Enrico Ruggeri a Blogo: “Cerco sempre di andare per la mia strada, e oggi è molto più facile”
Alla vigilia della sua partecipazione al Festival di Sanremo, abbiamo incontrato il cantautore
Enrico Ruggeri è stato (davvero) punk prima di noi, e a Sanremo lo dimostrerà, portando un pezzo che farà tremare le sedie della prima fila – io ve lo dico –, non così avvezze a certe sonorità.
Intanto il 12 febbraio uscirà “Un Viaggio Incredibile”, un doppio cd con da una parte 9 inediti tra cui il brano del Festival “Il Primo Amore Non Si Scorda Mai”, dall’altra alcuni tra i suoi più amati successi (dal 1986 al 1991) riletti in chiave moderna. In chiusura di album poi il cantautore ha scelto di inserire un tributo a David Bowie, 4 cover già incise in passato.
Lo abbiamo incontrato…
Come nasce il tuo brano sanremese?
E’ un brano particolare, c’è anche un omaggio agli Stranglers che nessuno capirà (a parte Michele Monina del Fatto Quotidiano ndr). Ho scelto questo per il festival per la durata, ho scartato i brani da due minuti e quelli da cinque, ne rimanvano due o tre. Questo era rappresentativo dell’album e sufficientemente adatto alla platea.
Qualche anno fa avevi fatto un disco, “Le canzoni ai testimoni”, mi sembra che la strada sua un po’ quella…
La battaglia sonora è qualcosa a cui tengo molto, cercare di differenziarmi un po’ dal marasma sonoro molto omologato che c’è in questo momento, soprattutto in radio. Cercare di andare per la mia strada è quello che ho sempre cercato di fare. Paradossalmente oggi è anche più facile perchè c’è un monolito di canzoni che suonano un po’ tutte uguali. E’ anche più divertente cercare di andare in studio come se fosse una festa, mettere le cose che ti piacciono, i suoni che ti piacciono, senza pensare troppo alla resa commerciale.
Molti artisti giovani secondo me hanno un grosso problema di identità.
E’ quello, io vengo da un periodo in cui in qualche modo c’erano degli artisti che avevano il loro suono, Battiato aveva il suo suono, quando sentivi una canzone di Battiato capivi che tirava quell’aria lì. Così tutti noi, ognuno aveva un suo marchio. Mentre oggi senti delle canzoni, e mi sembrano un po’ interscambiabili.
Nel tuo disco inserisci un omaggio a David Bowie, che sono cover che avevi già fatto in passato. E’ stata una fine e inizio anno terribile per gli amanti della musica, tra la scomparsa di Lemmy dei Motorhead e di Bowie appunto.
Non ero uno che ascoltava i Motorhead tutti i giorni, però sono stati una band importante e lui era uno di quelli che facevano di se stessi uno spettacolo. Aveva una personalità molto spiccata Lemmy, per uno come me che continua a fare rock e comincia ad essere grandicello, sapere che c’è uno di 70 anni che va ancora sul palco…Le canzoni di Bowie invece ho deciso di inserirle perchè le avevo incise già in tempi non sospetti. Le ho solo rimasterizzate. Gli altri brani del disco 2 invece sono stati rifatti.
Tra gli inediti invece c’è un pezzo che parla di rugby, come mai questa scelta?
E’ una passione epico-lettararia, mi piace il rugby anche se non passo tutte le giornate a guardare le partite. Nessuno aveva cantato il rugby, e già questo mi intrigava, poi il rugby è uno sport dilettantistico, non lo fai per rivalsa sociale, si vince tutti assieme, non ci sono le star. E’ uno sport molto romantico, perfetto per scriverci canzoni.