Fedez: “Il mio lavoro, tolta la musica, è su Instagram. Rovazzi e J-Ax? Non rinnego nulla. La tv oggi ha peso zero”
L’intervista che Fedez ha rilasciato a Marco Montemagno su Youtube. Ecco cosa ha detto.
“I dischi più venduti in questo momento sono di personaggi che fanno solo streaming, non vengono passati in alta rotazione delle radio, non vanno in televisione”. Così Fedez parla della musica più venduta oggi in Italia. In realtà, durante l’intervista dalla durata di 59minuti rilasciata a Marco Montemagno su Youtube, di argomenti trattati ce ne sono stati tanti. Facciamo un punto.
Sull’ultimo album:
“Quest’ultimo album volevo avesse una vita molto corta: ho fatto uscire un singolo di botto, poi altri tre singoli ed è finito, basta. Volevo farlo per voltare pagina. Ho sperimentato anche nel marketing. Ho fatto delle vendite strane. Ho cercato di ridare vita al fisico in un momento in cui è morto. Come? Copiando, non so se palesemente, Travis Scott […] E’ stata un’operazione molto costosa, volevo restituire qualcosa al mio pubblico. Siamo partiti da 20mila capi con Diesel e TeamWorld, alla fine ne abbiamo venduti 49mila. Se ne avessi avuti 100mila, ne avrei venduti 100mila. Se ne avessi avuti 200mila, ne avrei venduti 200mila in due settimane. Il problema qual è? Che poi cominci ad avere delle frizioni perché ti contestano i dati. A me addirittura hanno accusato di aver comprato gli streaming, una sorta di mini scandalo senza fondamenta. Avevo 49mila vendite per il fisico e 3mila sullo streaming: ma avendo dirottato tutto sul fisico, le persone hanno ascoltato il fisico. Lo sapevo già che lo streaming sarebbe andato male. Ed è lo stesso motivo per cui non è durato nelle settimane. La longevità del disco in questo momento è data dallo streaming: vendi le copie agli instore e poi vai avanti con lo streaming. E’ stato un esperimento interessante per tutti, ma mi hanno contestato. Si è cercato di sporcare il risultato“.
Sul marketing:
“In Italia c’è un retaggio culturale per il quale l’artista che guadagna non solo dalla musica e quindi per chi fa pubblicità e sponsorizzazioni è ancora difficile. Ho cercato di sdoganare questa cosa ma è difficile. E’ come se aggiungessi un disvalore alla tua musica. Per il retaggio americano è completamente l’opposto: più fai e più il tuo valore cresce. In Italia c’è reticenza nel cogliere una dignità e una capacità. Il marketing è arte tanto quanto la musica ed è difficile farla collimare in un Paese come l’Italia. Faccio un esempio. Ho fatto un brano dedicato a mio figlio. Un brano che ho scritto senza pensare alle logiche di mercato, lentissimo e reazionario, fuori dalla logica delle vendite. A un certo punto però vengo contattato da Samsung come testimonial e mi chiedono una cosa che fanno con qualsiasi artista, ovvero la sincronizzazione del brano con la pubblicità. Questo per me è sintomo di poter veicolare a più persone possibili quella tipologie di brano. Mi hanno accusato di aver svenduto a un brano il brano scritto per mio figlio. Ma il deal con Samsung l’avrei chiuso a prescindere dal brano, quella è stata una cosa in più ma è stato un canale aggiuntivo per veicolare la mia musica. In America sarebbe stata considerata una figata […] Sapere che la campagna marketing di Baci perugina che ho costruito ha fatto fatturare il 50% in più rispetto all’anno pregresso per me è motivo d’orgoglio tanto quanto fare un album di successo”.
Sui social:
“Facebook è diventato la cloaca e la pancia più bassa del Paese: è facile inciampare in polemiche sterili e inutili. Instagram è il posto cardine oggi. Il mio lavoro, tolta la musica, è su Instagram“.
