Top e flop del 2012 – I migliori album italiani e stranieri – la lista di intweetion
La lista del meglio e del peggio uscito nel 2012. Dischi dell’anno, artisti indipendenti italiani, singoli e delusioni dell’anno in musica.
Annata strana questa che ci lasciamo alle spalle. Innegabili i successi dell’hip-hop e della musica black in generale e la (ri-ritrovata) passione per la psichedelia di nuovo corso (quella post-Animal Collective, per intenderci) mentre in ambito pop i suoni si moltiplicano asciugandosi molto (per quanto possibile). Annata di hit planetarie e casi veri e propri, emersi quasi dal nulla. Tengono i grandi (Springsteen, Dylan), scivolano quelli a un passo dall’essere consegnati alla Storia, mostrando incertezze rivelatrici (i Muse, su tutti).
In Italia la situazione langue: da un lato le major cercano di urlare più forte dei talent (e finiscono per chiedere aiuto creando inquietanti ibridi con la dicitura “Consumare preferibilmente prima del”), dall’altro le indipendenti lavorano spesso molto bene, cercando di imporsi con prodotti che vanno dal valido all’ottimo: gli – immani – sforzi vengono vanificati il più delle volte dalla solita ‘guerra tra poveri’ condotta a mezzo webzine o discutibili iniziative promozionali.
Quella che trovate dopo il salto non è una classifica (senza posizioni o preferenze tra i nomi elencati – non esplicite, almeno), ma una lista dei dischi di quelli che per chi scrive sono stati alcuni dei musicisti più influenti di questo 2012. Non ci sono tutti e, piuttosto che liquidare la faccenda con il solo nomeartista – titoloalbum ho preferito prendere in considerazione alcuni momenti emblematici, nel bene e nel male. In un mix di noto e meno noto che credo rispecchi abbastanza l’attitudine del nostro Soundsblog.
Dischi dell’anno
Frank Ocean – Channel Orange
Dice che smetterà. Noi pensiamo di no. Lui ha scritto delle canzoni splendide, le ha cantate in maniera impeccabile e si è fatto aiutare per ottenere una produzione stellare. È già un classico, poche storie.
Kendrick Lamar – good kid, m.A.A.d city
Venticinque anni, folgorato a otto anni dalla visione di Tupac Shakur e Dr. Dre che girano il video di “California Love”. Prendete il talento, mettetelo al servizio di una voce ispiratissima e fatevi raccontare in un concept album la strada che porta dalle origini al successo.
Dirty Projectors – Swing Lo Magellan
Loro rischiavano di sbagliare molto, arrovellandosi e rendendo il loro approccio schizoide a pop e funk un fastidioso cliché. La grandezza di questo disco (oltre al peso specifico di ogni traccia) sta nel non aver sbagliato praticamente nulla.
Bobby Womack – The Bravest Man In The Universe
Il secondo responsabile di questo album è Damon Albarn. Il primo è il suo autore e interprete, che riemerge da una serie di scure e tristi vicissitudini personali e sfodera un soul sempre in ombra, anche nei momenti più luminosi (un po’ come cercare il marciapiede riparato nelle giornate assolate). Un disco con un titolo che lo racconta quanto basta per farvi incuriosire. Il bonus insospettabile è il featuring di Lana Del Rey in “Dayglo Reflection”.
Sufjan Stevens – Silver & Gold: Songs For Christmas
Volendo essere fiscali, un cofanetto con 58 (!) canzoni natalizie (incluse cover del calibro di questa) non dovrebbe rientrare nella lista degli album del 2012, ma un monumentale lavoro come quello realizzato da Sufjan Stevens merita uno strappo alla regola, essendo un compendio musicale del percorso dei suoi ultimi anni. Un riassunto caotico, eccessivo, travolgente, in cui il Natale è (poco) più di un pretesto. In una parola: geniale.
Grizzly Bear – Shields
Tra chi spolpa le suggestioni folk fino a renderle esangui e chi impone accelerazioni rock per mascherare una scrittura mediocre (i nomi associateli voi), i Grizzly Bear si concentrano su quello che sanno fare meglio – l’indie rock – e, complice una produzione ariosa e intelligente, fanno piazza pulita di imitatori e vecchie glorie impantanate in velleità fuori tempo massimo. Ne vengono fuori con gran naturalezza e con un disco onesto, diretto e molto, molto bello.
How to Dress Well – Total Loss
Un altro album che, volendo essere molto più severi, non rientrerebbe tra i migliori del 2012. In questo caso per ragioni meramente qualitative: la qualità dei singoli episodi è disomogenea. Ci sono perle scintillanti come “Cold Nites” e brani molto meno consistenti come “& It Was U”. Dove però cede la scrittura (e l’arrangiamento) arriva la voce, dove la linea melodica cede, recupera la produzione. Insomma: il risultato finale è che ci porteremo dietro “Total loss” anche nel 2013.
Disco/non disco dell’anno
Beck – Song Reader
Un ebook con 20 canzoni e le parti degli strumenti. Il resto ve lo dovete suonare da soli. O immaginarlo in un delirio di meta-ascolto. C’è anche un sito dove ascoltare le varie versioni e proporre la propria.
Indie italiano
Colapesce – Un meraviglioso declino
Il Premio Tenco, il duetto con Meg, questa cover pazzesca e un disco scritto con l’ossessione e la padronanza di un artigiano. Avercene.
Rancore & Dj Myke – Silenzio
Scuro, scurissimo, lucido e spietato. Uno di quegli album che segnano un ‘prima’ e un ‘dopo’ nell’hip-hop italiano. Enormi.
