Pino Daniele, il commovente ricordo di Jovanotti e la canzone dedica di Eros Ramazzotti
Il sentito ricordo dei due colleghi dell’artista.
La morte di Pino Daniele ha rappresentato un duro colpo per la musica italiana che si è trovata priva di uno dei suoi più grandi esponenti.
Ma Pino Daniele, in 30 anni di carriera, aveva allacciato straordinarie amicizie con tantissimi colleghi: è per questo che sono davvero tantissimi gli artisti italiani che hanno espresso dolore e cordoglio per la sua scomparsa.
In particolar modo due colleghi hanno condiviso un’amicizia profonda oltre alla comune passione per la musica: si tratta di Jovanotti ed Eros Ramazzotti. I due nel 1994 condivisero un tour con il cantautore partenopeo che li portò in giro per l’Italia.
Ed è proprio da qui che parte la lunga lettera omaggio di Jovanotti su Facebook, accompagnata dalla foto della copertina di Tv sorrisi e canzoni dell’epoca che li ritrae tutti e 3 insieme:
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Con Pino mi accadeva un fenomeno inspiegabile, dopo qualche minuto che stavo con lui mi veniva un accento un po’ napoletano. Sul serio, se ci passavo una giornata poi a fine cena mi ritrovavo a usare espressioni tipo “uè” o perfino “guagliò”. Era un influsso che lui aveva, pinodanielizzava l’atmosfera. Lo faceva con la musica ma se ci penso bene lo faceva proprio con tutto se stesso che era tutto un se stesso fatto solo di musica. Ho tante ore di “volo” a bordo dell’astronave PinoDaniele, decolli atterraggi vuoti d’aria turbolenze
ma soprattutto ore di vita e di musica indimenticabili iniziate molto prima di conoscerlo.
Pino Daniele è stato il mio primo concerto. A essere sinceri prima di lui c’era stato un “Giromike” con ospite la Rettore e un Gianni Morandi in piazza a Cortona, ma a quelli mi ci aveva portato la mia mamma, e comunque mi erano piaciuti. A vedere Pino al Palaeur di Roma invece ci andai io da solo, 1981, biglietto comprato in prevendita con soldi miei che avevo messo da parte. Che band strepitosa, io non ci capivo niente ma mi fecero sentire in una zona tra la festa e il pericolo, tra il sogno e la minaccia, tra la rabbia e la gioia, dove poi ho scoperto che avviene sempre la grande musica. Era una musica diversa, coraggiosa, libera, selvatica, intelligente e nuova e che mi era entrata dentro come qualcosa che non sai da dove arriva ma che ti porta via, pinodanielizza l’atmosfera.
L’album Nero a Metà, un capolavoro assoluto di ogni tempo. Poi uscìVai mo’ che aveva questo titolo svelto, che mi faceva impazzire già a partire da lì. E c’era dentro Yes I know my way, la prima volta che pensai che un italiano poteva essere funky e arrabbaito senza perdere il sorriso.
Passarono gli anni, io diventai Jovanotti, continuai ad essere un fan, lui era sempre il grande Pino Daniele, lo era sempre di più. Amato e riverito sia dagli stonati che dai musicisti virtuosi.
Lo conobbi nel 1994, mi proposero di fare il tour con lui ed Eros. Non ci potevo credere.
Pino Lorenzo Eros. Il manifesto lo fecero disegnare a me, col pennarello tracciai un sole addosso ad un palazzo, era il mio modo per immaginare la mappa di un’esperienza che mi avrebbe cambiato la vita, dividere il palco negli stadi con due grandi della musica italiana, diversissimi ma uniti da quella volontà di far filtrare il sole attraverso il cemento armato.
Eros lo conoscevo già da prima perchè avevamo lo stesso agente. Con Pino legammo tanto, mi voleva bene e io mi sentivo un prescelto a poter essere in confidenza con quel grande artista che mi sembrava fatto di musica, pensava solo alla musica, zero menate, la musica al centro di ogni cosa. Mi regalò la sua amicizia sanguigna e fraterna. Pino era simpatico e ti faceva piegare dalle risate, quando voleva, i suoi racconti sono letteratura blues e commedia dell’arte, belli come certe sue canzoni, e divertenti come i film di Totò, che per lui era un dio. Tante emozioni oggi, troppe tutte insieme.
