Michele Bravi, La geografia del buio: “Un disco con due parole chiave: dolore e amore”
Michele Bravi, La geografia del buio, il nuovo album dal 29 gennaio 2021: ecco le dichiarazioni del cantante durante la conferenza stampa
Da domani, venerdì 29 gennaio 2021, esce “La Geografia del Buio”, il nuovo concept album di Michele Bravi, disponibile su tutte le piattaforme digitali e in formato CD.
Il nuovo progetto discografico è stato anticipato dall’uscita dei singoli “La vita breve dei coriandoli” e “Mantieni il bacio”. A distanza di quattro anni da “Anime di carta”, l’album certificato disco d’oro e contenente il singolo doppio platino “Il diario degli errori”, Michele Bravi torna con un progetto musicale, profondamente diverso da tutta la produzione precedente.
““La Geografia del Buio” è un racconto attraverso la ferita del mondo. Una perdita di aderenza dal reale e il tuffo in un’oscurità che racchiude in sé la violenza della vita e riscopre nell’amore l’unica salvezza. Un amore che non combatte il male ma che aiuta a disegnarne la geografia”
L’album è costituito da 10 tracce, tra cui i singoli “La vita breve dei coriandoli”, “Mantieni il bacio” e un brano completamente strumentale, eseguito al pianoforte dallo stesso Michele, che segna la chiusura del percorso attraverso “La Geografia del Buio” in cui l’ascoltatore ha imparato ad orientarsi. L’intero progetto discografico è stato prodotto da Francesco “Katoo” Catitti, che aveva già in precedenza collaborato con Michele. Il pianoforte, che accompagna la voce dell’artista in tutte le tracce, è suonato da Andrea Manzoni.
Michele Bravi, le dichiarazioni della conferenza stampa
Michele Bravi ha incontrato la stampa per parlare del suo nuovo disco e si è raccontato, rivelando come è nato, la genesi di questo progetto e i temi cardine dell’album.
“E’ un disco che nasce dalla solitudine più grande che io abbia mai conosciuto. Adesso che questa voce ha ricominciato a cantare, ci tenevo tanto che fosse la mia a raccontare questo album, senza filtri. Vorrei fare una piccola premessa. Questo disco è una grande riflessione sul dolore. L’anno scorso, durante l’estate, mi sono imbattuto in questo libro del 1961, di Lewis, delle lettere a se stesso. Si intitola “Il diario del dolore”. Volevo aprire questa riflessione sul disco, questa giornata di analisi del progetto musicale con le sue parole. “Avevo pensato di fare una mappa dell’afflizione…. Si tratta di una storia che inizia quasi due anni fa. La mia voce aveva appena iniziato a parlare. Avevo appena iniziato a vedere cosa succedeva fuori dai miei occhi. Incontro Andrea Baiani che mi dice una cosa piccolissima ma fondamentale: “La musica non salva da niente. La musica aiuta a disegnare il labirinto”. La geografia disegna questo labirinto. Questa storia racconta come si convive con il buio, non come si esce. Non giudica il dolore. Va seguito il sentiero e ci convive con il dolore. Io parlo di orientamento. Va trovato uno spazio per il dolore. Va mostrato in mezzo alla stanza, puntarci una luce sopra. Il mostro è diventato un bambino che ti porti sulla schiena e affronti il mondo. Il dolore è una casa senza finestre, senza luce, ma comunque una casa in cui devi vivere. Il dolore non ha un senso. La forza propulsiva è condividerla. Spero che questo disco possa rompere una serie di stigmi. EMDR è la mia terapia. In “Storia del mio corpo” racconto di quell’unica parte, il corpo, dove non potevo non nascondere questa storia.
Michele continua, parlando del tema del dolore e di alcuni pezzi presenti nel disco. Dolore e amore.
