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Memory Almost Full, Paul McCartney, Starbucks 2007

Ogni nuovo lavoro di Paul McCartney solista porta con sè speranze e interrogativi al suo arrivo nei negozi. E questo Memory Almost Full, prima incisione per la nuova casa discografica Starbucks dopo il divorzio dal gigante E.M.I., non si sottrae al rito. Il titolo tecnologico, suggerito da un messaggio del cellulare, fa da contrasto alla

pubblicato 13 Agosto 2007 aggiornato 1 Settembre 2020 01:24

Ogni nuovo lavoro di Paul McCartney solista porta con sè speranze e interrogativi al suo arrivo nei negozi. E questo Memory Almost Full, prima incisione per la nuova casa discografica Starbucks dopo il divorzio dal gigante E.M.I., non si sottrae al rito. Il titolo tecnologico, suggerito da un messaggio del cellulare, fa da contrasto alla poltrona in penombra della copertina, firmata con un tocco femminile forse suggerito dalle istanze del momento. L’album è stato, infatti, composto durante il periodo della sua costosa separazione dalla seconda moglie Heather Mills.

Nel complesso il lavoro presenta il solito Paul di maniera: agilissimo tanto nelle armonie, quanto negli scatti pop alternati alle improvvise ballate sospese tra il sognante riverbero di “A Fool On The Hill” e la depressione mortale di Eleanor Rigby. Così l’album accavalla ritmi aggressivi e riflessioni acustiche, che rimandano più al tempo dei Wings che a quello dei Beatles, anche se Paul non ha smarrito per strada il gusto per la provocazione melodica.

Il primo brano, dal persuasivo titolo “Dance Tonight”, è un motivo di facile presa, basato su un insistente raddoppio di basso e grancassa, accompagnato da mandolini e fischiettii gioiosi, suonato interamente da Paul, come abitudine. “Ever Present Past” è un movimentato inno all’adolescenza, che ha svolto diligentemente il ruolo di apripista nel mercato americano. Nella terza traccia ricompare il Paul vecchio stampo, che si affida al piano staccato di “Penny Lane”, per costruire un brano accattivante, melodioso, sospinto da un tappeto sonoro profondo, denso, nasale, che evapora misteriosamente in un giro d’archi sibillino che tiene la porta aperta all’arrivo di una chitarra elettrica estremamente grintosa, che rimanda al suono grezzo dei Wings. “Only Mama Knows” ricicla così l’ideologia sonora del Big Medley di “Abbey Road”, tenendosi sulla corda di un rock insistente e monocorde, che si esalta nel tambureggiante ritornello finale, risucchiato dal timbro funereo di “You Tell Me”, puntellato da chitarre nevrotiche, distorte, ripassate sull’eco, per suggerire la riflessione centrale, dominata da un elegante e minimalista assolo. Il brano svanisce con le sue tinture naturaliste dentro un quadro classiccheggiante, Mister Bellamy, aperto da una sventagliata di corni, che richiamano quell’idea di medley appena accennata dai cambi di ritmo serrati della prima parte e terminato da una coda parlata, eterodossa. Che la mini-suite fosse nell’aria, tuttavia, lo si intuisce dal brano centrale, “Gratitude”, gravido di continui riferimenti alla seconda moglie, che libera il campo alla composizione unitaria. Dominato da continui accenni ai ricordi del passato, dell’adolescenza, dei tempi migliori – il tempo passa per tutti – il medley è caratterizzato da una continua gara a rincorrersi tra le chitarre e il pianoforte, che sprofonda nel jazz divertito di “That Was Me”, brano assolutamente ispirato, che ci riconsegna il Paul McCartney più eclettico e sbarazzino, della metà degli anni Sessanta, quando vagabondava per i circoli di Londra alla ricerca di nuove sfumature sonore. “Feet In The Clouds” esordisce con una carezza acustica, ma ha un finale snervante, graffiante, inchiodato a una voce trattata, metallica, che serve da ponte alla orchestrale “House Of Wax”, estremamente affogata nell’eco, cupa. Questa matassa temporalesca si vaporizza dentro un assolo incisivo, mentre il ritmo lentamente accelera e sale di tono, in un archetipo rock che l’anima pop di Paul insegue dai tempi di “Helter Skelter”. L’arcobaleno ricompare nei minuti finali: quando la tempesta è passata, il piano di “End of the End” introduce un’aria meditabonda, pensosa, alla ricerca del posto migliore dove riposare, dopo il lungo viaggio della vita. E’ l’annuncio della vibrante uscita di scena intitolata “Nod Your Head”, che sembra ripresa, pari pari, dal “reprise” di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Purtroppo quel lampo di ispirazione è stato speso nella tempesta di ricordi delle tracce centrali e Paul non può far altro che abbassare la saracinesca all’improvviso, senza accordi finali o dissolvenze, come un saluto di convenienza appena accennato.

Voto: @@@

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