Dargen D’amico – Nostalgia istantanea
Non dorme sugli allori, ma trova il tempo per raccontare una storia lunghissima e impossibile da abbandonare, senza mai baloccarsi con se stesso. Applausi.
Drink To Me – S
Facciamo una scommessa? Scommettiamo che, trainato da un singolone come “Henry Miller”, quest’album otterrà una nuova ondata di successo, ‘stavolta in ambiti ancora più lontani dal mondo indipendente? In ogni caso, quando piazzi un disco così, hai vinto.
Uochi Toki – Idioti
Chi li conosce non ha bisogno di spiegazioni, se non che “Idioti” è un passo ‘laterale’ rispetto a “Cuore amore errore disintegrazione” il loro fenomenale, precedente lavoro. A chi non conosce i Uochi Toki suggeriamo invece di fare un piccolo sforzo. Resistere ascoltandoli a una sensazione che somiglia a quando scivoli sugli scogli a riva e le onde ti fanno perdere l’orientamento. Il tutto reso con i loro testi – assalti da pugile in apena – e le basi mai così potenti e precise. Poi vorrete tuffarvi di nuovo.
Vadoinmessico – Archeology of the Future
Sapete chi altro ha vinto insieme ai Drink to me? Loro. Sapete perché? Perché sono l’altra band che suonando vi spiega cosa gli piace senza scopiazzare con sudditanza (o – peggio – provincialismo). Non vi basta? Allora sappiate che in “Archeology of the Future” non troverete un riempitivo che sia uno.
Il Triangolo – Tutte le canzoni
Un disco veloce, divertente e molto meno ‘facile’ di quello che sembra. C’è la scrittura più diretta degli anni ’60, ci sono gli Smiths, c’è l’indie pop e c’è pure un po’ di screamo, di quello buono. Insieme, il tutto funziona. Dal vivo (nonostante qualche ingenuità superata con la giusta attitudine) funziona ancora meglio.
Iori’s Eyes – Double Soul
Stile a pacchi, la scrittura di alcuni brani meno centrata che in altri, compensata da una produzione affilatissima e precisa: “Double Soul” è uno di quei dischi che ricominciate ad ascoltare appena finisce. Se volete una definizione, fanno musica ‘elettronica’. Il complimento migliore che posso fargli è che ne riconoscereste la classe anche se suonassero tutt’altro.
Singoli
Blur – “Under the Westway” / “The Puritan”
Tornano con due mezzi capolavori, che insieme ne fanno uno intero. L’unico crimine è saperli incerti sul futuro della band. Il resto è maestria pop a profusione.
Andrea Nardinocchi – “Un posto per me”
Testo che cola spleen metropolitano, timbro da soul bianco, padronanza degli aggeggi elettronici, l’approccio live di chi – era ora – si sta divertendo – e parecchio. Bravo, anzi: bravissimo. Nonostante il pezzo di Sanremo 2013 ci abbia convinti poco, nonostante non sia quello il suo posto.
Malika Ayane – “Tre Cose”
Cosa accade quando le ‘voci italiane’ si affidano agli autori indie? Accade che le ‘voci italiane’ prendono coraggio, si sganciano per un attimo dalle major fissate con le formule da hit radiofonica, da certi produttori per cui il meglio è morto con i classiconi rock degli anni ’80/’90 e piazzano singoli lievi, efficaci e – ma pensa un po’… – che finiscono in cima alle classifiche. C’è una morale in tutto questo? Certo che c’è.
Solange – Losing You
Continua a frequentare la ‘gentaccia’ del giro indipendente e diventa sempre più brava. Non toglierà mai lo scettro alla sorella Beyoncè, ma si sta costruendo con intelligenza e talento un regno tutto suo. Vietato perderla d’occhio.
Carly Rae Jepsen – Call Me Maybe
Il 2012 è anche lei. Poche storie. Struttura melodica quasi circolare, arrangiamento catchy, stacco di archi, un video furbetto interpretato con una buona dose di ironia. Non si scappa.
Cesare Cremonini – Il comico (Sai che risate)
D’accordo, la qualità del disco oscilla paurosamente, ma. C’è gente che sa scrivere le canzoni. Lui è uno di quelli.
Virginiana Miller – Tutti i santi giorni
Simone Lenzi presta a Virzì una storia scritta in modo lieve e meticoloso, poi gli regala anche un singolo da brividi per la colonna sonora. Speriamo continuino a collaborare.
Delusioni dell’anno
Bruno Mars – Unorthodox Jukebox
Non è una vera e propria delusione, ma una considerazione su un disco che merita comunque il successo che sta già riscuotendo. Provate ad ascoltare i (quattro) migliori brani di questo album e a immaginarli senza la produzione di Mark Ronson. Fatto? Cosa rimane? Per chi scrive, solo alcune trovate interessanti. Ovvero: le premesse ci sono, la strada da fare anche (e non è poca).
Fiona Apple – The Idler Wheel
Anche qui: il termine ‘delusione’ va preso con le pinze, perché stiamo parlando comunque di un album abbondantemente sopra la media (non avrebbe senso il rammarico per un lavoro che risulta una sconfitta in partenza). In sintesi: “Se ormai Jon Brion era in grado di accompagnare gentilmente (e fruttuosamente) l’irrequieta vena melodica della Apple, il batterista Charley Drayton ne asseconda l’affascinante schizofrenia, ma al punto da renderla spesso fine a se stessa”.
Cat Power – Sun e The Shins – Port of Morrow
Li mettiamo insieme perché ci pare proprio soffrano dello stesso difetto, quello che li allontana dal titolo di disco dell’anno: il proporsi più come formula che come nuovo capitolo dell’ottimo percorso musicale. (Ri)fanno se stessi e il risultato è un deja-vu che copre anche i momenti migliori.