Home Interviste Goo Goo Dolls, Magnetic: “Ho avuto bisogno di ‘tornare a scuola’ per scrivere questo disco” – intervista a John Rzeznik

Goo Goo Dolls, Magnetic: “Ho avuto bisogno di ‘tornare a scuola’ per scrivere questo disco” – intervista a John Rzeznik

“Ho sempre viaggiato molto: spostandomi a New York da Los Angeles adesso sono più vicino alla mia famiglia”

26 Maggio 2013 17:37

Una nuova strada da percorrere, una nuova vita, e uno sguarda sul mondo dal 12mo piano di un palazzo a Times Square: sono questi gli elementi che hanno ispirato il nuovo disco dei Goo Goo Dolls, “Magnetic”.

Il cantante della formazione originaria di Buffalo, John Rzeznik, ha parlato di tutto questo e di molto altro ai nostri microfoni ( un momento che la sottoscritta aspettava dai tempi di “Iris” ndr.).

Beh, bentonato in Italia: sono molti anni che i Goo Goo Dolls mancano dal nostro Paese.

Grazie, l’Italia è uno dei Paesi in cui mi piace di più tornare. Mi dispiace che sia passato così tanto tempo. Ma adesso abbiamo un nuovo disco fuori, per cui spero che ci sia la possibilità di tornare con un vero e proprio tour.

Il disco è stato registrato al 12mo piano di un edificio a Times Square. Wow.

E’ stato molto divertente lavorare lì: era una stanza proprio sopra Times Square, con finestre enormi tutte intorno. Quindi durante tutto il giorno e tutta la notte arrivava questa energia. Il cuore della città di New York, è stato molto eccitante.

Quando sono stata io a Times Square ricordo che non c’era una sola ora del giorno – o della notte – in cui non ci fosse nessuno in giro.

E’ un’area molto turistica. Quando vivi a New York non è così figo andarci. Ma lì ci sono persone che arrivano da tutto il mondo, e camminano intorno. Per cui quando ci bloccavamo su una canzone, bastava andare a fare una passeggiata. Incontrare le persone che andavano su è giù mi è servito per pulire i miei pensieri.

Anche il singolo “Rebel Beat” l’hai scritto dopo passeggiata a Little Italy, così ho letto.

C’era questo block party (festa di quartiere ndr.), gente ovunque. C’era chi suonava, chi cucinava per strada, mi ha ispirato molto.

Beh, Little Italy è un po’ la terra in cui si sono ritrovate persone lontane dai loro Paesi d’origine…

Anche io ho viaggiato molto, lontano da casa, e non ti fai molti amici. E’ bello invece vedere amici che si ritrovano.

Hai ancora molti parenti a Buffalo?

Sì. Però spostandomi a New York da Los Angeles sono più vicino alla mia famiglia. Anche la mia ragazza così sarà più vicina alla sua famiglia.

Quanto torni a Buffalo ti accorgerai ogni volta dei cambiamenti della tua città, in tutti questi anni che sei stato lontano.

Tornare a casa, a Buffalo, è sempre una sensazione dolce e amara allo stesso tempo. Ho ancora un paio di amici molto stretti lì, ma un sacco di gente si è spostata. Una parte della città si è svuotata, mentre un’altra si è completamente reinventata. Ci sono negozietti, chef che lavorano…un nuovo inizio è sempre bello da vedere. Quando abbiamo iniziato eravamo molto giovani, eravamo una specie di ‘happy go lucky boys’ (espressione che indica l’essere ‘senza pensieri’ ndr.), pensavamo a fare casino e uscire con le ragazze. Non abbiamo mai preso la cosa seriamente. Non avrei mai immaginato di scrivere un pezzo e di vendere milioni di copie. Avrei finito la scuola, mi sarei trovato un lavoro.

In questo disco avete lavorato con ben quattro produttori (Gregg Wattenberg, Rob Cavallo, John Shanks e Greg Wells). Come mai?

