Claudio Baglioni: “Ero a pezzi dopo il Concerto di Amnesty degli anni Ottanta”
Un Baglioni inedito a Otto e mezzo per presentare il progetto Con voi
Claudio Baglioni non finirà mai di emozionarci e di sorprenderci, per le sue parole oltre che per le sue canzoni. L’artista ha presentato un lato ancora inedito nell’ospitata di questa sera a Otto e mezzo. Il pretesto era quello di promuovere il suo nuovo progetto Con voi, che costituisce il primo esempio di “album in progress” con singoli che escono ciclicamente a poco a poco, per ovviare alla crisi della discografia.
Baglioni, stimolato da due ottimi interlocutori come la conduttrice Lilli Gruber e il giornalista-opinionista Andrea Scanzi, ha fatto il punto sui suoi 45 anni di successo, rivelando la sua personale ricetta in materia:
“Non è mai un lavoro. Credo che questi 45 anni siano durati perché ancora io mi sorprendo di farlo. Ci vuole disciplina, attenzione, studio. Poi è così terapeutico. Il personaggio pubblico ha una famiglia allargata, va a cena con i suoi collaboratori, si parla del suo lavoro, si parla di lui. E’ una sorta di patologia. Però ci dev’essere un grande termine di gioco in questo mestiere. Non a caso in altre lingue play e jouer significano giocare. Questo aspetto della leggerezza e della cialtroneria è estremamente fondamentale. Io ho visto miei colleghi benedire le folle, non per gioco. Quello è un momento pericolo, prendersi sul serio”.
Poi Scanzi che ha sottolineato come negli anni Settanta, periodo di contestazioni, Baglioni rappresentasse il disimpegno. E tutto ciò nonostante lui stesso, inizialmente, cantasse anche canzoni di De Andrè o suite musicali ispirate ad Edgar Allan Poe. Ecco la risposta del cantante:
“Il mio disimpegno inizia con l’enorme successo di Questo piccolo grande amore, che parlava di una storia d’amore tra adolescenti, l’ultimo amore che si può vivere prima di diventare grandi. Io pensavo che dovevo comunicare quel mondo, periferico, romano, con quel gergo. Nello stesso momento tanti altri parlavano di rivoluzione, di contestazione, la libertà. In quell’epoca che bisognava etichettare tutto aveva messo me e qualcun altro in un’altra parrocchia. Io non mi sono mai trovato in nessuna parrocchia, avendo sempre l’orologio un po’ scassato rispetto ai tempi. Ho fatto sempre fatica. Fecero una categoria qualche anno fa di irregolari e ci sono elementi curiosi. Lo stesso Gaber è stato un irregolare e lo è, viene ricordato soprattutto per questo”.
In compenso anche Baglioni ha vissuto un momento bruttissimo nella sua carriera, quando al concerto di Amnesty International di fine anni Ottanta fu contestata la sua presenza sul palco:
“Io ero letteralmente a pezzi. La contestazione non fu neanche così cospicua, c’erano alcune persone che in genere sono quelle che noti e senti di più perché sono quelli delle prime file. Erano geograficamente ritagliati tra i fan di Springsteen, era un concerto a più voci con personaggi internazionali. Fu il primo e ultimo concerto di Amnesty Internationa, si dimostrò anche lì che non sempre i diritti, il mondo della solidarietà e lo showbiz sono coerenti. Quella sera la batosta fu forte. Sembrava servisse a tutta l’organizzazione un personaggio popolare. La biglietteria non era andata così bene, malgrado la grande importanza dei protagonisti. Queste botte servono. Ricominciai in studio con occhi più bassi, riguardando meglio i tasti del pianoforte e le corde della chitarra”.
Baglioni si è detto anche preoccupato per il futuro, specialmente del nostro Paese:
“Il nostro sembra un Paese destinato a morire lentamente in una sorta di pigrizia, di ritirata un po’ da esercito francese dopo la guerra in Russia, cercando di lasciare meno cadaveri possibili lungo questo cmamino a ritroso. Credo che il senso dell’essere giovane e di essere pronto ad alcuni slanci, ad alcuni modi di affrontare la vita, e lo dico io che non sono noto per essere particolarmente ardito e estremo da uomo di pianura, però questa sensazione di vecchiaia generale, intesa come torpore, come nulla verso il futuro, è veramente diffusa. Io ho avuto un padre che, finché è campato, pagava un canone per tutti gli apparecchi televisivi, perché così bisogna fare. A volte pagava le tasse in più occasioni, temendo che scoprissero qualche mancanza in noi quando io sono diventato famoso. Diceva, ‘sai che vergogna’. Il padre non è solo una persona grande, ma una grande persona”.
Per fortuna non è così disilluso o pessimista da lasciare le scene:
“Negli ultimi anni ho fatto tante prove di gran finale, prima che siano gli altri a decretarlo. Il pugile deve andarsene quando è ancora campione, per rispetto nei confronti del pubblico. Certe volte sei suonato dalla disattenzione, dagli interlocutori non sempre sulla stessa lunghezza d’onda. Però, se trovi un motivo per farlo, è il mestiere più bello del mondo”.