Adele, 25: recensione album
25, il nuovo album di Adele: la recensione di Blogo.it
Era attesissimo il ritorno del fenomeno Adele. La cantante inglese ha stravolto tutte le aspettative e le previsioni di vendite con il suo precedente 21, diventato in breve tempo una sorta di classico in grado di capitanare le vendite di tutto il mondo per mesi e mesi (in vetta per due anni consecutivi dei dischi più venduti in America). E ha polverizzato ogni collega con una serie di canzoni potenti e una voce che non aveva bisogno di altro. Non si è creata un personaggio, non ha cavalcato il gossip (anzi, se ne è sempre tenuta a debita distanza) e se ne è bellamente fregata di essere provocante e/o sensuale. Nessuna dichiarazione shock, nessuno scandalo. Una serie di concerti, un tour persino interrotto a causa di problemi di salute e la musica -la SUA musica- ha fatto il resto.
Da poco è finalmente uscito 25, il successore del suo ultimo lavoro, sempre fedele al numero della sua età anagrafica. Pare sia l’ultimo che possa seguire quest’orma (c’era anche 19). Ad anticipare questo progetto, c’è stato il primo singolo Hello, lo stesso brano che apre il disco. Voce sempre potente, una ballad straziante fatto di ricordi, rimpianti e della tentazione di chiedersi come stia il nostro amore del passato. Ingredienti fedeli al suo stile e un pezzo emozionante. Send My Love (To Your New Lover) suona più ritmata rispetto ai primi minuti dell’album, facendoci quasi scuotere spalle e testa nell’ascoltarla. Si sente la produzione di Max Martin.
Miss You vede la collaborazione della cantante con Paul Epworth, produttore di 21. A dispetto del titolo, ha un sound quasi più oscuro di quello che potremmo aspettarci. A rischiarare è la voce brillante di Adele. When We Were Young è uno dei pezzi preferiti di Adele. E’ una riflessione verso il tempo che scorre, verso quello che eravamo “da giovani”. E non importa quanti anni abbiamo. Ci sentiremo infinitamente tristi e “vecchi”. Delicata e malinconica. MOLTO malinconica.
Remedy vede voce e pianoforte protagonisti principali di una dolce dedica d’amore e affetto (“When the pain cuts you deep, when the night keeps you from sleeping, just look and you will see, that I will be your remedy”). Awwww.
Ed ecco arrivare il mid-tempo pop di “Water Under the Bridge” con un Adele più razionale anche nell’eventualità della fine di un amore (“if you’re going to let me down, let me down gently”). Ipotetico eh, sia chiaro. Perché se questo non funziona, basta tornare a “Hello” per avere l’altra possibile reazione. Convince forse meno River Lea, il sound e il risultato di questa traccia sulle origini della cantante (“”It’s in my roots, it’s in my veins, in my blood and it stains, every heart that I used to heal the pain”).
Adele si fa subito perdonare con Love in the Dark e sbaraglia. Non sconvolge eh, ma questa volta è lei a capire e decidere che una relazione non ha più senso di continuare così (“”I don’t want to carry on like everything is fine”). Million Years Ago è una delle canzoni che mi ha più commosso al primo ascolto. Il tema, già sviluppato, è sempre sul futuro che incombe, sul presente che sembra così lontano rispetto a un passato che ci fa inumidire gli occhi. E tutto sembra improvvisamente scivolato via (“Yeah, I miss my friends, I miss my mother, I miss it well, life was a party to be thrown, but that was a million years ago”). Il ritmo si innalza sempre più con la successiva All I Ask. E, sì, è concesso impararla a memoria e alzare le braccia al cielo facendo uno sfacciato playback mentre la ascoltiamo per l’ennesima volta.
Il disco si chiude con Sweetest Devotion, dedicata al figlio, con qualche evidente sfumatura country e una malinconia appena velata.
Abbiamo aspettato molto per poter ascoltare il nuovo disco di Adele, 25. Lo diciamo sempre. E’ così. Ma il risultato ha ripagato il pubblico con un disco che emoziona. Sì. E non è sicuramente poco.
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