Amy Winehouse, 23 luglio 2015: quattro anni dalla sua morte, il ricordo di Blogo
Era il 23 luglio 2011 quando la polizia trovava il corpo senza vita di Amy Winehouse. Sono passati quattro anni e la sua musica -insieme alla leggende dalla sua voce- risuona più che mai.
Amy Jade Winehouse ci lasciava per sempre quattro anni fa.
Era il 23 luglio 2011. Alle 15.53 la cantante veniva ritrovata priva di vita nella sua abitazione al numero 30 di Camden Square. Il mondo della musica si ferma, la notizia rimbalza, tutto il gossip, il vociare di quei giorni estivi viene travolto e annullato dall’inseguirsi di voci e di telefonate. I siti riportano la notizia, i primi commenti lasciano spazio allo sbigottimento. Perché Amy Winehouse non c’è più. Un mese dopo, un portavoce della famiglia dichiara:
le analisi non hanno rilevato tracce di sostanze stupefacenti, solo tracce di alcool, ma non in misura tale da poter stabilire se e fino a che punto l’alcool abbia influito sulla sua morte
Solo tempo dopo viene annunciato che, dopo vari esami tossicologici, la presenza di alcol nel sangue era cinque volte superiore al limite consentito per la guida. Venne definito shock “stop and go”, quando si assume improvvisamente di una ingente dose di alcol dopo un lungo periodo di astinenza.
Tra i migliaia e migliaia di messaggi di lutto e cordoglio, nei giorni a seguire alla sua morte, anche quello di Tony Bennett, la leggenda del jazz:
Era in difficoltà in quel momento perché aveva un paio di impegni, e lei non riusciva a tenere il passo. Ma ciò di cui la gente non si rendeva conto in quel momento è che lei sapeva, sapeva che era in un sacco di guai, che non stava vivendo. E non era la droga. Era alcool verso la fine… è stata una cosa triste perché lei era l’unica cantante che cantava davvero, quello che io chiamo il “modo giusto”, perché era una grande cantante jazz-pop… Era davvero una grande cantante jazz, una cantante jazz vera..
Sulla morte della giovane Amy Winehouse si sono spesi fiumi e fiumi di inchiostro. Letteralmente. E se non era carta stampa, erano pagine web virtuali. Si è tirata in ballo la solita maledizione del “club dei 27” (fa sempre tanto clamore pensare a qualche misterioso filo del destino che unisce certe “anime sfortunate”), si è parlato della sua dipendenza, dei suoi problemi di alcol e droga. Il mondo si è diviso tra chi scuoteva il capo perché “Si poteva immaginare potesse finire così” e chi, invece, ha preferito mantenere il profilo basso visto che si parla della morte di una persona.
Amy aveva fatto parlare. Aveva fatto innamorare molte persone della sua voce. Aveva provocato scandali, aveva attirato l’attenzione del gossip, della stampa, dei media. Tra foto rubate, immagini che la sbattevano in prima pagina sulle riviste. Il suo amore tormentato. La sua passione privata. Tutto questo aveva preso il sopravvento sulla sua voce, sul talento, il vero motivo per cui è diventava, da subito, così famosa e celebre.
Poi la morte. E i “Poverina” di rito. Dagli stessi che magari l’hanno anche fischiata -o derisa- durante una delle sue ultime apparizioni pubbliche, in concerto, a Belgrado. Settimane dopo, dal boom dei clic per vedere il video della disastrosa performance al boom delle vendite dei suoi album. A cambiare il soggetto, purtroppo, la morte vera e non quella (apparente) dell’artista.
Ciao AMy.