Othelloman a Blogo: “Non chiamatemi rapper antimafia, ma pro vita. Nel nuovo album Caparezza e Piotta”
“Sono l’unico rapper italiano che non ha accettato il contratto con la major quando gli è stato proposto”
“Paolo Borsellino diceva: ‘Quando le nuove generazioni negheranno il consenso alla mafia anche questo fenomeno che sembra immortale avrà la sua fine’“. A citare il giudice ucciso dalla mafia è Othelloman, il rapper siciliano che da tempo mescola impegno sociale e passione per la musica e per l’hip hop.
Salvatore Petrotta Reyes, suo nome all’anagrafe, in queste settimane è attivo con il progetto socio-musicale Il Silenzio è Dolo, al fianco di Marco Ligabue e Lello Analfino. Si tratta di una idea nata a dicembre 2014 “in modo molto spontaneo“:
Mi chiamò Marco Ligabue: ‘Un ragazzo alla fine del concerto mi ha chiesto di raccontare la sua storia’. Un 21enne – si chiama Ismaele La Vardera – che ha denunciato i brogli elettorali nel suo paese, Villa Abate, e che per questo è stato considerato sfigato e traditore perché questi infami erano coperti dal silenzio del paese. Alcuni mesi dopo Le Iene ha dedicato un servizio al caso e da sfigato del Paese è diventato un eroe. Sentendosi un po’ in colpa – ma fiero di quanto fatto – Ismaele voleva dare visibilità alla sua terra anche per le bellezze. La Sicilia troppo spesso è diventata famosa per la mafia.
Othelloman, che Blogo raggiunge telefonicamente a pochi minuti dalla fine di un incontro con gli alunni di una scuola pugliese, racconta che “quando c’era l’idea di andare a parlare di mafia nelle scuole di tutta Italia la risposta era: no, nel resto d’Italia non si può parlare di mafia, perché non c’è la mafia. Proprio in quel periodo scoppiò l’indagine Mafia Capitale a Roma. A quel punto università e scuole hanno iniziato a dire che il progetto poteva essere interessante“. E così “nel giro di un mese abbiamo creato la canzone Il Silenzio è Dolo e girato il video tra Villa Abate, Capaci e Palermo” (ve lo proponiamo in apertura di post).
Al progetto (nel quale è coinvolta anche Valeria Grasso, testimone di giustizia), è correlata la petizione per la proposta di legge sulla trasparenza della gestione dei beni sequestrati alle mafie. Perché “esistono oltre 90 mila beni confiscati alle mafie, di cui il 90% sono abbandonati. Quelli utilizzati invece sono andati in fallimento” e perché – continua Othelloman, che negli ultimi due anni ha collaborato con Fiorello come rapper resident all’EdicolaFiore e a Fuori Programma – “abbiamo scoperto che al ministero dell’Interno non hanno un database aggiornato. Non sanno come vengono gestiti. Per negligenza o per interessi, perché i beni confiscati tante volte sono tornati nelle mani di affiliati alle cosche“.
Hai subito intimidazioni in questi anni?
Quando abbiamo fatto U tagghiamu stu palluni (vincitore del premio speciale per la migliore comunicazione sociale e civile alla Iulm a Milano e al Mei di Faenza, Ndr) qualche becero imbecille ci faceva sentire la pesantezza della loro presenza. Ma mi ha colpito quando siamo andati nel paese di Messina Denaro: ho fatto urlare ai ragazzi ‘vaffanc*lo la mafia, vaffanc*lo Messina Denaro’. Alcuni professori della scuola che ci aveva coinvolto in questa attività in piazza hanno detto ‘non si possono dire queste cose’. E da lì ci hanno fatto scappare, quasi scortati. Avevamo fatto qualcosa che andava oltre le loro aspettative. Mi ha fatto male perché non ci hanno allontanato per la nostra protezione, ma perché avevamo fatto uno sgarro. Mi hanno anche rubato la moto mentre presentavamo U tagghiamu stu palluni. Vivendo a Palermo mi hanno detto ‘tu lo sai a chi devi rivolgerti per riaverla’. Io, paradossalmente per loro ma naturalmente per me, sono andato a fare la denuncia. Ho perso la mia SH, ora ho una moto bruttissima. Questi sono eventi messi in conto. Ho scelto di scegliere.
Però non solo hai scelto di schierarti dalla parte giusta, ma anche di utilizzare la tua esistenza, privata e pubblica, per lottare contro la mafia. Immagino che i ragazzi ti chiedano ‘Chi te lo ha fatto fare?’ C’è stato un episodio che ti ha fatto scoccare la scintilla?
