Eugenio Finardi, Fibrillante: “Ho voluto cantare non solo me stesso, ma anche la società”
Il cantautore: “Il vero scandalo di oggi è che poche persone controllano tutta la ricchezza”
“Quindi io sono un fibrillante”: questa definizione, arrivata durante alcune vicissitudini mediche, ha fatto scattare la scintilla nella mente di Eugenio Finardi, per il titolo del primo album di inediti in italiano che il cantautore pubblica dopo quindici anni (l’ultimo lavoro era “Accadueo” – 1998).
“Fibrillante”, che esce proprio oggi, nasce a Mirafiori, il quartiere di Torino famoso per la Fiat, e non a caso
“è un album di lotta, quella lotta dalla quale non mi chiamo fuori nonostante il passare degli anni. Ho voluto cantare non soltanto me stesso, ma anche la società che mi vedo attorno e la crisi di tante persone che si trovano in difficoltà. Il vero scandalo di oggi è che poche persone controllano tutta la ricchezza”
Questo disco vede Max Casacci alla produzione (“Non sarei mai stato in grado di permettermi un produttore come Max Casacci, se avessi dovuto pagare!”), che in sede di presentazione ha raccontato:
“Trovo curiosa la lettura dell’ipertiroidismo (la malattia di cui ha sofferto Finardi, e per la quale è stato operato, e che gli ha causato anche la fibrillazione atriale ndr) con la possessione creativa. Eugenio negli anni Settanta è stato un lettore del suo tempo come non ce ne sono stati altri. Uno non smette mai di fare quelle cose lì, è come imparare a nuotare. Tutti noi volevamo che Eugenio realizzasse insieme a noi un album ‘alla Finardi’. Ogni tanto io gli proponevo delle soluzioni ‘alla Finardi’, ma il paradosso è che Finardi è stato il mio primo concerto. Al Palasport di Torino fui immerso in un mondo di fumogeni, autoriduttori, ragazze bellissime, e sul palco c’era Eugenio Finardi. Uno dei primi brani che suonò fu ‘Musica Ribelle’ per cui tutto questo oggi per me ha un grande valore, come potete immaginare”
L’ispirazione per le nuove canzoni è arrivata non solo da Finardi stesso, ma anche da storie di vita vissuta.
Come “La canzone di Franco”, nata dopo un incontro casuale con un ex discografico che lavorava alla Sony, che fuori da un ristorante – frequentato spesso dal cantautore e dalla figlia Elettra – chiedeva l’elemosina, una vita rovinata da una separazione, dalla cocaina e dall’alcol.
“Quest’anno sono 42 anni che faccio questo mestiere, è un sacco di tempo. Avevo smesso di fare dischi per un periodo perchè il ‘fare Finardi’ mi andava stretto, mi sentivo prigioniero di un’immagine. Sentivo il bisogno di uscire da quel meccanismo. Avevo anche voglia di fare altro. Grazie ad altri progetti mi sono reso conto che potevo sopravvivere ad un concerto anche senza ‘fare Finardi’. Questo mi ha dato un’enorme senso di liberazione”