Home Interviste Paolo Simoni, Si narra di rane che hanno visto il mare: “Le tracce di questo disco sono storie vere, non c’è nulla di inventato”

Paolo Simoni, Si narra di rane che hanno visto il mare: “Le tracce di questo disco sono storie vere, non c’è nulla di inventato”

La nostra chiacchierata con il cantautore sul suo nuovo disco, composto da 11 tracce inedite

pubblicato 16 Luglio 2014 aggiornato 29 Agosto 2020 16:28

Per il suo nuovo disco di inediti, che arriva a distanza di due anni dal suo ultimo lavoro, Paolo Simoni ha scelto come immagine una rana che cerca di andare oltre i confini del suo stagno, fino ad arrivare al mare.

Un’immagine davvero molto suggestiva che fa da preludio alle 11 nuove tracce di cui il cantautore ha curato testi e musiche.

L’album, il terzo di studio, è stato prodotto da Luca Pernici (Ligabue, Mario Biondi, Nucleo), che insieme a Paolo ha curato gli arrangiamenti.

Ci siamo fatti raccontare qualcosa in più…

Ciao Paolo, come nasce “Si narra di rane che hanno visto il mare”?

Sono stati due anni in cui ho raccolto altre storie, ho vissuto e ho scritto tanto. Ho poi scelto le canzoni da raccogliere in questa nuova opera. Sono capitate tante cose: alla soglia dei 30 anni mi sono accorto che molte cose sono cambiate, come la scrittura. Questo è un disco in cui c’è molta più emotività, sincerità, e più schiettezza da parte mia.

Coma mai questo titolo?

Il titolo è estrapolato da una delle strofe, è una storia sul coraggio, sulla speranza. La rana fa un salto, esce dal proprio stagno, intraprende questo viaggio e si trova di fronte a questa grande distesa d’acqua (che poi è la vita il mare). Questa rana ce la fa, ha speranza, è una rana che è riuscita a realizzare i propri sogni. Vorrei lasciare un senso di speranza, di ottimismo, di volontà di credere nelle proprie cose. Penso che ce ne sia bisogno in questo momento.

Nel disco ci sono più canzoni ironiche e scherzose, come “15 Agosto”, ma anche canzoni più riflessive.

E’ una caratteristica dei miei dischi da sempre in realtà, ci sono sempre canzoni del primo tipo e del secondo. In questo disco viene un po’ più fuori la mia linea ironica, ma ci sono anche brani più emotivi, a cui tengo tantissimo. Ho seguito il flusso emotivo anche sul cantare, non ho aspettato che finissero le batterie e le chitarre, e i bassi in studio: quando mi sentivo di cantare una determinata canzone lo facevo. Le canzoni invece arrivano, bussano alla tua porta, e io non posso far altro che buttarle su un foglio di carta e cominciare a lavorarle.

Quanto ti influenza la tua terra d’origine?

E’ una parte molto importante, sono molto legato alle mie radici, soprattutto per i ricordi che riguardano la mia infanzia e l’adolescenza. La Romagna è una terra che non passa inosservata, sia per contenuti storici che per chi la abita, è una terra che mi ha dato tanto e che continua a darmi tanto. Questo aspetto lo sento più quando vado in giro rispetto a quando sono lì.

Tra i brani del disco ci sono anche due ‘post scriptum’, come sono stati inseriti?

Ho diviso il brano apposta. “P.S. intro l’amore” è una poesia sull’amore, un monologo in brasiliano: eravamo in studio e parlando con questa ragazza brasiliana che era venuta a trovarci in studio, stava facendo questo discorso sull’amore talmente bello che l’abbiamo registrato. In “P.S. echi di Romagna in festa” ci sono delle registrazioni fatte da me e un mio amico con un telefonino. Le abbiamo montate assieme per creare questa soggettiva della Romagna. Tutti e due i ‘p.s.’ sono nati emotivamente, nulla è stato programmato.

E poi ci sono “A Montreux” e “Aldilà”…si intuisce ovviamente a chi ti stai riferendo.

In realtà sono due brani distanti, anche se parlano della stessa tematica. “A Montreux” è riferita soltanto a Lucio: una notte mi è arrivato questo testo, che ho scritto in 40 minuti, e che poi ho musicato successivamente. “Aldilà” è la storia di un miscredente che sente che c’è qualcosa e che si interroga su quello che c’è oltre quello che vede intorno a lui. Lo fa perchè alla soglia dei 30 anni ha perso tanti amici e tanti cari.

Chiudi invece il disco con “Lezioni di Piano”, un brano più leggero e divertente. Ma le hai fatte davvero le lezioni di cui parli?

Assolutamente, tutte le tracce di questo disco sono storie vere, ci tengo a dirlo, non c’è nulla di inventato. Avevo un’insegnante giapponese che mi dava queste lezioni. Ho messo questo pezzo per ultimo perchè volevo chiudere con ironia. Dopo tutta l’enfasi del resto del disco, volevo che si chiudesse con un po’ di leggerezza.

Interviste