Enrico Ruggeri a Blogo: “In Alma c’è la mia svolta sonora”
Alma è il nuovo disco di Enrico Ruggeri, in uscita il 15 marzo: ecco tutto quello che l’artista ci ha raccontato del suo nuovo progetto discografico.
Uscirà il prossimo 15 marzo nei negozi di dischi e in tutte le piattaforme streaming (e in digital download) Alma, il nuovo disco di Enrico Ruggeri.
L’album, anticipato nei giorni scorsi dal primo estratto Come lacrime nella pioggia, arriva a tre anni di distanza dall’ultimo disco solista di Enrico Ruggeri. Un viaggio incredibile, e ad un anno da L’Anticristo, pubblicato con la sua storica band, i Decibel.
Il disco conterrà un totale di 11 tracce che testimoniano l’urgenza creativa che lo ha contraddistinto in questi oltre 40 anni di carriera, in cui ha scritto pezzi di storia della musica italiana, per se stesso, per i Decibel e per altri grandi artisti.
Blogo ha avuto l’occasione di incontrare l’artista a poche ore dall’uscita del disco. Ecco quello che ci ha raccontato sull’album (sigaretta alla mano!):
È un album che arriva a tre anni di distanza dal mio ultimo solista. Ma arriva quasi subito dopo l’esperienza con i Decibel, che in teoria avrebbe dovuto essere sporadica. Insomma un disco importante e delicato perché non doveva essere un disco dei Decibel senza i Decibel, ma doveva anche essere diverso rispetto a quello precedente. Mi sono preso più tempo del dovuto, più tempo del solito, con chitarra e band, e ho aspettato un paio di giorni fino a che non abbiamo ritenuto fosse il momento di registrarlo. Si tratta di un album senza pre produzione, senza groove di batteria, senza tastiere prese dal computer. I suoni della tastiera sono quelli che Francesco Luppi (il tastierista, NdR) riteneva fossero i migliori da proporre all’interno del disco. Ho scelto molti arrangiamenti con la consapevolezza che non volevo creare quelle centinaia di piste che servono per dare vita a certi suoni stereotipati che si sentono in radio. La radio, a proposito, l’ho ascoltata proprio per sapere quello che non dovevo fare.
Da cosa deriva il titolo, Alma?
Non voglio fare il mistico e dire che l’ho sognata, ma mi sono svegliato una mattina con questa parola in testa. Se cercate sui vari vocabolari latino-italiano la parola “alma” ha sempre una sfumature diversa. A volte è un aggettivo, è la parte propositiva, c’è l’anima positiva, quella negativa. Anche io ho sempre avuto due anime, da un lato quella più rock, dall’altra quella più cantautoriale.
Ti senti più ispirato rispetto al passato?
Sì, direi di sì, negli album dei Decibel la maggior parte delle musiche le scrivevano loro, in questo album ci sono il doppio di sillabe scritte da me rispetto al precedente. Avevo di certo tante cose da dire. Ogni volta mi ripropongo di fare un album omogeneo, poi però puntualmente disattendo le mie aspettative. Alla fine, per mia fortuna, chi mi segue sa che ogni mio disco contiene canzoni di diversa estrazione. Mi piace Jacques Brel, così come Leonard Cohen o i Sex Pistols.
Il dualismo de Il Falco e il gabbiano dunque esiste ancora?
Sì certo e lo vedrete in tour. Il tour è composto da due tipi di esibizioni che sottolineano la mia duplice anima. Il falco è l’animale aggressivo mentre il gabbiano è quello poetico per eccellenza. Nei miei prossimi concerti, gli show nei teatri, in cui assecondo la mia vocazione cantautoriale, si alterneranno a quelli nei club, dalla verve elettronica.
Cosa ci racconti del pezzo Il punto di rottura?
La canzone è stata ispirata ad una frase che mi ha detto mio figlio Pico. Mio figlio è un fricchettone, è andato da un suo amico sciamano in un villaggio in Sudamerica, per farvi capire. Ha fatto tre dischi ma non ha voglia di fare la radio. Peccato perché è un gran talento, è molto introspettivo. Ma è totalmente inadatto ai “combattimenti della vita”. Il punto di rottura è il momento subito prima della depressione.
E di L’Amore ai tempi del colera, invece?
