Non voglio che Clara. Da “Hotel Tivoli” a “Dei Cani”: scrivere musica per il tempo
Un nome da signoraMa come faremo ora / che hai una macchina nuova / e un nome da signoraSembra un capriccio. Una di quelle cose dette quando ci si ostina. “Non voglio che Clara”. Proviamo a immaginarci la scena: lui circondato dagli amici che insistono perché la dimentichi. E invece: “Non voglio che Clara”, continua
Un nome da signora
Ma come faremo ora / che hai una macchina nuova / e un nome da signora
Sembra un capriccio. Una di quelle cose dette quando ci si ostina. “Non voglio che Clara”. Proviamo a immaginarci la scena: lui circondato dagli amici che insistono perché la dimentichi. E invece: “Non voglio che Clara”, continua a ripetere. Il nome è preso in prestito da un romanzo. E’ la versione troncata della frase che anticipa il capitolo di un libro di Daniel Pennac: “La Prosivendola”. Benjamin Malaussene, il protagonista, è ostinato anche lui mentre confessa a se stesso “Non voglio che Clara si sposi”. La sua sorella prediletta sta diventare la moglie di un attempato direttore di carcere. Benjamin non vuole.
Ostinati e romantici, anche Fabio De Min e il resto della band. “Nella nostra musica c’è tutto del nostro nome: la componente femminile, l’esclusività, la negazione e la volontà”, dicono loro. Una ‘volontà’ che inizia nel 2001 con due Ep autoprodotti (“EP” e “Caffè Cortina” del 2003), mentre il primo disco arriva nel 2004 per la gloriosa Aiuola. “Hotel Tivoli” è un lavoro quasi ossessivo nel volersi confermare ‘confidenziale’, traccia dopo traccia. Dalla morbosità de “I miei piani per il sabato sera” all’umoralità disillusa di “Se ti senti sola”.
Una manciata di titoli che tradiscono la maestria – forse ancora un po’ acerba, ma già scintillante – nello scrivere canzoni leggere come chiavi lanciate sul tavolo a fine giornata. Complesse, allo stesso tempo: articolate in uno stile che è già punto di forza e distinzione. Tutto è suonato, cantato e registrato molto ‘da vicino’: chi ascolta non ha l’impressione di trovarsi altrove, ma a un passo dalla band e dalla voce di De Min: a un passo da sonorità che gli anni duemila sembra stiano riscoprendo con un interesse genuino. Qualcosa di cui riappropriarsi, da sottrarre ai ricordi dei propri parenti o ai filmati in bianco e nero delle teche Rai.
“E’ tutta musica leggera
ma come vedi la dobbiamo cantare
è tutta musica leggera
ma la dobbiamo imparare.”
Ivano Fossati – “Una notte in Italia”
Due anni dopo arriva sugli scaffali dei negozi il secondo, omonimo album. Un piccolo caso: un disco che è la vittima felice di un passaparola in rete, tanto che scavalca i confini del mercato indipendente per aggirarsi fiero in territorio mainstream. Aiutato da una produzione più importante (consentita anche da l’ingresso di Universal che affianca Aiuola), è un passo avanti ulteriore. Un segnale forte del nuovo posto che sta per occupare la musica indie (forse la parola stessa) nel panorama italiano. “Non voglio che Clara” è un disco amaro, come chi si arrende davanti alla difficoltà dei sentimenti (“Troppi calcoli”, “In un giorno come questo”), che riprende atmosfere di “Hotel Tivoli” (“Porno”) e che, fondamentalmente, rivela una band solida, in grado di costruire – meglio che in passato – suggestioni da interno cinematografico in pochi minuti.
E non saranno le sigarette ad ammalarci o Gesù Cristo che corra veloce a salvarci, ma saranno giorni spesi senza sconti, saranno giorni vuoti che non rendi, il tuo pensiero che non lascia scampo e tutto quello che ora vai perdendo
Non voglio che Clara – “Le Guerre”
Preceduto da un paio di inediti, il presente di “Dei cani”: disco uscito il 12 ottobre per Sleeping Star e prodotto da Giulio Favero insieme allo stesso Fabio De Min. Una sfida: le strutture classiche e cantautoriali insieme alle chitarre che si spostano dalle influenze inglesi a quelle oltreoceano. Sfida che si conclude con una stretta di mano e una traccia stellare come “Le Guerre”, sintesi perfetta in cui i Non voglio che Clara aprono (con l’aiuto dei Port-Royal) gli ambienti finora romanticamente angusti delle loro produzioni in un inno vero e proprio (“E non saranno le guerre quest’anno a farci paura”). E ancora i suoni che stridono per le differenze ne “Il tuo carattere e il mio” o le orchestrazioni e i cori di un brano meno recente come “Gli anni dell’Università”, pronto com’è a giocarsi tutto il potere evocativo sui palchi del prossimo tour.
“Dei cani” è un lavoro importante per molte ragioni. Perché arriva in un buon momento per il cantato e la scrittura in italiano nel mondo indipendente. Perché riapre il discorso sul come si possa coniugare la nostra storia musicale recente con suoni e temi eterni trattandoli con nuovi approcci. Perché può uscire dagli altoparlanti di una radio senza svilirsi in un ascolto nazional-popolare. Perché è un piccolo, ostinato – di nuovo – monumento di intelligenza, sensibilità e talento con cui molte band e altrettanti autori saranno chiamati a fare i conti. Perché è un disco che sa crescere di volta in volta, senza farsi mai davvero perdere di vista: un po’ come quegli amori che non dimentichiamo mai davvero, ostinati – ancora – come siamo.
Non voglio che Clara
“Dei Cani”
01. La mareggiata del ‘66
02. Il tuo carattere e il mio
03. Le guerre
04. Gli anni dell’università
05. Gli amori di gioventù
06. L’inconsolabile
07. L’estate
08. Il dramma della gelosia
09. L’amore al tempo del kerosene
10. Secoli
11. La stagione buona
Illustrazioni: Laetitia Calcagno
Foto: per gentile concessione di DNA Concerti / Sleeping Star