Conservo il ricordo della giornata di Napoli, allo stadio San Paolo, 13 giugno 1994. Era il suo ritorno a Napoli dopo tanti anni senza esibirsi nella sua città, e io e “Ramazza” (è così che gli amici chiamano Eros) lo avremmo accompagnato in quella che per lui e per i napoletani era la cosa più importante del mondo. Inoltre da pochi giorni era morto Massimo Troisi e la cosa aveva caricato quella giornata di un’emozione ancora più forte e aveva avvolto Pino in una nuvola di pensieri che rimanevano tra se e se. Pino era agitato, silenzioso, ogni tanto sdrammatizzava con una battuta ma quel concerto per lui era molto più di un concerto. La città era in attesa, i biglietti introvabili, nessuno a Napoli sapeva dove alloggiava Pino, e si temeva che se fosse entrato anche con un blindato nello stadio ci sarebbero stati dei rischi di ordine pubblico là fuori, per il troppo amore dei fans . Così lui entrò nello stadio all’alba, mentre la città dormiva ancora, arrivando da Roma, e rimase in camerino per tutta la giornata senza che nessuno lo venisse a sapere, tranne noi e pochi intimi. Quel giorno ero uno dei tre ammessi nel suo camerino e parlammo di tutto meno che di quello che stava per succedere. Come sempre Pino sdrammatizzava, lo ha sempre fatto quando si trattava di avere a che fare con il mito che era diventato. Quando uscimmo sul palco ce l’avevo accanto e guardando lo stadio assistetti alla più grande dimostrazione di amore di un popolo verso un artista che lo rappresenta, qualcosa di veramente storico, mai vista prima e mai più vista una cosa del genere. Una cosa che non dimenticherò mai. Quella Napoli si riconosceva in Pino Daniele, l’artista che aveva saputo valorizzarla non attraverso le sue maschere ma partendo dalla realtà e dalla poesia, l’uomo che l’aveva liberata dagli stereotipi, che l’aveva portata nella modernità senza perderci in cultura e in umanità. Pino Daniele è per Napoli quello che Bob Marley è per la Jamaica, ma siccome i napoletani sono napoletani e Napoli è Napoli, tutto è amplificato, tutto è più grande più complesso più rumoroso più infuocato più indescrivibile a parole.
Dopo quel concerto siamo diventati veramente amici, avevamo condiviso un pezzo di storia, anche se quel giorno a scriverla era stato, chiaramente, soprattutto lui. Continuammo a frequentarci e a fare musica. E a ridere di tutto, ogni volta che incontravamo.
In quel periodo sia lui che io ci eravamo fidanzati da poco ed eravamo già molto innamorati delle nostre giovani ragazze e dopo quel tour condividemmo il tempo in cui dall’essere una coppia si diventa una famiglia, quella cosa ci unì parecchio.
Qualche mese prima aveva avuto un infarto e doveva stare attento e riguardarsi, e siccome io non sono un tipo dedito agli stravizi ero una frequentazione che lo prendeva bene, con me si poteva rilassare senza tentazioni pericolose per le coronarie. Insieme si faceva soprattutto musica, si parlava di musica, si ascoltava musica, si progettava musica. Io ero quasi all’inizio, lui era in un nuovo inizio, incuriosito dalle nuove sonorità dei computers, dalle possibilità del pop, voleva scrivere usando un po’ meno il napoletano e me ne parlava, era desideroso di essere trasmesso di più anche dalle radio del nord Italia, per arrivare a più gente, per rompere altre barriere, per fare a pezzi altri pregiudizi, i tempi stavano cambiando e la sua vocazione è sempre stata quella di fare cose nuove con gente nuova, di non rimanere attaccato alle cose che lo avevano reso celebre. Lui che aveva passato un ventennio a studiare giri armonici audaci adesso era presissimo dal rap , un genere che di accordi quando ne usa due in una canzone è già troppo.
