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Bloc Party: “Intimacy”, la recensione

Uscito solo per il download (il cd uscirà il 27 di ottobre) e passato abbastanza sotto silenzio, “Intimacy” dei Bloc Party è uno di quei dischi che lascia perplessi. Non perchè sia brutto, anzi, è un gran bel disco. Ma la brusca virata dance lascia perlomeno disorientati. Il confronto con i due lavori precedenti poi

pubblicato 30 Settembre 2008 aggiornato 31 Agosto 2020 19:48


Uscito solo per il download (il cd uscirà il 27 di ottobre) e passato abbastanza sotto silenzio, “Intimacy” dei Bloc Party è uno di quei dischi che lascia perplessi. Non perchè sia brutto, anzi, è un gran bel disco. Ma la brusca virata dance lascia perlomeno disorientati. Il confronto con i due lavori precedenti poi è arduo, come voler paragonare il periodo blu di Picasso con quello rosa.

Quale era meglio? Impossibile rispondere. Eppure sono sempre loro, i Bloc Party, e si sente, nessun tradimento. C’è solo la voglia di sperimentare, di non chiudersi in un genere che dopo soli 6 anni rischia di essere finito. I puristi dell’indie rock magari storceranno il naso, ma bisogna rendere omaggio a un gruppo che, ancora giovane, sfida ogni logica di mercato, si reinventa e ci obbliga a fare i conti con la loro intera discografia.

A Londra il nu-rave va alla grande e si sente perchè la band di Kele Okereke confeziona un album che probabilmente spaccherà i dancefloor di mezza Europa. Lo si capisce dalle prime note di “Ares”, con quella batteria devastante rubata ai fratelli chimici e che forse aiuterà la rinascita del big beat. “Mercury” la conosciamo bene ormai, mentre in “Halo” ritroviamo i Bloc Party più rock con una sfuriata punk su cui, per amore degli ossimori, Okereke canta delicate parole d’amore.

“Biko” ruba le atmosfere al glitch noreuropeo (Royksopp, Telefon Tel Aviv), mentre “Trojan Horse” sembra schizofrenica col suo riff di chitarra nervoso e spezzato. “Signs” ritrova le atmosfere di “Blue Light”, ma c’è sempre una cassa in quarti a fare la differenza. “One month off” e “Zephyrus” scorrono via abbastanza anonime, mentre “Talons” – il nuovo singolo – è forse l’unica canzone in puro vecchio stile Bloc Party.

Ma il meglio arriva proprio alla fine: “Better than heaven” è uno splendido midtempo dove i sinth la fanno da padrona, mentre la conclusiva “Ion square” sembra un sognante omaggio ai – da troppo tempo silenziosi – Postal Service. Un disco bello? Si, molto. Più o meno dei primi due lavori? Impossibile dirlo, semplicemente è diverso. Intimo? Molto, tutti i testi sono profondi e personali, nati a quanto pare dalla fine del fidanzamento di Okereke, a fine 2007.

Mi astengo quindi da dare il classico voto, limitandomi a ripetere che il disco a me è piaciuto parecchio, ma so che il pubblico, come spesso accade in queste occasioni, sarà spaccato. Non ci resta quindi che dare la parola a voi: che ne pensate di “Intimacy”? Vi è piaciuto o no?

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