Entics a Blogo: “Purple Haze è un disco dai contenuti adulti”
Il cantante milanese ci svela come sia andato dritto al cuore della sua musica, per comporre il nuovo disco.
17 Marzo 2017: esce Purple Haze, il nuovo disco di Entics.
16 Marzo 2017: è il 32esimo compleanno di Entics, eppure il cantante passa la giornata con un lughissimo press-day, facendo decine di interviste per parlare del disco.
15 Marzo 2017: Entics pone gli ultimi ritocchi a due murales dedicati a Purple Haze ed ispirati alle opere di Vaughn Bodé, un illustratore di New York attivo fra gli anni cinquanta e gli ottanta, e che ha ispirato tutto il movimento graffitaro.
Sono stati giorni intensi per il cantante milanese, ma ora può tirare il fiato: oggi esce il disco ed il mondo può ascoltarlo. Abbiamo già pubblicato una esauriente descrizione traccia per traccia di Purple Haze, quindi l’incontro con Entics è stata una occasione per una chiacchierata “freestyle”, per approfondire qualche tema del disco o per divagare su altri argomenti.
Mi ha sorpreso vedere la copertina iper-minimalista di Purple Haze, visto che quando non stai creando musica, ti dedichi molto alle arti visive.
“Nella mia vita ho lottato spesso con le major perchè per loro le copertine dei dischi devono sempre riportare una foto dell’artista, mentre io ho anche lavorato come grafico e cerco sempre di ideare qualcosa di interessante per l’artwork. Prima di pubblicare dischi con una major, le mie produzioni non avevano mai foto, ma rielaborazioni di loghi noti – come ad esempio su Ganja Chanel o Entics TV.
Ora questa concezione della copertina è cambiata anche nelle major, ma sono riuscito anche stavolta a farmi parzialmente bocciare la mia idea: il concept originale per la copertina di Purple Haze era uguale alla linea di colori Pantone, con la riga bianca in basso con il nome del disco ed il mio nome, ed il resto della superficie del colore viola. Ma niente, hanno optato per una versione tutta viola, molto “minimalista” come dici tu – ed è un termine in realtà perfetto, perchè chi comprerà il cd e sfoglierà il libretto, troverà che in effetti è veramente minimalista: ci sono anche delle pagine bianche, mentre la mia foto è un selfie fatto al cellulare e ridotto ad un quadratino in mezzo al bianco. Non ci sono testi, solo una citazione di Bruno Munari che parla del lusso. Voglio che parli la mia musica, le foto o i testi da leggere ormai si trovano su internet, quindi sul booklet scrivici tu quel che vuoi.”
Perchè hai scelto Purple Haze come brano più rappresentativo del disco, al punto da dare il titolo a tutto il lavoro?
“In principio l’album avrebbe dovuto chiamarsi “Da Baggio a Bali”, come la seconda canzone del disco, ma purtroppo quando dicevo in giro che quello sarebbe stato il titolo tutti mi dicevano “Ah, come Da Roma A Bangkok“, e mi sono stancato velocemente di sentire questa cosa – che tra l’altro non c’entrava niente, a livello di testo o citazioni. Quindi ho scelto Purple Haze per due motivi: mi permetteva di creare un concept grafico intorno al colore viola, e poi perchè nei miei dischi precedenti c’era sempre qualche riferimento alla marjuana, quindi era come continuare con un concept.
Però il disco si è sviluppato proprio pensando al testo di Da Baggio A Bali, perchè ho voluto scriverlo come se stessi seduto da vent’anni sulla stessa panchina del mio quartiere, parlando con chi mi stava intorno.”
Come si coniuga lo svapare che si vede nel video de “Il Finale” con il consumo di Purple Haze? L’atto di rollare fisicamente canne non è in contrasto con l’inalazione quasi eterea del liquido per svapare?
“Con dei ragazzi sto creando un mio gusto che metterò in commercio per lo svapatore, con un estratto di CBD: è uno dei principi attivi della cannabis, diverso dal THC che è illegale. Il CBD si usa per le terapie a scopo medico, lascia una bella sensazione senza sballarti. Ho 32 anni, adesso preferisco farmi un tiro con lo svapatore di questa roba leggerissima piuttosto che fumarmi una bomba e devastarmi completamente!
Poi nel contesto del video, lo svapatore produce molto fumo, e quindi è un oggetto che aiuta molto a fare scena!”
Perchè hai scelto proprio Brighton per il video de Il Finale?
“Ci sono stato pochi anni fa per la prima volta con uno degli artisti del mio studio di tatuaggi, perchè lì si svolge una importantissima tattoo convention. Più che scegliere Brighton, ho voluto scegliere l’Inghilterra, qualcosa di lontano dall’Italia.
Questo video per me segna uno stacco dal passato: mi ero sempre sforzato di creare storyboard, storie da raccontare nel video, piene di riferimenti vari… e ho visto che spesso questi riferimento cadevano nel vuoto, o che il video distraeva dal testo. Allora ho deciso che d’ora in poi non perderò più tempo per “scrivere” videoclip: voglio solo mostrare me che canto, e per farlo non potevo scendere sotto casa a riprendermi, perchè anche quella per lo spettatore sarebbe stata una distrazione, se si fosse concentrato sul riconoscere in che zona di Milano mi trovo o cose simili. Allora siamo andati a Brighton, con un bel paesaggio come sfondo, ma che sostanzialmente lascia me in primo piano. Voglio che chi guarda il video rimanga concentrato sulla musica, perchè io faccio musica, non altro.”
