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Colapesce: “Il rap? È fuffa, pieno di retorica. Fenomeno confinato a adolescenti”

il vincitore della Targa Tenco 2012 come Miglior opera prima difende i cantautori e attacca Guè Pequeno, Giusy Ferreri, Finley e Il Cile

pubblicato 31 Agosto 2013 aggiornato 16 Febbraio 2021 20:10

In un’intervista concessa a Repubblica, il giovane cantautore Colapesce si è scagliato contro i rapper italiani e definendo il successo di tale genere musicale soltanto passeggero. Ma andiamo con ordine. Il cantautore, che domani sera darà vita a Milano al Nuovissimo Canzoniere Italiano insieme ad altri 29 colleghi (da Appino a Dario Brunori, da Dimartino a Dente, da Federico Dragogna a Iacampo, da Marco Notari a Davide Toffolo), ha prima fotografato lo stato attuale della canzone d’autore:

Credo sia un momento molto fertile e lo è soprattutto da due o tre anni a questa parte: la qualità delle proposte è decisamente migliorata, una ripresa che sembra avere molti punti in comune con il cantautorato degli anni Settanta. Come allora, anche oggi l’Italia vive una profonda crisi economica e come allora sono i più giovani a pagarne le peggiori conseguenze: la mancanza di prospettive, le difficoltà negli studi e nella ricerca di un lavoro creano profondo disagio ed è proprio in momenti simili che si avverte più forte l’esigenza espressiva, che si assiste alla ripresa di argomentazioni forti. Non è un caso se molti dei nuovi cantautori vengono dal Sud: io stesso, Brunori, Dimartino, anche se è difficile definirci proprio nuovi, abbiamo tutti intorno a trent’anni e anche di più.

Lorenzo Urciullo, questo il suo vero nome, ha comunque ammesso che rispetto agli anni ’70 vi sono molte differenze, anche nelle esigenze del pubblico:

Oggi la situazione appare completamente ribaltata, il pubblico ha perso una fisionomia precisa, chi ascolta si identifica nelle esperienze del cantautore, in cui ha il piacere di ritrovare le sue problematiche, magari quelle tipiche del neolaureato in difficoltà a trovare lavoro.

Quindi il vincitore della Targa Tenco 2012 come Miglior opera prima ha affrontato il tema dei rapper e di come essi utilizzino la lingua italiana.

Sono subito pronti a dire che certe immagini vengono quasi buttate lì per caso, che è sbagliato prenderle alla lettera. Ma chi canta ha sempre la responsabilità per ciò che dice, le parole possono avere effetti devastanti su chi ascolta, specialmente sui più giovani. Io non sono un grande amante del genere, ascolto il rap da un punto di vista direi sociologico e da musicista perché penso sia giusto ascoltare tutto. Il successo del rap di oggi è un fenomeno confinato agli adolescenti, mia sorella di dieci anni lo ascolta e così i suoi coetanei, per questo il rap dovrebbe assumersi la responsabilità dei testi che canta. Dal punto di vista linguistico è fuffa, pieno di retorica, utilizza un vocabolario ristretto in testi prolissi. I cantautori al contrario utilizzano un vocabolario decisamente più ampio su testi più ristretti ed efficaci.

Le critiche di Colapesce diventano ancora più esplicite quando gli viene fatto notare che in termini numerici (e di vendite) al momento vincono i rapper rispetto ai cantautori:

Ci sono vincitori di talent show televisivi costretti ad annullare le date per mancanza di pubblico, come Giusy Ferreri (in realtà è arrivata seconda ad X Factor, Ndr), o cantautori molto supportati come Il Cile che a Roma ha fatto 40 paganti. Tornando al rap, credo sia un fenomeno passeggero come l’emo rock dei Finley, ora scomparso. E poi uno come Guè Pequeno può anche andare in classifica ma mi fa vergognare di essere italiano, non può lanciare messaggi maschilisti contro le donne come quelli che infila nei suoi testi. Molto meglio e più vero il rap di periferia, ad esempio quello del romano Rancore, cui invidio l’immediatezza e la capacità di essere sempre dentro il suo tempo, ma difficilmente a uno come lui permetteranno di andare mai in classifica.

Parole discutibili (e che faranno discutere) ma che sicuramente sono nette e chiare.

Foto via Facebook

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