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Il Godano pensiero sulla nostra amata musica: riflessioni

Non bastava aver probabilmente dedicato un paio di canzoni ad un collega recensore colpevole di aver parlato di sbrodoline snob e di Liars-Mania con toni ironici verso i fan dei Marlene Kuntz, Cristiano Godano torna sul discorso ricoveri virtuali con un doppio post sul sito de Il Fatto Quotidiano (parte 1 e parte 2). Alcuni

pubblicato 6 Agosto 2012 aggiornato 30 Agosto 2020 14:17

Non bastava aver probabilmente dedicato un paio di canzoni ad un collega recensore colpevole di aver parlato di sbrodoline snob e di Liars-Mania con toni ironici verso i fan dei Marlene Kuntz, Cristiano Godano torna sul discorso ricoveri virtuali con un doppio post sul sito de Il Fatto Quotidiano (parte 1 e parte 2). Alcuni passaggi e riflessioni a seguito:

“se i dischi costassero meno la gente ne comprerebbe di più. Credo sia illusorio e falso”
Sì ma no… ci sono vari esempi di dischi messi in vendita ad un prezzo stracciato con conseguenti risultati di vendita molto positivi. Concordo però che il prezzo non può essere la motivazione principale che spinge a non comprare un determinato disco. Il prezzo dei cd nell’ultimo decennio è rimasto, contrariamente ad altri beni, piuttosto stabile, anzi tra offerte sempre più frequenti, Amazon, Play.com e compagnia mediamente forse si è anche abbassato rispetto a dieci anni fa.

“Semplicemente la musica ha subìto questo attacco del progresso”.
Assolutamente no, la musica non ha subito nulla! Semmai è l’industria musicale che ha subìto l’attacco del progresso. Anzi, mi correggo, è la parte di industria musicale che in precedenza pasteggia allegramente che si è vista “attaccata” dal progresso, per i “piccoli” è solo un’opportunità – ENORME – in più. Coda lunga all’ennesima potenza: meno potere ai big e più spazio per tutti. Inoltre non avrebbe subìto nulla se avesse affrontato l’evoluzione in un ottica diversa, meno conservatrice. Se poi c’è paura del progresso, per coerenza l’articolo del leader dei Marlene Kuntz doveva essere scritto con la macchina da scrivere alla luce di una candela e non finire su di un sito web. Progresso, evoluzione… chiamiamola come vogliamo, è inevitabile, ed è un bene che sia così.

“Si dice altresì che ora si può ascoltare tutto prima di decidere cosa acquistare veramente. Credo sia ancora più falso”.
Verissimo invece, FORTUNATAMENTE è possibile ascoltare tutta (o quasi) la musica del mondo con un solo clic. Non ringrazierò mai abbastanza personaggi come Daniel Ek (il creatore di Spotify) capaci di ideare nuovi modelli di business in grado di dare la possibilità agli utenti di ascoltare quello che vogliono senza le limitazioni classiche dei media tradizionali, chiaramente imposte dall’alto, proprio da quelli che ora si lamentano. C’è la possibilità per tutti di uscire dall’esercito di zombie/ascoltatori passivi e diventare ascoltatori attivi, ed è questa la vera rivoluzione. Più scelta c’è, più si muove la cultura, più la gente si appassiona ed è disposta ad investire dei soldi (concerti, cd, merchandise ecc..). Ascolto musica dieci ore al giorno, più di 50 dischi al mese (Spotify, Deezer, promo, streaming, mp3, bandcamp, soundcloud, esclusive su siti specializzati ecc..), se c’è un album che mi piace veramente o che reputo importante avere, lo compro. Il punto è che probabilmente questo album non l’avrei mai conosciuto se non avessi avuto la possibilità di ascoltarlo in precedenza. Ma poi, perchè mai dovrei comprare a scatola chiusa un disco solo perchè è di un determinato artista, senza prima sapere se quei soldi sono spesi bene o meno? E di certo non mi devo far piacere un disco per giustificarne l’acquisto (vedi il passaggio “per il semplice fatto di aver speso dei soldi si metteva d’impegno a cercare di giustificare il suo acquisto, e così facendo ascoltava almeno una decina di volte il disco in questione. Ovvero ascoltava musica. E se poi proprio non gli piaceva… si rassegnava.“).

Su questo punto riporto quanto scritto nel post “In Svezia il mercato cresce del 30% grazie a Spotify“.
Il mercato musicale svedese nel primo semestre 2012 ha aumentato del 30% gli introiti (composti per il 60,5% da musica digitale) rispetto al primo semestre 2011. Un +30% complessivo che nasconde un -2% del formato fisico e un +60,5% del formato digitale, che a sua volta ha registrato un +79% per lo streaming (praticamente monopolio di Spotify) e un -14% per le altre forme di musica digitale, come i download legali. La diminuzione impercettibile delle vendite dei cd parla chiaro: chi ascolta la musica in streaming compra anche i cd nei negozi e probabilmente cd che non avrebbero mai ascoltato senza Spotify o senza utilizzare mezzi illegali.

