Rihanna – Unapologetic: la recensione
La recensione di “Unapologetic”: il nuovo album di Rihanna.
Settimo disco in sette anni, 30 milioni di copie vendute nel mondo e più di 60 milioni di singoli, il 777 Tour con cui sta attraversando sette paesi in sette giorni per sette performance: Rihanna è una ‘macchina’ infaticabile che finora è riuscita a gestire se stessa e il suo talento molto abilmente (“A volte le persone con cui lavoro mi vedono come una banconota. Dietro la mia immagine vedono numeri e vedono un prodotto. Io mi vedo più come artista che esprime la propria arte”). La conferma di questa capacità arriva anche con il nuovo album Unapologetic.
L’ennesima dimostrazione delle sue risorse come personaggio (nonostante le polemiche per il concerto a Stoccolma di Chris Brown), il riavvicinamento umano e artistico con un featuring dell’ex-compagno su “Nobody’s Business“: una risposta abbastanza chiara già dal titolo, con tanto di citazione da “The Way You Make Me Feel” di Michael Jackson in una traccia che deve molto alla scrittura del King Of Pop.
“Unapologetic” beneficia del solito stuolo di collaborazioni che restituisce un disco sapientemente in equilibrio tra dance, elettronica e ballads. “Love Without Tragedy/Mother Mary” è una lunga confessione con la voce in primo piano e una scrittura e una produzione tutta farina del sacco del – quasi – onnipresente Nash. Ritorno dietro le quinte per James Fauntleroy e Brian Kennedy (responsabili di metà delle tracce di “Rated R”) su “Get it over with“: i due conoscono benissimo le potenzialità di Rihanna, sanno come lasciar emergere le sue doti vocali e sfornano un pezzo di R’n’B downtempo che è probabilmente uno dei momenti più convincenti, soulful e misurati dell’album. No I.D. si diverte con le origini barbadiane della Nostra e con “No Love Allowed” piazza un brano reggae semplicissimo, ma molto efficace.
Se con “Love The Way You Like” Rihanna e Eminem avevano trovato un equilibrio funzionale, ‘stavolta su “Numb” faticano a imprimere una direzione del pezzo. Scarnissima la produzione, monotona la scrittura. Con due nomi simili ci si aspettava una ‘messa a fuoco’ decisamente di altro livello. Quando invece Rihanna torna sul suo ‘territorio’, sbanca: sia su “Pour It Up” – un altro colpo messo a segno dalla premiata ditta Planet VI – che su “Loveeeee Song“, con Future in un featuring che risolve il mood del brano con un ostinato autotune (“I need love and affection”), entrambi sorretti da una produzione elettronica ricercatissima.
“Jump” cita una hit anni ’90 (“Pony“) aggiungendo qualche verso e infilando un ritornello che non sfigurerebbe in un set di Skrillex. Se i due momenti con David Guetta in “Right now” e nell’apripista “Phresh Out The Runway” mostrano prestissimo la corda (ci penseranno i remix a far dimenticare le poche idee e la formula trita e ritrita), l’arma da classifica è – ovviamente – “Diamonds“, scritta da Sia Furler e destinata al successo. Le sorprese però sono “What Now” (un’altra ballad che svela una prova vocale molto convincente) e – soprattutto – “Stay“, traccia in cui duetta con Mikky Ekko (che firma anche il brano), entrambi accompagnati solamente da un piano per una performance intensa che ricorda alcuni momenti del cantautorato pop inglese degli anni ’70.
Il disco si chiude con “Lost in paradise“, una buona ballad (guastata da qualche scelta poco elegante nell’arrangiamento) che racchiude una sorta di messaggio di speranza: “It may be wrong but it feels right / All my fears are gone tonight / I’m so lost in paradise”. Tre i brani in più contenuti nella versione deluxe: due remix di “Diamonds” (incolore quello di Dave Aude, interessante downtempo quello di Gregor Salto) e “Half of me“, canzone scritta da Emeli Sandé che torna pesantemente nel seminato, senza scalfire un lavoro che dimostra come Rihanna abbia ancora molto da dire e continui a farlo spostando ogni volta l’assicella del suo percorso di interprete.
(6.5/7)