L’Amore ai tempi del colera è un racconto preciso dell’omonimo libro e parla di come la rabbia sia qualcosa di importante. Si tratta dello stesso sentimento che spinge il protagonista, Florentino, a lottare per tutta la vita per Fermina. Si racconta di un certo tipo di amore “idealizzato”.
Anche Supereroi ha un testo interessante.
La musica l’ha scritta Fulvio Muzzi. Mi è venuto in mente che bisognava fare un testo per bambini, è una canzone che ha il testo palese, quasi infantile. Ma il pezzo ha diverse chiavi di lettura. Parla per esempio di questo senso di interventismo dilagante un po’ in stile Donald Trump.
Hai definito questo album uno dei più importanti della tua carriera. Cosa ci puoi dire a riguardo?
Sì, è vero, perché rappresenta la mia svolta sonora. In un periodo di grande omologazione è un album che si distingue. Soprattutto da quello che senti in radio.
La canzone a cui sei più legato a Forma 21, è vero?
Sì, perché è ispirata alla lettera che Laurie Anderson ha scritto a Lou Reed. La forma 21 è quella con cui, si dice, ti elevi verso il cielo. Anche a me è capitato ad assistere all’attimo della morte di una persona. Il punto comune è l’espressione di stupore che ci si stampa sul viso quando moriamo. In questo momento mi viene in mente Luca Carboni, che diceva che la morte non è un argomento pop, ma non trovo sia una canzone lugubre. Nel pezzo si racconta della morte come un grande inizio. E poi c’è un escamotage dialettico, alla fine c’è una parola che in lingua cinese può significare sia il numero 4 sia la parola morte. E il numero 4, in Cina, porta sfiga.
Cosa ci racconti della cover del disco?
Questo è il 35esimo album in studio e la 35esima volta che mi pongo il problema della copertina. La cover l’ha fatta Dario Ballantini, è un mio amico, lui mi piace molto, così è come mi vede lui.
Hai detto che non ti piace la radio. Cos’è che ti infastidisce in particolare?
Non riesco a distinguere i cantanti, sento sempre lo stesso suono. Spesso il momento più spettacolare in radio è la pubblicità.
Ultimamente si è fatto un gran parlare dei testi delle canzoni di certi rapper e dei loro riferimenti alla droga. Che ne pensi?
Il problema non è tanto parlare di droga. Avete mai ascoltato canzoni come Heroine di Lou Reed o certi pezzi dei Beatles? Il problema è che la maggior parte dei testi delle canzoni è scritto da persone che dicono, fieramente, di non leggere o di leggere poco. Non puoi scrivere bene se non leggi libri. Oggi noto una penuria del lessico.
Com’è nata la collaborazione con Ermal Meta per il brano Un pallone?
Volevo un duetto naturale, non mi piacciono molto quei duetti del tipo: “Ok, allora io suono al Forum di Assago e ti invito e poi tu ricambi il favore all’Arena di Verona“. Prima di tutto, Ermal è un mio amico. Non è scontato, non è una categoria che io adoro quella dei cantanti, sono tutti molto autoreferenziali. Lui ha un percorso molto simile al mio, anche lui ha fatto parte di un gruppo e anche lui soffre di sovrapproduzione, non sta fermo mai. Vedo in lui delle cose che ho fatto anche io. Trovo che Ermal sia una persona molto sensibile.
Che cosa ne pensi delle recenti polemiche sulle quote minime di musica italiana in radio?
I francesi sono diversi da noi. Noi italiani invece siamo un popolo sempre prono verso quello che viene da fuori. Ammiro il loro modo di vendere bene quello che è loro. Ma una radio o un ente privato devono seguire una linea editoriale che aumenti il loro fatturato, dobbiamo pensare anche a questo. Le radio italiane comunque passano molta musica brutta, nostrana o internazionale che sia.
Se ti dovessero proporre di fare il giudice per Ora o mai più 3? Saresti perfetto!
No, c’è troppa cattiveria, ho anche visto tutto il programma. Però mi dispiace, non sono “attrezzato”.
Un’ultima domanda: cosa ci anticipi sulla scaletta del tour?
Ogni volta è una fatica, fare la scaletta è la cosa più difficile. Concentrare 35 album in 24, 25 pezzi per un paio d’ore è complesso. Io però ho la fortuna di non dovermi affidare alle sequenze. Alle 9 di sera la mia scaletta non è ancora decisa tutta e magari la scelgo proprio in corso d’opera.