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Paolo Benvegnù, ‘È inutile parlare d’amore’ è il nuovo disco: intervista al cantautore

È inutile parlare d’amore, Paolo Benvegnù racconta il nuovo disco in un’intervista rilasciata a Soundsblog: ecco le dichiarazioni del cantautore

12 Gennaio 2024 16:38

È uscito il nuovo album di Paolo BenvegnùÈ inutile parlare d’amore” il 12 gennaio in digitale e il 19 gennaio in CD e Vinile. Questo disco, anticipato dal brano “Canzoni brutte”, segue la pubblicazione dell’EP “Solo fiori”. Se quest’ultimo era una sorta di raccolta di racconti anticipatori, un cortometraggio possiamo dire, il nuovo album, spiega Benvegnù, “è un vero e proprio romanzo di formazione, la sceneggiatura di un film che nessuno girerà e di cui nessuno sentiva il bisogno. Ogni atto di costruzione gratuito, del resto, in un mondo intriso di pragmatismo e di volontà di posizione, è un atto inutile. Tutto ciò che non è visto è inutile”.

E c’è, chiaramente e dichiaratamente, una connessione, un fil-rouge, tra “SOLO FIORI” e “È INUTILE PARLARE D’AMORE”: nel pragmatismo post-moderno che viviamo, l’amore è inutile come guardare e donare fiori. Siamo schiacciati da altro. Aquiloni fermi a terra. Motori immobili. L’unica libertà, presente e futura, sta nell’inutilità. Dell’amare. Dell’essere. Più inutili si è, più si è liberi. “È inutile parlare d’amore” contiene inoltre due preziose collaborazioni: una con Brunori Sas e una con Neri Marcorè.

Paolo Benvegnù ci ha parlato del suo nuovo progetto, partendo proprio dal titolo, diretto ed efficace:

Mi sembra che stiamo un po’ perdendo -come genere umano- la misura di ciò che siamo. La velocità che questo mondo ci impone ci fa pensare che sia più facile affrontare le cose come fossero scatole. Mi sveglio la mattina e devo affrontare dieci scatole fino a sera. Tra queste cose, il pragmatismo fa in modo che non ci sia spazio per l’irrazionale e l’amore è quella più irrazionale per eccellenza, allora viene da pensare che forse il fatto che parlare d’amore sia veramente utile in realtà, utile a un certo tipo di libertà, di pensieri, anche nell’affrontare una dimensione di relazione verso un essere umano o altri esseri umani. Affrontarlo attraverso la forza, la potenza dell’irrazionale. E ovviamente il titolo è polemico.

La solitudine e il senso di appartenenza è al centro del bisogno del genere umano, racconta.

Penso sia proprio per questo, ci sentiamo tutti molto soli. Allora per non sentirci soli abbiamo bisogno di trovare appartenenza, ha a che vedere con il coincidere con un codice di gruppo, e questo codice di gruppo è avere forza, imporsi, trovare una forza, perché no, sovvertendo i meriti. E ovviamente l’amore è una debolezza, così come il pianto è una debolezza, ma nell’Odissea Ulisse, che è il protagonista dell’Odissea, arriva al quinto capitolo, è la prima cosa che si vede dell’entrata in campo dell’Odissea di Ulisse, è che piange, piange perché è da Calipso e non sa neanche perché piange, se piange perché gli manca la sua terra o i suoi affetti o se piange perché ha bisogno di andare in viaggio. Allora il senso è, per quale motivo dobbiamo sempre pensarci in difetto? Capisci che questa, oltre ad essere una società fondata sul debito, è anche una società fondata sul debito sentimentale, è come se fossimo sempre in colpa. Oppure, al contrario, è come se fossimo sempre presuntuosamente in merito. Capisci che, così come per certi versi c’è sempre stato fino a una cinquantina di anni fa, un equilibrio tra parola e silenzio, adesso c’è sempre rumore. Se prima c’era la naturalezza, l’equilibrio tra la luce del giorno e il buio della notte, non c’è più questa cosa, perché noi siamo sempre attivi, volendo, potenzialmente. Questo, secondo me, fa in modo che non riusciamo più a capire che cosa ci succede dentro. Vediamo tantissimo quello che accade fuori, non riusciamo a tenerlo, e quello che succede dentro non lo sappiamo più. È un gran problema per la società questo.

Paolo Benvegnù rifletto sul senso reale della parola “evoluzione” e di come ci siano incoerenze sempre più evidenti, al giorno d’oggi

A me quello che preme è pensare quanto sia veramente difficile, in questo momento, avere un pensiero di diversità rispetto a quello comune. Come, per certi, essere sempre fuori luogo e avere un altro tipo di linguaggio. Questa mancata inclusione è davvero qualcosa di sorprendente, se pensi a cosa è stato il 900 e cosa potrebbe essere il 2024, gli uomini sembrano sempre più stupidi rispetto al sentire e all’evolversi. Abbiamo un sacco di paure: della morte, del dolore, della follia, dell’irrazionalità. L’evoluzione degli esseri umani non è stato sempre frantumare il proprio limite stando dentro a delle regole universali? Si era molto più liberi 100 anni fa…

Una maggiore interesse dell’evoluzione tecnologico e informatico…

Possiamo anche essere velocissimi nel risolvere problemi, l’uomo inventa tutto per avere più tempo a disposizione. Ma quando ce l’hai cosa ne fai? Abbiamo un sacco di tempo in più e non sai cosa farne. Vai in panico.

Infine, nel disco, due collaborazioni, una con Brunori Sas e l’altra con Neri Marcorè:

Parte dal senso di gratitudine che ho verso di loro. Stanno facendo un sacco di cosa e hanno trovato del tempo per voltarsi indietro e dare una mano a dei disperati. Hanno avuto una generosità umana e assoluta. Essere un po’ fuorilegge ti fa sentire più legato ad altri esseri umani. Ho scritto “L’oceano” e in quel brano Dario ha sentito qualcosa a cui si sentiva appartenente. Neri Marcorè, invece, stava facendo uno spettacolo in Toscana con Luca Pasini. Lui gli ha detto che suonava con i Benvegnù, quando ha sentito 27/12 si è trovato bene in quel tipo di narrazione e l’ha cantata in maniera commovente. Sono molto felice di questa cosa.

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