Che musicista incredibile che è stato Pino. Aveva i denti grandi, da uomo di Neandertal, e un fisico possente quasi da neonato gigante, con il torace da buttafuori segnato da una cicatrice proprio in mezzo, incline alle belle mangiate specialmente quando la parola “fritto” accompagna la descrizione della pietanza, ma con la chitarra sapeva essere di una leggerezza che io ho visto solo nelle farfalle. Per lui era IMPOSSIBILE, credetemi, IMPOSSIBILE, produrre una sequenza di note che non fosse bellissima, quando si metteva lì a improvvisare. Studiava sempre la chitarra, non ha mai smesso di studiarla, di accarezzarla, di farci ballare le sue dita sulle punte o di prenderla a pugni. Quando aveva la chitarra in braccio si completava una figura che non lasciava entrare dentro nient’altro, un equilibrio cosmico, il simbolo di una croce, non sto esagerando, senza la sua chitarra in braccio Pino era incompleto. E di quel suo falsetto naturale che usciva da quelle grandi ossa, ne vogliamo parlare? E i testi di moltissime sue canzoni? non so, mi viene in mente “putesse essere allero’” . Su quella canzone ci ho imparato un po’ di napoletano ma anche cosa può fare l’arte poetica nella cultura popolare. “Putesse essere allero e m’alluccano
dint’e recchie
e je me sento viecchio
putesse essere allero cu mia figlia mbraccio che me tocca ‘a faccia e nun me’ fa guardà”
Nonostante fossimo diventati amici io nemmeno per un secondo sono riuscito a mettere da parte del tutto la mia devozione al suo talento, che mi condizionava sempre, c’è sempre stata una parte di me che quando eravamo insieme mi diceva “ue guagió, chist’è Pino Daniel’… te rendi conto co’cchì stai a pazziá?”
La sua musica quando ero al liceo mi ha liberato e illuminato, e da grande la sua amicizia mi ha fatto diventare un musicista, mi ha fatto credere nelle mie potenzialità e nella possibilità di migliorarmi.
Era da un po’ di tempo che non ci sentivamo, a settembre scorso mi aveva chiesto di essere tra i suoi ospiti all’arena di Verona ma io ero lontanissimo e non ci siamo potuti organizzare. L’altra notte a capodanno ho acceso la TV e l’ho visto su Rai Uno che cantava e ho pensato che avrei voluto chiamarlo e che l’avrei fatto nei prossimi giorni, ciao Pì come stai? e vediamoci una volta! è troppo che non ci facciamo una chiacchierata! Poi stamattina mi sono svegliato e ho trovato un sms di Ramazza che mi diceva “è morto Pino fratè, sono sconvolto”.
Pino Daniele è stato un artista enorme, un vero gigante, e il tempo non farà altro che consolidare questa sua immensa importanza per la musica e per la cultura dei nostro paese. Napoli perde il suo figlio musicista più grande del dopoguerra, senza nessun dubbio, e uno dei più grandi di tutti i tempi, ne sono del tutto sicuro.
Ma anche il ricordo di Eros, che è stato il primo a diffondere la notizia della morte di Daniele, è commosso. Stamattina, in ricordo dell’amico e collega, ha postato una canzone dedica del 2012 su Facebook insieme alla foto di una chitarra donatagli proprio da Pino.
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Ciao Pino, ti sto pensando, forte. Questa è la tua Gibson 175Es che mi regalasti nell’88, cosi, senza nemmeno conoscermi bene di persona, la seconda volta che ci siamo visti, ti sei presentato con questo slpendido strumento con annesse le sue corde “speciali” che in Italia non si trovavano. Questo è stato il primo segno della tua grande generositá che io non scorderò MAI. Ti porteró sempre nel cuore
INFINITAMENTE (una mia canzone del 2012, per te)
Sono io, amico mio
Quello che fa a modo suo
Penso che tra me e te
Meglio un pugno che un addio
Come sai non ti ho mai
Detto una parola in più
E ora che non ci sei
Vorrei mi parlassi tu
La chitarra ancora c’è
E la tengo lì perchè
Perchè ha misurato il tempo senza te
Senza te
Infinitamente
Manchi ma ci sei
Silenziosamente
Dentro ai giorni miei
Infinitamente
Son sicuro che
Quando chiudo gli occhi stai ridendo
Qui con me
Qui con me
Sono io, sempre io
Da lontano Amico mio
Penso a te
Agli anni che
IO MI RIVEDEVO IN TE
Su quel disco ancora c’è
C’è la stessa polvere
E se do un valore al tempo
E’ grazie anche a te
Grazie a te
Infinitamente
Manchi ma ci sei
Silenziosamente
Dentro ai giorni miei
Infinitamente
Son sicuro che
Quando chiudo gli occhi stai ridendo
Qui con me
Qui con me
E vorrei poterti ancora stringere
dirti solo un’altra volta che
ti voglio bene
e fra tutti quanti questi applausi
spero solo che il tuo sia per me
Infinitamente
Infinitamente
Manchi ma ci sei
quando chiudo gli occhi stai ridendo
Qui con me
Qui con me
Infinitamente tu
Foto: Facebook