Come nasce la copertina di un disco: l’intervista di Blogo a Matthew Jacobson
Abbiamo incontrato per voi l’autore delle copertine di (tra gli altri) Beck, Jerry Lee Lewis, Karen Elson e The White Stripes
Con l’avvento del digitale, e ancora prima, con l’avvento del cd, il feticismo del disco un po’ si è perso per strada. Per noi, vecchi romantici, gustare la bellezza della copertina, che spesso è una vera e propria opera d’arte, è ancora un gusto che ci piace concederci.
Abbiamo incontrato Matthew Jacobson, oggi Global Executive Design Director di DigitasLBi, Head of Design della Third Man Records e autore delle copertine di artisti come Beck, Jerry Lee Lewis, Karen Elson e The White Stripes, per farci raccontare un po’ come si arriva da un’idea alla copertina vera e propria e soprattutto, come tutto questo possa sopravvivere nell’era digitale.
Quando hai iniziato a fare questo lavoro?
E’ una cosa che mi ha sempre interessato, non mi sono mai soffermato al solo ascolto di un disco ma ne ammiravo anche la cover. Una delle esperienze più grandi del comprare un nuovo album, ancora prima di scoprire il nome dell’artista. Quando leggi di un artista vai subito a cercare qualcosa di suo. Ad esempio di un artista, Lucio Corsi, ne ho letto oggi e dopo qualche minuto stavo già ascoltando la sua musica su Spotify, mentre una volta tornavi a casa dal negozio di dischi, e ancora prima di mettere la puntina sul vinile ti immaginavi come ‘suonasse’. Molte di quelle sensazioni ti arrivavano proprio dalla copertina. La copertina doveva dare l’idea del sound. Io sono andato a scuola d’arte ma non avrei mai pensato di disegnare le copertine dei dischi. Poi ho lavorato in uno studio di design a NY e ci è arrivato un progetto, dovevamo disegnare la copertina di un disco. La prima copertina che ho disegnato era terribile. Ma mi era piaciuto molto farlo per cui dopo una serie di circostanze ho lasciato il mio lavoro e ho fondato una casa discografica, ufficialmente per pubblicare in America dischi di artisti inglesi e francesi ma segretamente per disegnare le cover!
Noi, diciamo così, vecchia generazione, siamo ancora legati al supporto fisico del disco e ovviamente alle copertine, ma le nuove generazioni no, o comunque meno. Come possono riscoprire questo aspetto?
E’ difficile. E’ interessante come ad un certo punto tutta quella magia di immaginarti il disco guardando la copertina sia scomparsa con l’avvento del digitale. Allo stesso tempo con la nascita e con lo sviluppo di Mtv i video hanno acquisito un’importanza sempre maggiore, ma le persone hanno smesso di guardare video quando è esploso il digital download. Poi però è arrivato Youtube, una piattoforma su cui gli artisti potevano caricare i loro video. Quindi penso che le copertine statiche siano una cosa che appartiene al passato, proprio per la storia che abbiamo vissuto con loro, il futuro è un packaging animato, che abbia movimento, le copertine non saranno più statiche.
Parlavi di video, di quale artista ti sono rimasti più impressi? Nella storia dei videoclip diciamo.
Adoro quelli di Peter Gabriel.
Concordo, sono spettacolari.
Poi ho scoperto un sacco di band grazie ai video. C’era un programma su Mtv (sigh ndr.), 1 ora e 20 minuti di video alternativi, che guardavo spesso. Per fare una copertina che ho realizzato recentemente, per una band che si chiama Spoon, abbiamo fatto una serie di 14 foto, e anche il videoclip doveva basarsi sull’artwork della copertina. Poi non se ne è fatto nulla, ma il desiderio era di pensare alla copertina come fosse un video.
Ci vuoi raccontare come nasce una copertina: ascolti prima il disco e ti fai venire qualche idea, qualche immagine?
Sì, quando posso ascolto sempre prima la musica. Alcuni artisti sono protettivi nei confronti del loro lavoro prima che venga pubblicato, e in quel caso non puoi ascoltarlo. Ma quando possibile penso sia molto importante ascoltare prima la musica proprio per quello che dicevamo prima, l’artwork deve ricordare la musica. In un paio di casi non sono riuscito ad ascoltare le canzoni in anticipo per cui il risultato è stato come io pensavo che il disco sarebbe suonato. Ma non suonava così! Qualche volta invece gli artisti ti portano qualche idea, ti dicono degli elementi che vorrebbero che ti inserissi, o anche foto, per cui io faccio uno schizzo che rappresenta la loro visione, e uno come un fan che ascolta la loro musica potrebbe immaginare. Quest’ultimo potrebbe essere molto diverso da quello che un artista ha in mente, non so dire chi vince alla fine.
Quale copertina avrei voluto disegnare?
Mi piacerebbe lavorare con i Wilco, loro sono di Chicago, la città in cui vivo. Negli anni abbiamo parlato di collaborare insieme ma non è ancora successo. Un’altra band sono gli Artic Monkeys. Penso che sarebbe divertente lavorare anche con artisti come Taylor Swift, Rihanna, Katy Perry…qualche grandissimo artista pop.
In quelle situazioni così grandi ci sono un sacco di equilibri da considerare, tra artista, casa discografica…
Oh sì. Spesso in quelle situazioni il fotografo ha un’idea, la casa discografica un’altra, e tu devi conciliare tutto. Bisogna essere diplomatici, trovare un accordo. Non farei mai una copertina, e penso che non lo farebbe nemmeno una casa discografica, che non piaccia all’artista. Per una casa discografica è sempre importante supportarlo.
Cosa consiglieresti ad una persona che vuole fare questo lavoro?
Di contattare gli artisti che rispettano davvero e chiedere loro di poter disegnare una copertina. Non è un’impresa così impossibile: sono finito a disegnare la copertina di un disco degli Spoon, una delle mie band preferite, dopo aver letto un articolo in cui si parlava di un side project, i Divine Fits (del cantante e fondatore Britt Daniel ndr.). Ho contattato il loro manager dicendo che mi sarebbe piaciuto occuparmi del design del disco, ed è successo. Un paio di anni dopo sono finito a disegnare anche la copertina di un album degli Spoon. Non si sa mai, tu prova a chiedere!