Un episodio unico non c’è stato. Sono cresciuto negli anni ’80 in una Palermo grigia. Nel ’86 sotto casa mia ho sentito uno sparo, ma non sapevo ancora cosa fosse. Uccisero un ex sindaco di Palermo. Mio padre mi spiegò che quella cosa l’avrei capito dopo qualche anno. Mio padre poi diventò assessore e fu uno di quelli che creò la Primavera di Palermo – insieme al primo Leoluca Orlando. Ho vissuto una vita di condanna perché ero il figlio del politico; mio padre faceva parte della Dc. Fino alla fine del liceo non capivo la differenza tra destra, sinistra e centro. Mio padre per me è stato un modello di scelte; è diventato assessore regionale dopo che Casini lo ha tradito sostituendolo con personaggi come Lombardo e Cuffaro – stiamo parlando di merd* della merd*; è stato tagliato fuori perché era un politico che dava fastidio; alla fine, disgustato dalla politica, se ne è andato ed è tornato a fare l’ispettore del lavoro. Mio padre è stato un eroe vero, rimasto in vita.
In tutto questo, la musica quando è arrivata?
Io ho la passione per la musica. Mi sono reso conto che i ragazzi che ascoltavano la mia musica ne erano influenzati drasticamente. Forse l’episodio di cui mi chiedevi è il seguente: un ragazzo mentre stava facendo l’amore con la sua donna si rende conto di essere venuto dentro di lei; in quel momento stavano ascoltando una mia canzone; hanno deciso di chiamare la figlia Stella perché la canzone in quel frangente diceva ‘come le stelle’. È una cosa devastante per chi fa il rap, non potevo immaginare di avere una responsabilità del genere. Ora, gli artisti non sono obbligati a prendersi le responsabilità, ognuno è libero di interpretare la musica e l’intrattenimento secondo il proprio sentire. Ma proprio secondo questa regola io mi sento libero di assumermi la responsabilità. Perché mancano mentori, testimoni, persone che in qualche ti possano ispirare.
Oggi mi rendo conto di aver fatto la scelta più bella del mondo; i ragazzi – che vengono troppo spesso definiti dagli strumenti di comunicazione generazione di imbecilli – hanno solo bisogno di stimoli, di persone che li risveglino.
Italia Svegliati è il titolo del tuo singolo, che peraltro hai deciso di far ascoltare solo dal vivo e – contro ogni logica social – senza che venga ripreso. Quale Italia deve svegliarsi?
Tutti quelli che si indignano per troppo poco tempo. Ti fanno vedere gli sbarchi, le persone che muoiono e dopo due minuti ti raccontano della figlia di Kate e William. Così si resta assuefatti. E l’assuefazione è il male più grande. La nostra battaglia non si fa col broncio: la prima cosa che la mafia vuole toglierci è il sorriso, quindi al primo posto c’è il cazzeggio. Mi ricordo una frase di Jovanotti in un suo vecchio disco: ’50 contenuto, 50 movimento’. Per me il rap è questa chiave. Con i ragazzi noi ci divertiamo, cantiamo, urliamo, sempre col sorriso. Poi, a un certo punto, gli diamo una mazzata per fare capire loro che l’ultima cosa da dimenticare è sorridere. Perché la mafia sguazza quando tu hai paura, quando hai bisogno di protezione.
A che punto è la preparazione del nuovo album?
A un ottimo punto. Ci saranno delle collaborazioni: a partire da un amico che stimo da sempre e che mi ha stimato da sempre, cioè Caparezza. Secondo me, nella scena musicale italiana è tra i migliori da anni per genialità, intelligenza e comunicazione. Poi ci sono i Kutso, che sono dei grandi provocatori. Ci sarà Piotta – con il quale ho pubblicato con la mia etichetta tanti miei dischi, in collaborazione con La Grande Onda. Ed ancora Raffaele Casarano (sassofonista, molto amico di Giuliano Sangiorgi) e Mirko Signorile (pianista) per una sperimentazione musicale tra jazz e blues. Sto lavorando anche con il maestro Marco Betta, che ha voluto fare l’arrangiamento dei violini perché è rimasto colpito da Italia Svegliati. Il salto di qualità è dovuto alla collaborazione con Marco Zangirolami, che in questi anni ha lavorato per Fibra, Clementino, Emis Killa, J-Ax, Moreno e altri della scena hip hop italiana. Marco è voluto entrare nella produzione. Il disco uscirà, teoricamente, ad ottobre 2015.
