Michael Jackson: vent’anni fa usciva “Dangerous”
Michael Jackson: vent’anni fa usciva “Dangerous”
Erano passati quattro anni dal successo planetario di “Bad” e le voci che annunciavano un nuovo album del Re del Pop si facevano sempre più insistenti. C’era però anche una notizia ad allarmare fan e appassionati: Michael Jackson aveva abbandonato Quincy Jones. Più che produttore, Jones era diventato una sorta di ‘padre artistico’ per Jacko. Lo aveva guidato e consigliato, imprimendo al suo stile e al suo sound una serie di direzioni fondamentali. Con sgomento di tutti, il 26 novembre di vent’anni fa, “Dangerous” venne pubblicato con la metà dei brani prodotti da Teddy Riley e l’altra metà dallo stesso Jackson e da Bill Bottrell (oltre a un paio di tracce più legate al passato, realizzate insieme a Bruce Swedien – già presente in “Thriller” e “Bad”).
Cinquecento milioni di persone rimasero incollate davanti allo schermo per guardare i dieci minuti di “Black Or White”: primo singolo e colossale epifania della musica pop. Girato da John Landis (“The Blues Brothers”, “Una poltrona per due”, ma anche “Thriller”, pluripremiato video di Jackson) e con la partecipazione di Macaulay Culkin, “Black Or White” fu un successo annunciato, anche grazie all’innovativo uso del morphing. I problemi arrivarono poi, quando i quattro minuti finali vennero censurati perché ritenuti troppo violenti. Le immagini di Michael Jackson che distruggeva vetrine e macchine su cui erano stati disegnati simboli razzisti, male si conciliavano con le recenti rivolte nere in alcune città degli Stati Uniti.
La censura – ovviamente – non impedì i risultati: “Black or White” rimase primo nella classifica dei singoli per ben sette settimane, mentre “Dangerous” vendette 326.500 copie nella prima settimana e quattro milioni in meno di due mesi solo negli USA. Gli altri brani non furono da meno: “Remember the Time”, “In the Closet”, “Will You Be There” ottennero tutti numerosi riconoscimenti, fino alla ridicola accusa di plagio del ‘nostro’ Al Bano per “Will You Be There” e al capolavoro di “Heal the World” che diede poi il nome alla “Heal the World Foundation”, associazione benefica fondata nel 1992 a cui Jackson donò quasi tutti i ricavati del “Dangerous World Tour”.
Impossibile riassumere l’impatto del disco e meno che mai dei singoli: quella di “Dangerous” fu una rivoluzione nel mondo del pop che iniziò dal suono. Dopo aver dettato legge con “Thriller” e “Bad”, Jacko e il suo staff furono capaci di sconvolgere tutti con una pietra miliare del New Jack Swing: un capolavoro che regalò a Bruce Swedien e Teddy Riley il Grammy Award come “Best Engineered Album – Non Classical”. L’attitudine maniacale di Jackson nel voler curare in modo eccellente ogni aspetto dei suoi dischi (non solo quello musicale) ci impone di chiudere questa piccola celebrazione concentrandoci sulla copertina.
L’immagine di “Dangerous” fu affidata a un pittore di cui si parlava molto in quegli anni. Mark Ryden non era ancora affermato (benché fosse ben noto negli ambienti artistici), ma Michael Jackson giudicò il suo ‘surrealismo pop’, perfetto per la cover dell’album. Il risultato finale fu straordinario. Innanzi tutto per l’idea di ritrarre solo lo sguardo di Jacko e non la figura intera. Poi per l’enorme quantità di simboli presenti nel quadro (tanto da ricordare la ‘foto di famiglia’ del “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles): dal cane con scettro, corona e caratteristico guanto sulla mano sinistra (l’anno di nascita di Jackson era appunto quello del Cane secondo l’oroscopo cinese), alla scimmia posta in cima al dipinto (Bubbles, lo scimpanzé di Michael Jackson, fu proprio uno dei ritratti più assurdi che furono commissionati a Ryden), fino alla satira politica, impersonata dal mezzobusto di Phineas Taylor Barnum, il controverso circense, qui raffigurato come i presidenti sulle banconote americane.
“Dangerous” (trentadue milioni di copie vendute) è il terzo album più venduto della carriera di Jackson, e il sedicesimo più venduto nella Storia della Musica. Forse, davvero non serve aggiungere altro: piuttosto alzarsi, toglierlo dagli scaffali e riascoltarlo ancora una volta. Iniziando magari proprio da “Remember The Time”…