“Il dolore è il suono delle mosche sulle macerie” scrivo in una canzone. Il silenzio, mai come in questo disco, ho avuto il coraggio di inserirlo, dei momenti vuoti. Ci tenevo che potesse essere lesso in due modi: il potere evocativo di una canzone e dall’altra parte una storia nascosta. Il corpo dell’album volevo che fosse quello, che si sentisse il ronzio del frigorifero, l’ho completamente registrato nel salotto di casa di Francesco. Tutti suoni che fanno parte della quotidianità. C’è un brano, l’ultimo, “Sette passi di distanza“. La scrivo dopo aver ricevuto un vocale, in un momento in cui la mia voce non era capace a cantare. E’ fatta solo del pianoforte e del mio respiro. Oltre a “dolore”, la seconda parola dell’album è “Amore“. Mi è stato chiesto, due anni fa, di usare la musica per il dono che ho ricevuto, per la condivisione del dolore dell’altra persona. In “Sette passi di distanza” parla di un libro che mi ha dato questo ragazzo che mi è stato accanto. Si intitola “L’amore ai tempi del colera”, di questi due amanti che si rincorrono per tutta la vita. Durante il loro percorso intorno al mondo, sono così lontani che anche il fusorario li divide. “Non erano più a sette passi di distanza, erano a due giorni diversi” dice l’autore in un passaggio del libro. Ho avuto la fortuna che con questa persona ho imparato quanto è importante la libertà di amare. Quando parlavo della mia sessualità, del mio percorso amoroso ero quasi rivoluzionario nel voler dimostrare la parità nel non dire. Sarebbe bellissimo ma è un’utopia. L’amore non è un atto privato ma pubblico: chi ama può condividere il suo amore. Va rispettata l’individualità di ciascuno. Chi si sente pronto si esponga. Durante il primo bacio ricordo la voce che dentro di me diceva “Stai facendo la cosa sbagliata, non è giusto”. Ascoltare il primo bacio e sentirne il sapore è la cosa più bella, non quella voce. Vorrei prendere un ultimo minuto per ringraziare le persone che hanno fatto parte di questo progetto: Andrea Manzoni che suonato il pianoforte dal momento zero. Ha seguito tutto il percorso delle canzoni. E il maestro Elio di Nardo: è un amico, un manager, ha protetto questo disco. Era un bisogno, un’urgenza, dare un ordine, cristallizzare un momento orribile, nero. Vorrei ringraziare Chiara Galiazzo che ha regalato la sua voce come atmosfera di sottofondo alla mia. E la Virgin che ha aspettato con pazienza questo mio lavoro per anni”.
L’idea di un un tour, originariamente, c’era. Esiste anche oggi, Covid-19 permettendo, ahimé:
“Questo disco doveva uscire un anno fa. Era previsto un discorso dal vivo, dal palcoscenico. La prima canzone l’ho eseguita due anni fa, era previsto un grande tour che avrebbe coronato un sogno enorme. Il nostro mondo è cambiato, con una incertezza infinita. C’è la volontà di cantarlo dal vivo da parte mia e del mio team. L’idea di poterlo raccontare nei teatri è un regalo a cui spero di poter lavorare quando ci sarà la possibilità”.
Sul tema della scrittura come qualcosa di terapeutico, Michele evita ogni qualsiasi equivoco o fraintendimento:
“Il dolore è un fatto enorme che straccia la tua vita. E’ importante che venga affrontato con il cinismo con cui si affronta una malattia. Non è stata la musica a salvarmi ma la terapia, un percorso medico. Ho avuto la fortuna che qualcuno non avesse il pudore di raccontarmi la sua storia medica. Il dolore va portato in uno studio medico. Poi, in un secondo tempo, arriva la musica. La musica serve a decifrare il dolore, non a guarirlo“.
Infine, una sua riflessione su come sta vivendo periodo di pandemia:
“E’ un momento complicato, complesso. In questo momento c’è un problema enorme che il mondo e il nostro Paese sta sviluppando. Per questo speso che questo disco possa suggerire una possibilità per orientarsi, che questo male va affrontato in certi sedi opportune. A un certo punto, nella prima traccia, parlo di un bigliettino di questo ragazzo che è stato con me prima di andarsene che mi dice “Non parlare mai del futuro perché il futuro è una cosa pericolosa”.