Gio Evan: “Arnica è una canzone che mi fa male, che mi fa potenza dentro. Sanremo è un palco fortissimo, devi domarlo”
Soundsblog ha intervistato Gio Evan, uno dei Big in gara alla 71esima edizione del Festival di Sanremo, con la canzone Arnica.
Gio Evan è uno dei Big che ha preso parte alla 71esima edizione del Festival di Sanremo che, questa sera, decreterà il vincitore al termine della finale che andrà in onda, in prima serata, su Rai 1.
Il cantautore e poeta romagnolo di origini pugliesi ha presentato, sul palco del Teatro Ariston, la canzone Arnica. Durante la terza serata, dedicata alla Canzone d’Autore, invece, Gio Evan ha scelto Gli anni degli 883.
Noi di Soundsblog abbiamo intervistato Gio Evan con cui abbiamo parlato anche dei suoi imminenti progetti, l’album Mareducato e il libro Ci siamo fatti mare.
Dopo la prima esibizione con “Arnica”, hai ricevuto dei feedback riguardanti la canzone?
Dopo l’esibizione, mi sono subito accerchiato dai compagni di team, non sto seguendo molto le “reaction” delle genti… Non devo assolutamente seguire la dieta di quello che dicono gli altri, ho bisogno di concentrarmi, di stare un po’ con le mie emozioni. Arnica è una canzone che mi fa male, che mi fa potenza dentro, quindi io ho bisogno di prendermi cura della mia arte come prima cosa, perché è quello per cui vivo, e poi anche perché quello di Sanremo è un palco fortissimo, non puoi pensare agli altri, hai bisogno di domare quella pienezza.
Quindi, oltre all’isolamento al quale siamo costretti, hai scelto un ulteriore isolamento…
Sono entrato nel pupazzetto ancora più piccolo della matrioska della vita, quello che non si apre più, che dici: “Ah, è finito!”.
Arnica è una canzone con la quale fai un bilancio della tua vita, elencando una serie di errori che facciamo, però, alla fine, dici “Eppure lo voglio rifare”. Dagli errori non si impara mai, è questo il messaggio che volevi veicolare?
No, dagli errori si impara sempre! C’è questo apprendimento, noi dobbiamo innamorarci del fatto che impariamo e non abbatterci del fatto che sbagliamo. “Eppure lo voglio rifare” cioè nonostante tutti i danni interiori, lo rifacciamo subito perché l’insegnamento che hai sarà sempre più forte della botta che prendi, è questo il nesso.
Mareducato è il tuo nuovo album ed è un concept album che attraversa vari stati d’animo. Perché hai scelto il mare come scenario?
Perché io sono un amico della montagna, vengo, nasco e muoio lì, muoio più volte tra l’altro… Mi sono fatto tre anni di casa con il mare a tre chilometri, scendevo e lo conoscevo, non avevo mai considerato il mare di inverno. Il mare, lo consideri estate, non ti ritrovi mai a dire “Andiamo al mare d’inverno”, non lo percepisci, invece, vivere lì, a pochi passi, nei periodi invernali, ho conosciuto un altro mare che è quello che poi ha composto il disco e anche il libro. Il mare ti sbatte un po’ in faccia la tua verità.
In questo viaggio immaginario, quali sono gli stati d’animo che attraversi?
Ad esempio, c’è un pezzo che si chiama Buster Keaton che parla dell’importanza di cadere felici e anche qui riprendiamo un po’ la trama delle cazzate giovanili, di chi sbraccia tanto e fa anche casino però la prende un po’ a ridere. È un percorso che parte dalla riva e arriva all’abisso, si parte con un inizio “pesante” fino ad arrivare alla leggerezza piuttosto che il contrario. La gente pensa che l’abisso sia quello più buio, più mesto, in realtà dentro il nostro abisso c’è la vera luce.
Per quanto riguarda la serata delle cover, invece, hai scelto “Gli Anni” degli 883 che è una canzone malinconica che hai eseguito insieme ai cantanti di The Voice Senior. Possiamo dire che il tuo è un Festival un po’ incentrato sul sentimento della malinconia?
“Gli Anni” è più nostalgica che malinconica. Nostalgia significa sentire che c’è una lontananza, è bellissima ‘sta roba, sentirsi vicino ad una lontananza, è una canzone celebrativa. Tra “Arnica” e “Gli Anni”, c’è un filo conduttore che è celebrare la vita, mi piace tantissimo, io, poi, sono innamorato perso di Max Pezzali…
Hai avuto l’opportunità di sentire Max Pezzali in questi giorni?
Sì, sì, sì, mi ha mandato un vocale, mi ha fatto piangere. Mi ha salvato durante una di quelle giornate in cui stai in silenzio, non parli con nessuno, ti stai antipatico da solo, quelle robe lì… Mi ha ridato le vitamine.
In questo tuo nuovo progetto, fa parte anche un libro, “Ci siamo fatti mare”, in cui tu unisci nuovamente queste tue due anime che sono quella del cantautore e quella del poeta. Queste tue due anime saranno sempre complementari nella tua carriera?
Mi piacerebbe risponderti, mi piacerebbe prevedere un sempre. Non lo so, per ora, è stato difficile farle andar d’accordo, di pari passo. Per ora, mi trovo bene, non riesco più a vedere differenza tra poesia e musica perché ormai è la poesia stessa che sceglie di musicarci e la musica stessa sceglie, invece, un ritmo più “a cappella”. Sono diventati l’uno con l’altro, hanno capito il senso della vita, forse.
Quindi, andranno sempre un po’ a braccetto, diciamo così…
Sì, non bisticceranno!
Tu hai un nutrito seguito sui social e i social, spesso, vengono demonizzati. Questo tuo seguito sui social può risultare anche uno svantaggio, secondo te?
Sì, tutto quello che è tanto conduce un po’ le due forze, lo Ying e lo Yang, è normale. Da piccolo, il mio mister di calcio mi diceva “Tu corri che la tua potenza è la velocità e loro cadranno per inseguirti ma ricorda che più sono grandi e più il botto è grosso!”. Me la ricordo sempre, me la son portata a vita ‘sta roba qua… Quindi, è normale che più sei esposto e più ti indicano, per questo, riprendendo il concetto di prima, mi sono isolato perché ovviamente non posso nutrirmi del parere degli altri. Monet diceva: “Cercano di capire la mia arte quando in realtà basterebbe solo amare…”.