La Luna e la gatta: Le Coliche avevano previsto tutto (e noi pure)
C’è ancora bisogno nella musica italiana di canzoni come La luna e la gatta, che ripetono (incosapevolmente?) un canovaccio diventato ormai parodia di sé stesso? Ecco una breve riflessione a riguardo.
Un benvenuto al mese di marzo. Con i primi caldi, puntuali come la pioggia a Pasquetta, iniziano a spuntarci in posta i più classici dei comunicati stampa che annunciano i nuovi imperdibili progetti discografici estivi degli artisti italiani. Per il terzo anno di fila, a partecipare a questo divertente carrozzone, si aggiungono (neanche a dirlo) anche Takagi e Ketra, il duo di producers composto da Alessandro Merli e Fabio Clemente.
La formula è ormai molto ben collaudata, e funziona, soprattutto a livello di classifiche. L’esercito del selfie e Amore e Capoeira sono stati dei successi clamorosi, ma d’altra parte erano stati scritti con la prospettiva di diventare hit. Takagi e Ketra lo sanno perfettamente come si costruiscono le canzoni. Non è un caso, d’altra parte, che per il loro ultimo tormentone con Giusy Ferreri abbiano chiamato, fra gli altri, anche un’esperta autrice di dischi di platino come Federica Abbate.
Per la loro più recente fatica, tuttavia, Takagi e Ketra hanno cercato di rimettersi in discussione, ulteriormente, sperimentando con quello che è stato definito “un mix di soul, delle colonne sonore Spaghetti Western anni ‘70 e di urban Pop”. Il risultato di questo bizzarro esperimento è La Luna e la gatta, canzone uscita quest’oggi in collaborazione con i Barbooodos, un supergruppo composto da nientemeno che Calcutta, Tommaso Paradiso e Jovanotti.
Curiosamente, l’idea di una super band di stampo indie (se mai di indie possiamo parlare, considerati gli artisti inclusi nel progetto) era già emersa, in forma parodistica, in un recente video de Le Coliche, videomaker romani nonché concorrenti dell’ultima edizione di Pechino Express. In questa clip, il duo romano si immaginava cosa sarebbe successo se gli stessi Calcutta, Paradiso e Coez (che vale come Jovanotti della situazione) avessero dato vita ad un trio.
Per ironia della sorte, dunque, una dinamica (già vista e rivista) si è prima trasformata in parodia e successivamente si è concretizzata in realtà. Tre artisti molto quotati uniscono le forze per pubblicare una canzone già bella e finita ancor prima di essere scritta. Prova ne è, fra le altre cose, la presenza del fischiettio tattico, adatto ad aumentare l’hype virale della canzone e il suo appeal radiofonico.
La Luna e la gatta, tanto quanto L’esercito del sefie o Amore e Capoeira non è una canzone, è un vero e proprio progetto. Proprio come lo era Vorrei ma non posto di Fedez e J-Ax, concepita prima di tutto come canzone da spot pubblicitario. La Luna e la gatta è anche e soprattutto una numero uno FIMI, è un premio RTL 102.5 assegnato in partenza all’Arena di Verona e un palazzetto milanese già pronto ad accogliere il trio dei Barbooodos.
Non c’è nulla di male, sia ben chiaro, a cercare la massimizzazione del risultato. È la regola del tormentone, valida fin dai tempi (ormai remoti) del Festivalbar. Il problema sta nella ripetizione di un canovaccio, sempre uguale a sé stesso. Al netto delle considerazioni più o meno naif sulla qualità artistica di La Luna e la gatta (ma immagino che non si stesse puntando al Grammy) è indubbio che sia arrivato il momento, per la musica italiana, di aggiustare un pochino il tiro. Perché se si pubblicano canzoni che diventano il riflesso di parodie precedenti, forse è il caso di iniziare a farsi due domande.