Home Interviste Joan Thiele presenta l’ep d’esordio: “Molti brani sono nati in studio durante live sessions”

Joan Thiele presenta l’ep d’esordio: “Molti brani sono nati in studio durante live sessions”

L’ep di debutto dopo il successo radiofonico dei singoli “Save Me” e “Taxi Driver”, la nostra intervista

pubblicato 11 Giugno 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 16:32

Dopo il successo radiofonico di “Save Me” e soprattutto di “Taxi Driver”, due canzoni raffinate e dall’apprezzatissimo respiro internazionale, il 10 giugno è uscito per Universal Music l’ep di debutto di Joan Thiele dal titolo omonimo.

La talentuosa cantautrice ha messo a punto sei brani inediti più una cover di Lauryn Hill, che si potranno ascoltare dal vivo in una delle date che Joan farà a bordo del tourbus di Red Bull (I-Days a Monza, 9 luglio; Goa Boa a Genova, 16 luglio; Siren Fest a Vasto, 23 luglio; Locus Festival a Locorotondo, 31 luglio; Treviso Home Festival, 3 e 4 settembre).

L’abbiamo incontrata per voi alla vigilia del suo showcase milanese, inaugurazione della rassegna Market Sound ai Mercati Generali.

Dopo un anno torni sul ‘luogo del delitto’: l’anno scorso sei già stata a Market Sound. E ne sono successe di cose da allora…

L’anno scorso è stato molto bello perchè è stata l’apertura di Bombino, che è un’artista che amo molto, è stato molto emozionante. Ed è bello tornare un anno dopo per presentare il lavoro di quest’anno.

Dove hai registrato il disco?

Un po’in giro, a Milano, con gli Etna che sono i ragazzi con cui suono, ad Amburgo, a Los Angeles e a New York. Il fatto di trovarmi a contatto con persone diverse è stato molto stimolante.

Hai fatto una produzione diversa per ogni brano oppure è la stessa per tutte le canzoni?

Molte produzioni sono nate live. Facendo tanti live con i ragazzi ci siamo chiusi in studio negli ultimi due o tre anni a prescindere dall’idea del disco e da tutto il resto. Alcuni brani sono nati così, quasi in presa diretta, durante una live session. Abbiamo voluto mantenere i pezzi nel modo in cui sono nati, gli arrangiamenti sono live. Ma c’è anche “Taxi Driver” ad esempio, che è superprodotto e non nasce dal live.

Invece per quanto riguarda l’inglese, come mai hai scelto questa lingua per scrivere le tue canzoni?

L’inglese l’ho studiato, ma è legato principalmente ad un fatto di ascolti. Ascolto più musica inglese e americana, e se ascolti di più una determinata cosa sei più portata a fare quello. A livello comunicativo poi penso che l’inglese sia una lingua universale, sembra scontato dirlo ma è così. E poi mi viene naturale, non sto molto a pensarci.

Come nascono le tue canzoni?

Prima mi viene la musica e poi il testo. Però dipende, a volte è il contrario.

E come vivi il fatto di essere autrice dei tuoi brani?

Quando da piccolina interpretavo le canzoni venivano delle schifezze. Facevo dei concorsi a 12, 13 anni ma mi ricordo che arrivavo sempre ultima e ci rimanevo male, arrivavano primi quelli che avevano un voce della madonna e io pensavo “non ce l’avrò mai quella voce lì”. Tu all’inizio pensi che sia solo importante la vocalità, è un’impostazione che non so se sia solo italiana o generale, ma secondo me sono i colori della voce, è il tuo timbro che deve avere più importanza. Così a molti viene da fare le cover perchè sono concentrati sulla voce, però a volte manca l’interpretazione reale. Interpretare un brano non significa farlo allo stesso modo, devi fartela un po’ tua. E magari poi ad un certo punto ti viene la voglia di lasciarti andare, esprimere e scrivere le cose che senti.

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