Su Netwopia:
“Inizialmente era una vera e propria scatola cinese: un’etichetta per uccidere i costi e non avere il manager come intermediario. Il primo successo che abbiamo ottenuto, con una cosa su cui nessuno avrebbe puntato due mila lire, è stata con Rovazzi. Non è tanto il fare esplodere il talent: lì ti può andare di culo. Chiunque può fare una hit. Ma è saper gestire quel talent, saper capitalizzare un’immagine e far durare un personaggio per tre o quattro singoli: è stato incredibile. Tutti sono rimasti a bocca aperta. Io in primis ho curato il suo management […] E’ molto difficile gestire altre persone. Non è una questione di prime donne. Di me nel settore discografico si dicono tante cose: che sono stronzo, che sono cinico, che sono guerrafondaio. Ma non diranno mai che sono disonesto. Sono molto trasparente. Ho la grande fortuna di fare queste cose per passione e non per una reale esigenza di dover guadagnare dei denari da altri. Cerco di dare il più possibile. Ma spesso se dai un dito, ti si pigliano tutto. Ma non rinnego nulla di quello che abbiamo fatto con Fabio e non rinnego nulla di quello che abbiamo fatto con Ax. Abbiamo fatto delle grandi cose, indipendentemente dal lato musicale. Ovviamente non abbiamo fatto cose alte in termini musicali, ma in termini discografici abbiamo fatto delle cose belle”.
Su Rovazzi:
“Inizialmente tutti ci dipingevano come una lobby discografica che a tavolino aveva creato questo ‘mostro’ come se fosse una catena di montaggio della discografia. Ma non era vero. Fabio faceva la canzone – perché sul lato artistico faceva tutto lui – e noi mettevamo a disposizione i mezzi per poter fare queste cose. Noi siamo stati bravi a chiudere con i brand, bravi ad andare in televisione… ma inizialmente Fabio era un mio amico. Andavamo in vacanza insieme, facevamo i video diari insieme. La spontaneità con cui è nata questa cosa secondo me si è percepita. Le separazioni nascono perché io non riesco a vivere queste cose in maniera artefatta. Anche perché, mio errore molto grande, mischio l’affettività al lavoro e a un certo punto non riesco più a recitare la parte del separati in casa”.
Sulla televisione:
“Ho eliminato la televisione. E’ stata un’esperienza formativa e mi ha insegnato molte cose, ma a un certo punto mi aveva già dato tutto. La televisione oggi ha peso zero. Quando sono andato a fare il giudice a X Factor, prima di me tutti i giudici – non è per insultarli – erano sempre musicisti o cantanti che avevano concluso la propria carriera. Nessuno era mai riuscito a implementare la televisione per ottimizzare e massificare la propria audience. Io, sfidando questa cosa qua, per assurdo, sono riuscito a farla. Quando ho fatto X Factor avevo 23 anni, ero uno dei giudici più giovani di sempre, però è stato molto difficile perché in quel periodo aveva un pubblico molto selettivo. Sono arrivato con l’aspettativa di un narcotrafficante. Siccome l’aspettativa era pari a zero, appena coniugavo un congiuntivo e tutti si sono esaltati. Insomma, mi ha permesso di farmi conoscere. Nonostante l’apparenza, hanno capito che c’erano delle idee e della sostanza. Ma non sempre così. Può far male, ti può fagocitare”.
Su Siae e SoundReef:
” Un giorno ho cercato ‘Start-up con più soldi in Italia” su Google e scopro di SoundReef. Leggo cos’è, leggo che vuole fare la guerra al diritto d’autore. Li ho chiamati per propormi come consulente. Mi sono prodigato perché credevo in quella causa. Sono stato il primo artista a uscire dalla Siae. Facevamo una guerra ai mulini a vento. E’ uscita un’inchiesta su L’Espressa dove si dice che Siae aveva investito mezzo milione di euro, una società non a scopo di lucro, per far intercettare me e l’amministratore delegato di SoundReef dai servizi segreti israeliani. Lì è stata una guerra vera. Ma la concorrenza porta benefici, innovazione e fa calare i costi. Abbiamo fatto cadere un monopolio e questa cosa da un punto di vista imprenditoriale è pazzesca”.