Il tuo impegno sociale e civile ti ha procurato problemi dal punto di vista discografico?
Sono l’unico rapper italiano che non ha accettato il contratto con la major quando gli è stato proposto. Perché vedevo che c’era la strumentalizzazione del concetto hip hop. Inoltre mi è stato proposto di fare ‘il disco dell’antimafia’ e questo mi ha fatto rabbrividire. C’è gente che per combattere la mafia – che è un concetto diverso da antimafia – si è fatta saltare il cul0. E io per un tornaconto dei produttori, per avere una fetta di mercato…. dovrei essere il gruppo dell’antimafia? No, non ci siamo. Quindi se mi chiedi se mi ha creato qualche difficoltà la risposta è sì. Fiorello mi dice ‘ma lo sai quanta gente si occupa di questi temi!’ io rispondo: ‘so come me ne occupo io!’. So che esiste la mafia nell’antimafia, so che ci sono circoli creati apposta per avere il nome Arci ma che sono gestiti da capoclan.
Perché non riveli la tua età?
Perché sono cresciuto lentamente. E ho capito che le mie lentezze nel diventare cosciente di qualcosa, nell’interpretare la vita sono relative rispetto all’età. La prima donna l’ho baciata a 18 anni, quando i miei compagni avevano fatto già tutto a 15. Passavo come tardone, ma poi ho capito che questa era la mia forza.
Ti è mai balenata l’idea di raccontare quello che quotidianamente racconti ai ragazzi nelle scuole e in piazza attraverso i talent show, genere televisivo molto apprezzato dalle giovani generazioni?
Sarebbe bellissimo poterlo raccontare. Ma non come concorrente. Ho parlato con Luca De Gennaro, la testa di Mtv. L’idea è di portare il format del Non sono figo tour (promosso dall’Associazione culturale Ministero del Futuro, Ndr) in tv. Ti dico di più: l’anno scorso ho fatto i provini del Grande Fratello. Ho detto: ‘Sarebbe bello se invece di fare un Grande Fratello inutile come quello dalla seconda edizione in poi – ricettacolo di imbecilli – se ne faccia uno diverso. Io vorrei entrare nella Casa per raccontare determinate storie in modo diverso’. Non hanno preso al balzo la palla che ho lanciato. Ma alla fine del provino la tipa ha detto ‘ce ne fossero…’. Ma evidentemente nel format non poteva funzionare.
So che non ami darti etichette perché le ritieni limitanti. Ma come ti presenteresti a chi non ti conosce?
Quando in un mio pezzo ho parlato di Dio sono stato definito da un giornalista ‘il rapper cristiano’. Da quel momento una enorme fetta del mio potenziale pubblico non ha comprato il disco perché pensava fossi il ‘chirichetto di sta minchi@’. Eppure io andavo contro le strutture della Chiesa cattolica. Dal 2006 al 2009 sono stato a scrollarmi questa etichetta. Devastante. Poi sono diventato ‘il rapper dell’antimafia’. Ok, volete etichettarmi così? Io sono rapper pro vita. Io non è che mi sveglio la mattina e lancio le freccette contro il poster di Riina insultandolo. Semplicemente ho capito che voglio raccontare – divertendomi e facendo musica – delle cose ai ragazzi.
Quindi rapper pro vita.
Sì, ma non suona figo. Rapper hardcore è figo, rapper pro vita no. Tutto ciò che è bello, non risulta figo. Invece bisogna lavorare tutti insieme per mandare un messaggio differente.
Fiorello in tutto ciò che ruolo ha avuto?
Non lo smetterò mai di ringraziare. Mi ha fatto ricominciare; ho avuto un momento di stop, in cui ho mandato tutti a fancul0. Ho lasciato Milano, sono tornato a Palermo e mi sono ri-iscritto all’università. Ho fatto 2 anni di Scienze della formazione, che mi hanno riaperto la testa. Mi pareva che tutti i miei ragionamenti fossero sballati. Che fossi io a sbagliare tutto. Ma poi ho scoperto di avere la media del 29 e mezzo e mi sono detto ‘così rincogli*nito non sono’. E nel mentre ho incontrato Rosario, che mi ha portato a Roma. Mi ha fatto ricominciare a credere che fosse possibile. Mi ha dato la possibilità di credere che si potesse comunicare con chiunque. Mi ha smembrato, mi ha tolto mille sovrastrutture. L’insegnamento di Rosario è: esistono persone che vedono quello che sai fare e che credono in te per quello che sai fare, non perché hanno sentito parlare di te. Noi non siamo quello che raccontiamo di essere. Noi siamo quello che facciamo.