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Stefano “Johnson” a Blogo: “I Righeira si sono sciolti definitivamente, ora pezzo con Nevruz. I talent sono una merd@”

La separazione dei Righeira, un nuovo singolo con Nevruz, l’opinione sui talent, i tormentoni e la carriera tappa per tappa – Intervista a Stefano Righi aka Johnson.

pubblicato 26 Settembre 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 13:34

L’estate non sta ancora finendo per Stefano Righi aka Johnson, 50% del duo Righeira. Il cantante torinese si gode gli ultimi caldi in quel di Formentera e ricarica le batterie in vista dei prossimi impegni artistici: c’è un brano con Nevruz in uscita il 10 ottobre 2016. Chiusa, invece, l’esperienza musicale con Stefano “Michael” Rota. “Da un anno abbandonante ci siamo separati”.

Vi spacciavate addirittura per fratelli.

“Nauseati dal nostro rapporto di amicizia, decidemmo di diventare fratelli. La gente ci credeva e continua a crederci tutt’oggi. Non volevano ingannare nessuno”.

“Zero talentuosi ma pieni di idee”. Vi eravate definiti così.

“Quella definizione appartiene all’epoca. Adesso, tutto sommato, c’è anche un po’ di mestiere”.

Il primo successo è stato Vamos a la Playa.

“Non sbagli. E’ una cosa che cerco di mettere in pratica il più spesso possibile, non a caso ti sto parlando da Formentera”.

Seriamente, il successo è stato importante.

“Ogni tanto si continua a sentire dappertutto, fortunatamente”.

La parola ‘tormentone’ nasce proprio in seguito a quel brano.

“Così si dice, anche se non l’abbiamo certo inventata noi. I tormentoni ci sono sempre stati, anche negli anni ’60. E noi stessi ci siamo ispirati a quelle canzoni lì, sviluppando le nostre idee in una maniera più moderna e tecnologica”.

Segue No tengo dinero. Un altro successo, un altro brano in spagnolo: come mai?

“Non cantavamo solo in spagnolo”.

Almeno all’inizio, i vostri brani di maggior successo erano solo in spagnolo.

“Spesso le canzoni nascevano in spagnolo, ma senza una strategia ben precisa. Tutto dipendeva da come suonava il brano. Visti i grandi i grandi successi, sicuramente inaspettati, lo spagnolo diventò il nostro marchio di fabbrica. E poi l’inglese ci sembrava banale”.

Erano i primi anni Ottanta ed eravate una rivelazione. Com’era diventare famosi all’improvviso?

“Non ce ne eravamo neanche resi conto. E’ successo tutto talmente veloce che noi non avevamo neanche avuto il tempo di annusare il cambiamento”.

Eravate al naja, il servizio militare, in quel periodo.

“Vivevamo una situazione ovattata, non ci rendevamo conto di quello che succedeva all’esterno. Andavamo in licenza a fare le apparizioni televisive, come il Festivalbar, e poi rientravamo in caserma. Non vivevamo quotidianamente il mondo esterno, lo vivevamo solo in quegli scampoli. Una volta finita la naja siamo usciti con la vita cambiata”.

Il rischio di montarsi la testa era alto.

“Tutto sommato, siamo sempre rimasti con i piedi per terra”.

1985. Fate doppietta vincendo sia il FestivalBar che Un disco per l’estate con L’estate sta finendo, lanciata a giugno.

“La casa discografica era gasata. C’era solo una perplessità su L’estate sta finendo. Uscendo in tarda primavera e parlando del periodo finale dell’estate, credevamo che la gente si potesse prendere male. Invece non solo nessuno si è preso male, ma la canzone è rimasta negli anni. Addirittura quando ci avviciniamo alla fine dell’estate tanti scrivono ‘e come dicevano i Righeira…’. Ma l’estate è sempre finita, anche prima di noi. Non abbiamo inventato niente”.

1986. Debuttate a Sanremo con Innamoratissimo (tu che fai battere forte il mio cuore), brano scritto da Rocco Tanica.

“Tanica collaborò e basta, non l’ha scritto interamente lui. Ma preferisco non parlare di Rocco Tanica, non ho nessun tipo di rapporto e non mi interessa parlare di lui”.

Come andò quel Sanremo?

“Arrivammo quindicesimi su diciotto, ma settimi in classifica. Andò benissimo per noi, nonostante fosse il primo Sanremo nel quale si cantava dal vivo e nonostante noi non avessimo tanta esperienza in merito. Personalmente mi emozionò moltissimo, forse anche troppo”.

Ogni volta vi presentavate vestiti in maniera particolare. Eravate “volutamente disgustosi, volutamente fastidiosi”.

“Partimmo con un’immagine new wave. Ad un certo punto, cominciammo a prendere in giro i gruppi britannici con i capelli vaporosi ed abiti simili ai loro. Era un gioco bonario”.

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A quel Sanremo segue un periodo di alti e bassi. Vi siete lasciati e ripresi spesso.

“Ci siamo sciolti una prima volta nel 1992 per poi rimettersi insieme nel 1999. Lo scorso anno, presumo definitivamente, ci siamo sciolti ancora. Lui (Stefano/Michael, ndr) ha fatto altre scelte artistiche, io continuo a cantare sia le vecchie canzoni che nuovi brani. Negli ultimi anni non c’era più sintonia artistica fra noi”.

Si diventa ricchi con i tormentoni?

“Io no. La torta va divisa in tante fette. Era successo tutto in maniera veloce, forse con un’esperienza maggiore si poteva gestire il tutto in maniera diversa. Per fortuna quelle canzoni non sono scomparse ma sono diventate un evergreen, questo permette ancora di lavorare e vivere una vita decente”.

Tocca inventarsi altro per vivere?

“Basta fare le serate, con i live sei apposto. Gli artisti non vendono più”.

Ti hanno mai tormentato quei brani?

“No. Il problema è capire come farne altri (ride, ndr). Il 10 ottobre uscirà un pezzo con il mio amico Nevruz, si intitola Sembra impossibile. Ha la fisionomia del tormentone per come è stata concepita, ha un ritornello orecchiabile. Ma da qui al fatto che lo possa diventare, ce ne passa”.

Nevruz con Stefano dei Righeira: due mondi apparentemente distanti anni luce.

“Siamo una coppia improbabile, sì. Invece siamo molto amici, non capitano spesso incontri di questo tipo. Mi sento un po’ il suo padrino: ha 20 anni meno di me, potrei essere suo padre. E’ il mio pupillo, una persona davvero meravigliosa”.

Lui arriva dai talent. Il tuo punto di vista su quel genere?

“Il mio punto di vista è esattamente identico a quello di Nevruz: sono una merda. Fondamentalmente sono fatti soltanto per motivi televisivi, non viene tenuto in considerazione il calibro artistico dei concorrenti. Poi ci sono quelli indubbiamente bravi che riescono a restare. Nevruz a suo tempo ha rifiutato contratti importanti perché volevano fargli fare quello che volevano loro e non quello che voleva lui. Ha ancora tanto da dire, infatti sta preparando il suo album”.

Sei il suo produttore?

“No, no. Abbiamo scritto solo un paio di brani insieme. Ogni volta che viene a casa mia, scriviamo un brano”.

Cosa vuoi dire a chi inserisce i Righeira fra le “meteore della musica italiana”?

“Non mi interessa, io sono ancora qua dopo trent’anni. Uno che dice una cosa del genere è un deficiente”.

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