“questi tutti, si dice, si potranno rivalere sui concerti. Ma la cosa, ahimè, è errata: se tutti hanno bisogno di suonare di più dal vivo, il problema si sposta a valle, perché l’offerta di concerti che ne deriva è superiore a qualsiasi tipo di domanda possibile (bisognerebbe che tutte le persone amanti di musica andassero ogni giorno e sera della settimana, domeniche e lunedì inclusi, a supportare i gruppi in concerto; e non basterebbe comunque)”.
Rientra nella questione della vastità della scelta, che poi ha ricadute sia nelle vendite dei dischi che dei concerti. Se prima la gente con lo sforzo 10 poteva conoscere/seguire/apprezzare/supportare 50 artisti, ora con sforzo 10 è possibile conoscere/seguire/apprezzare/supportare 500 artisti. Di conseguenza sarà poi necessario fare delle scelte. Chi stava “bene” prima, oggi si vede privato di entrate che vanno a finire nelle tasche di artisti che in precedenza non avevano la possibilità di farsi conoscere, magari per limiti territoriali. Internet ha abbattuto tutte le barriere e il mercato dell’informazione è globale.

Esempio: se 15 anni fa a Bologna suonavano la stessa sera i Marlene Kuntz, pincopallino_a_me_sconosciuto1 e pincopallino_a_me_sconosciuto2, andavo a vedere i Marlene, in quanto non avevo informazioni o feedback positivi dagli altri 2. Oggi con ogni probabilità gli altri due posso conoscerli e ascoltarli con due clic su Youtube o Spotify e di conseguenza poter scegliere con più cognizione a quale dei tre concerti andare. Probabilmente sceglierei uno dei due pincopallino e altrettanto probabilmente gli comprerei anche il cd a fine concerto. Non a caso, uno con una onorata carriera come Damien Jurado è venuto a suonare in Italia solamente nel 2012 per la prima volta in quindici anni di attività.
Certo, probabile che se si continua così, in futuro l’ipotetico volume informativo sorpasserà il limite invalicabile imposto dal tempo necessario per poterlo acquisire, ma è un rischio che bisogna correre: meglio dare tutta la musica del mondo in mano agli utenti e far fare a loro le scelte come meglio credono, piuttosto che imporgli 50 artisti dall’alto.

“Solo, so lo sforzo che si fa per fare musica, e mai mi permetterei di prendere per il culo una band a casa sua, ovvero in rete”
Come c’è chi parla male di un disco dopo averlo ascoltato in modo superficiale, c’è anche chi dopo un ascolto superficiale regala votoni altissimi, ma ovviamente questi non danno fastidio. Ma su questa ottica del “ci vanno bene solo le recensioni piene di lusinghe” bisognerebbe citare un altro fantomatico guru della scena “alternative” italiana…

“il musicista sta perdendo metà del suo lavoro (la vendita della sua musica), e l’altra metà rimasta in vita (il concerto) è fortemente, molto fortemente, danneggiata dalla morte della prima”. Non sono d’accordo. Moltissimi artisti emergenti o comunque lontani dalla grande distribuzione da supermercato, vendono più dischi durante i concerti che nei negozi di dischi. Ma soprattutto non c’è tanta correlazione tra le due cose: al concerto ci vado perchè apprezzo quel determinato artista o ho apprezzato un determinato album e oggi, per poterlo fare fortunatamente non è più necessario vedere il video in tv, ascoltare la canzone in radio o comprare il disco fisico in negozio. Grazie alle nuove opportunità (streaming su tutte) potenzialmente il bacino di utenza è molto più ampio rispetto ad un decennio fa, mi sembra logico.

“Al giorno d’oggi, a seconda dei periodi, si può andare in classifica (intendo nei primi tre posti, non nei primi venti o cinquanta) anche con soli 2500 pezzi venduti”. Verissimo, ma per molti anche quel traguardo sarebbe stato impossibile senza quell’utilizzo etichettato come “dannoso” delle opportunità fornite dalla rete. I vari Bon Iver e Arcade Fire oggi non debutterebbero in top3 negli USA (o vincerebbero un Grammy, per quanto poco possa voler dire…) senza il precedente supporto di quegli ascolti frettolosi e bulimici, dello streaming, dei download illegali, del buzz, delle discussioni ecc ecc.
I Verdena lo scorso anno hanno venduto circa 20.000 copie con “WOW” registrando la migliore chart-run della carriera e facendo sold-out un po’ ovunque. Di chi è stato il merito? Buona parte di articoli e recensioni positive (magari scritte con la stessa attenzione riservata ad un disco dei Marlene Kuntz poco osannato) ma anche di ascolti pre-acquisto.
Prendiamo poi l’esempio de I Cani e de Lo Stato Sociale, per loro Internet (e tutto quello che ne consegue) è stato tutto. Non finiscono nella classifica ufficiale degli album più venduti perchè la distribuzione negli store del campione non è ancora quella mainstream, ma i loro concerti non sarebbero tanto pieni (e non venderebbero tanti dischi a fine performance) senza mp3 passati all’amico o senza gli ascolti su youtube.
O ancora, i leak anticipati dannosi o opportunità? Per molti artisti lontani dal circuito mainstream spesso diventa l’occasione perfetta per farsi conoscere e anche chi è già conosciuto può trarne vantaggio, soprattutto se l’album è di buona fattura.
I Beach House non avevano mai superato la 78° posizione in UK e la 43° in USA. L’ultimo album “Bloom” è stato leakato due mesi prima dell’uscita creando buzz e facendo parlare di sè nel circuito degli appassionati (quelli che poi comprano i dischi). Risultato? 15° posizione in UK e 7° in USA e record di vendite.

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