Sembra che in vari testi del disco tu descriva i problemi della vita in una grande città come Milano… le feste a tutti i costi, i tempi sempre stretti e la mancanza di tempo per amarsi, sempre meno amici, sparsi fra i palazzi alti. Insomma Milano è diversa da quello che immaginavi, quando la guardavi da Baggio?
“Il disco è una riflessione su tutto quello che ho intorno, partendo dai ritmi frenetici e dai rapporti sociali. Ho scritto questo disco per le persone intorno a me, tornando alla musica dopo tre anni di pausa quasi completa: tempo fa era facile perdermi dietro ai soldi o alle donne, ora ho riflettuto molto più a lungo sulle persone che incontro, e ho trovato in loro l’ispirazione per i brani nuovi. E’ per questo che credo che il disco sia più rivolto ai miei coetanei, mentre molti ragazzini potrebbero perdersi il significato di alcuni passaggi.”
In effetti le tematiche sono molto “adulte”: la mancanza di tempo per amare, il preferire guardare la televisione rispetto all’andare alle feste trendy.
“Si fa presto a dire “il rap è una cosa per ragazzini”: se si continuano a produrre canzoni con testi per ragazzini, è chiaro che quello diventa il pubblico che ti ascolta. Ho voluto andare a riprendere le persone che mi ascoltavano quando frequentavo i centri sociali, quelli che magari hanno smesso di ascoltarmi quando ho firmato per una major, o che sono passati ad ascoltare musica diversa. Sono cresciuto io e sono cresciuti loro, e voglio parlare ai miei coetanei di argomenti che li toccano da vicino.”
E’ in questa ottica che hai scritto “Classe 85”, un pezzo decisamente nostalgico, che richiama tramite immagini tutte le cose memorabili dell’adolescenza di chi è nato negli anni ottanta?
“1985 è il mio anno, ma le immagini che descrivo penso che possano andare a colpire anche tutta la decade precedente e fino alla fine della mia decade: tutta un’era pre-internet, quando si stava molto più in strada ed i rapporti sociali erano molto differenti. Sono sicuro che tutta la gente che ha vissuto quel periodo ritroverà molti ricordi sepolti dal tempo.”
A livello personale, posso dirti che ho apprezzato molto la citazione di Astra Games, la sala giochi in centro a Milano!
“Ecco, quella una citazione che sicuramente chi è nato a cavallo del 2000 non potrà capire, e comunque già all’epoca era un luogo un po’ imboscato, dovevi sapere dove si trovava… come dico alla fine del brano, “se lo sai lo sai, sennò non si capisce: Milano classe 85”.”
Tornando ai giorni nostri, mi piace molto nel brano Netflix la tua risposta di pancia a chi insiste ad invitarti alle feste (“ma vai affancul0”!). E’ così che reagisci solitamente?
“Io vedo tantissime persone che vengono a Milano per mille motivi, e finiscono a fare i poser alle serate. Non escono per divertirsi, escono per farsi vedere, per farsi il selfie non luogo giusto, per fare pubbliche relazioni. E’ tutto un mondo di apparenze, e non lo sopporto più, preferisco stare a casa piuttosto che imbattermi nei fashion blogger o persone del genere. Per il mio studio di tatuaggi le pubbliche relazioni contano, ma in quei casi mando avanti il mio socio, io non ce la faccio più. Preferisco una grigliata fra amici e senza foto, piuttosto che andare in discoteca: in discoteca ci ho lavorato per anni, non potrei rilassarmi andando lì, prendendo il tavolo, facendomi vedere…”
Hai annunciato solo due appuntamenti per il firmacopie: a Roma il 24 Marzo e a Milano il 25. Come mai questa scelta (anche qui) “minimale”, mentre invece molti artisti si imbarcano in tour di firmacopie più lunghi dei tour di concerti?
“Scusa la presunzione, ma il firmacopie lo abbiamo inventato noi e poi ci è stato “copiato” dalle major: già nel 2009/2010 facevamo i primi firmacopie nel negozio Borderline di Via Mora, e imballavamo la via. Vendevamo le magliette, perchè il disco lo si sarebbe comprato comunque all’epoca, mentre ora si scarica tutto e quindi serve organizzare questi eventi per tirare su le classifiche di vendita, te lo dico onestamente. Ma io ho visto che ultimamente i ragazzi si stanno anche stancando di fare la coda per avere solo una firma su un cd, vogliono farsi un selfie… rientra tutto un po’ in quel sistema che sta iniziando a darmi fastidio del “farsi vedere a tutti i costi”, quindi per ora ho voluto limitare gli appuntamenti: ce n’è uno a Roma e uno a Milano, chi c’è c’è, chi non c’è non c’è!”
Il tempo a nostra disposizione volge al termine: dimmi tu una cosa importante da sapere sul disco!
“Lo spirito di questo disco è che volevo sfornare musica senza troppi compromessi o sbattimenti: la tracklist è in ordine alfabetico! Non volevo perdere tempo con mille paranoie su che canzone mettere per prima, quale pezzo far seguire ad un altro… ho preso i titoli, li ho messi in ordine alfabetico, ed era perfetto così per me.
Non vedevo l’ora di far sentire la mia musica, quindi non ho perso tempo a scrivere storie per il videoclip, non ho perso tempo a metter giù la tracklist, ho ragionato sull’artwork scegliendone uno minimale: è la musica che deve parlare.”