Michele Bravi: “La musica è stata solo una parentesi nella mia vita?”
Il vincitore di X Factor 7 ammette di sentirsi rivolgere spesso questa domanda. E prova a darsi una risposta…
Nel 2013 vinceva X Factor 7 anche grazie alla forza del brano La vita e la felicità, scritto per lui da Tiziano Ferro e Zibba. Qualche mese dopo usciva il suo primo disco, A passi piccoli, che non ha trovato la giusta chiave per entrare nel cuore del pubblico nonostante le prestigiose collaborazioni (da Luca Carboni a Giorgia) contenute al suo interno. Oggi Michele Bravi rivela come si senta ripetere spesso se la musica sia stata solo una parentesi nella sua vita. E affida a Facebook un lungo stato di riflessione su questo interrogativo. Lo trovate subito dopo la foto:
Nell’ultimo periodo sempre più persone mi chiedono se la musica sia solo una parentesi della mia vita, un capitolo chiusosi sollevando un premio in aria durante una diretta televisiva. Non nascondo che delle volte mi sono trovato in difficoltà a rispondere. “ma allora non trasmetto la mia necessità” mi dicevo, “forse mi illudo e la musica è solo una parentesi della mia vita, un capitolo chiusosi sollevando un premio in aria durante una diretta televisiva”, “forse non è così necessaria a me e sicuramente io non sono così necessario a lei”.
Poi mi sono guardato intorno e ho visto tanti volti. Una babele di persone con bende spesse sugli occhi, così ruvide da far sanguinare la pelle. Quelle facce però, seppur sofferenti, ridevano e fingevano di vedere: vedevo bende parlare tra di loro, e tenersi per mano e guardare nella stessa direzione. Quelle bende nascondevano la paura, anzi il terrore. Perché è più facile che tutti fingano di vedere, seppur bendati, piuttosto che ammettere la luce dei propri occhi. Come una menzogna silenziosa: le bende insanguinate. Riuscivo comunque ad intuire che quelle bende nascondevano il desiderio di spogliare gli occhi ma era così forte la loro paura di incontrare altri occhi, così forte la paura che altri occhi incontrassero i loro.
La musica, o almeno così credo, mi permette di aprire gli occhi al di là del ruvido delle bende. Mi capita, ad esempio, quando mi siedo in metro, sul divano, in volo, mentre cucino o mentre faccio l’amore di ascoltare qualcuno che si è sbendato dietro un microfono e cantando con quegli occhi pieni di sangue e coraggio mi ha convinto a sbendarmi.
Il senso della musica è questo: portare il buio dei propri occhi a gridare. C’è chi lo fa con un suono forte, chi bisbiglia, chi parla, chi ulula e chi sbraita. C’è chi apre le mani, chi balla, chi resta nervoso e impacciato e chi spalanca il torace. C’è chi guarda avanti, chi per terra, chi il cielo. Ma tutti camminano nel buio delle bende, con le mani avanti ad indovinare il cammino, fino a trovare una porta, una finestra, un qualsiasi passaggio che tagli le bende. Per volare nella luce delle iridi. E in quel palco, che è il palco della vita, cantano. E cantano. E vedono. E cantano. E si sbendano. E cantano. E fanno vedere. E cantano. E sbendano. E cantano.
Nell’ultimo periodo sempre più persone mi chiedono se la musica sia solo una parentesi della mia vita, un capitolo chiusosi sollevando un premio in aria durante una diretta televisiva. Sono ancora nel buio delle mie bende e i miei occhi odorano ancora di sangue ma voglio cantare. Magari avrò la fortuna di trovare il corridoio che porta dalla mia anima all’anima degli altri. E liberare quanto raccolto attraverso il suono.
In bocca al lupo, Michele!