoltà (e l’impossibilità) di dimenticarci dell’altra persona (“It’s just so hard to forget ya, It’s just so hard to forget ya, There’s just something about ya, Something about ya, It’s hard to forget ya”) ma riesce a diventare martellante lì dove il precedente pezzo risultava quasi solamente ripetitivo. What You Need gioca con la sensualità esplosiva con il testo oltre che con la tonalità di voce più aggressiva rispetto ai precedenti brani (“I got what you want, I got what you need, Bringing out the fire inside of me. I got what you want, I got what you need, Bringing out the diva that lives in me, I got what you want, I got what you need”). Sale fino ad esplodere nel finale e poi chiudersi con la voce di una compiaciuta Britney (“That was fun!”). E proprio il divertimento nell’interpretarla traspare maggiormente.
Si torna allo strizzare l’occhio con la seduzione nel brano “Better“, cosa c’è di meglio che aprirsi uno all’altro e scoprirsi -letteralmente-? (“Open up cause it feels much better, When we open up for each other, And I know, Oh, oh, oh, oh, oh, oh, When you know somebody, Oh, oh, oh, oh, oh, oh, And they know your body, It’s so much better”). Change your mind smonta la tesi e l’immagine di un bravo ragazzo, tanto gentile, gentleman che è il caso di sbloccare e far smuovere superando il limite (“And don’t get me wrong, I appreciate ya, And don’t get me wrong, I really do, And don’t get me wrong, but I’m tired of waiting. Say you don’t wanna cross the line, But I’ma make you change your mind”).
Liar torna alle atmosfere immediate che esplodono fin dal primo ascolto, un po’ come accaduto con Do You wanna Come Over. Lui è un bugiardo, ormai è troppo tardi per le scuse, per perdonare e pregare in ginocchio (“Crawl, crawl, crawl, But I’m never gonna come, Baby cry, cry, cry, You ain’t fooling anyone You know I know that you know I know
That you’re a liar, a liar”). Disco friendly, sicuramente. If i’m dancing scivola via, innocua e indolore (“If I’m dancing, if I’m dancing, if I’m dancing, I know the music’s good, If we’re dancing, if we’re dancing, if we’re dancing, I know that we’ll be good”) mentre Coupure Electrique ci mostra una Britney in versione francese, per il brano più delicato e intimo dell’interno disco.
Glory è un disco che ricompensa i fan delusi da Britney Jean (è decisamente una spanna sopra al precedente lavoro) e che presenta, al suo interno, alcuni pezzi che potrebbero riportare i singolo della popstar ai piani alti delle classifiche, se accompagnati anche da un video di buon livello (Do You Wanna Come Over è il perfetto esempio). Dimenticate, voi che vi accingete ad ascoltare il disco, qualsiasi ballad: l’album non ha nessun Perfume o Everytime 2.0. La produzione è curata in ogni dettaglio, rischiando però il solito effetto: mascherare e coprire la voce di Miss Spears provocando overdose da effetti sonori per chi ascolta. E’ ai livelli del tanto agognato Blackout? No, ma è sicuramente il suo disco migliore da quei tempi e un capitolo nuovo per Britney che, almeno apparentemente, è tornata più in forma e divertita, presente, convincente, nei brani incisi.