Per quanto mi riguarda mi sono molto divertito. Mi stanco a stare chiuso in studio con sempre le stesse persone. Voglio energie fresche, nuove nella stanza. Ho pensato che se stavavamo due o tre giorni con lo stesso produttore, ci saremmo comportati sempre in un certo modo, senza annoiarci. Abbiamo lavorato qualche giorno con uno, poi ci siamo spostati per lavorare con un altro. E poi ritornavamo da quello precedente dopo qualche giorno. Non abbiamo lavorato in modo continuativo. Questo mi ha dato una nuova prospettiva.

“Magnetic” sarà il vostro decimo album, e nel corso della vostra carriera avete venduto 10 milioni di copie.

Siamo una band unica, in questo senso: abbiamo avuto una carriera molto lunga, ma non siamo mai stati la band più grande in America. Siamo sempre stati in grado di andare avanti, e il nostro pubblico è aumentato nel corso degli anni. E’ grandioso perchè abbiamo avuto un picco di successo, che poi è calato, e poi un altro po’. Ci sono sempre piccole vittorie, che ti fanno ritornare. C’è sempre quel desiderio di trovare la canzone perfetta, di fare una piccola parte nella vita delle persone. E’ la cosa che mi emoziona di più quando incontro la gente, quando mi danno piccoli appunti, lettere in cui mi raccontano la loro vita e mi dicono “ascolto la vostra musica perchè mi aiuta”. Me ne arrivano davvero tante, e penso che le nostre canzoni abbiano uno scopo.

Sei mai riuscito a capire dov’era la potenza di “Iris”, che ha decretato il suo successo?

“Iris” è stata come un dono che mi è stato messo tra le mani. Questa canzone mi ha cambiato la vita, letteralmente. Qualsiasi artista si taglierebbe un braccio per avere una canzone come quella. E ne sono ancora orgoglioso.

Taylor Swift è una vostra grande fan, tanto che coverizza “Iris” – e una volta anche tu l’hai cantata insieme a lei -.

Ne sono onorato. Mi fa davvero molto piacere che qualcuno così giovane, così iconico per la sua generazione, abbia voluto cantare con me.

Tornando a “Magnetic”, come hai scritto le canzoni?

Ero seduto nella mia stanza a casa, con il mio laptop, il microfono e la mia chitarra. Ero solo, e scrivevo. Mi sentivo molto solo nel farlo. E mi sono detto: “Per 20 anni sono stato seduto da solo in una stanza a scrivere, ora ho bisogno di ‘tornare a scuola’”. E’ stata proprio l’espressione esatta, ‘tornare a scuola’. Sentivo di non poter più produrre qualcosa di valore in quel vuoto. Quindi ho telefonato ad alcuni miei amici, con cui ho molte cose in comune. La potenza di quelle collaborazioni ha espanso quello che potevo buttare sul tavolo. La mia mente era così aperta alle diverse opinioni, e prospettive. E’ stato grandioso lasciar andare tutto, senza controllo. Per anni mi sono comportato come un dittatore. Adesso invece andavo al lavoro ogni giorno e ridevo ogni giorno, ho imparato un sacco.

Hai registrato in analogico o digitale?

E’ stato una combinazione di entrambi. Questo disco è più concentrato sulle canzoni, sullo scrivere le migliori canzoni e trasferirle in modo da trasmettere un messaggio molto forte. Il sound è arrivato in modo naturale. E’ stato molto interessante lavorare con un paio di ragazzi, che hanno aggiunto un po’ di elettronica. E’ un mix insomma tra la tecnologia del computer e i vecchi microfoni, i vecchi amplificatori. Mi è molto piaciuto lavorare con ragazzi più giovani, che hanno sempre lavorato con i computer. La loro prospettiva sulla musica è molto diversa. E’ stato molto divertente dare in mano loro le canzoni, e dire “giocateci”. Quando me le hanno ridate, qualche volte erano un casino, mentre altre volte erano qualcosa di fresco ed elettrizzante. So che mi criticheranno per questo, soprattutto per una parte del disco, perchè è diversa dalla nostra ‘formula’, ma ho voluto questo, ed è stato divertente. Mi ha reso felice, ed era quello che volevo comunicare al mondo.

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