Primavera Sound 2014 – il Diario (foto e video)
Ecco il resoconto con gallery del Primavera Sound 2014!
Si parla di 190.000 presenze complessive, eppure l’edizione 2014 del Primavera Sound è iniziata peggio di come era terminata quella del 2013: al freddo e al vento pungente si è aggiunta una quantità di pioggia capace di scoraggiare anche i più temerari.
Mercoledì – 28 Maggio 2014
A farne le spese sono prima di tutto gli esordienti Temples – autori di un disco piuttosto valido – ai quali non viene concessa la possibilità di coinvolgere come vorrebbero un già piuttosto numeroso pubblico a causa delle secchiate d’acqua torrenziali che sono sopraggiunte a metà del loro set. Il risultato? Buona parte della folla rifugiata sotto all’immensa tettoia-area cibo e concerti successivi rimandati di trenta minuti.
Al fortunato Stromae viene regalata l’unica ora di bel tempo della serata e il belga, autore di uno dei bestseller europei dell’ultimo anno, risponde con uno show furbo e patinato ma comunque a tratti trascinante. Personaggio dotato di un fisico adatto a danze ragnesche, Stromae riesce a riscaldare l’infreddolita audience buttandola spesso e volentieri sulle casse dancey da cervello in modalità off, per quanto contaminate e funzionali. Sfortunata invece Sky Ferreira, salita sul palco mentre la pioggia tornava a fare visita al Parc del Forum: la giovane americana ha avuto problemi tecnici di ogni sorta che sono andati ad aggiungersi ad una capacità di stare sul palco decisamente deficitaria. Impatto vocale inesistente, settaggi rivedibili e una band di supporto apparentemente poco preparata. Leggasi più poser che altro.
Giovedì – 29 Maggio 2014
Il primo vero giorno di festival inizia con condizioni meteo non perfette ma comunque accoglienti. Con la consueta calma pomeridiana l’enorme area del festival inizia a riempirsi mentre sul palco ATP i cileni Föllakzoid cercano – e ne avrebbero le capacità – di abbattere le porte della percezione con la loro cosmica kraut-music. Forse non l’orario più adatto per un loro set. Molto più adatto invece per i Real Estate i quali hanno però la fortuna/sfortuna di dover suonare sul palco Heineken (ovvero “quello più lontano da tutto”) davanti ad un numero di persone decisamente elevato per essere solamente le 19. La band, autrice di due delicati gioielli come Days e Atlas, risente probabilmente di un’attitudine poco “spettacolare”, più adatta a location meno dispersive e di minore dimensione. Sempre al palco Heineken (insieme al Sony, il palco destinato agli act più famosi) poco dopo entrano in scena le quattro Warpaint. Convincono con una buona alchimia e soluzioni sonore poco scontate pur non facendo mai scattare quella totale empatia spesso palpabile solo in presenza di anthem corali.
Davanti alla prima – e dolorosissima – sovrapposizione decidiamo di andare a vedere i Future Islands al palco Pitchfork abbandonando con fatica la possibilità di ammirare St.Vincent e i Neutral Milk Hotel (da non perdere in Italia la settimana successiva). Fortunatamente i Future Islands non deludono con Samuel T. Herring – come era lecito aspettarsi – in grande spolvero, in un continuo sfoggio delle sue ormai caratteristiche/caricaturali mosse. Nonostante l’audio non perfetto che ha penalizzato l’enfasi passionale della voce di Herring, il set ha divertito i presenti. Migliore il settaggio audio per i successivi CHVRCHES, un po’ freddini nonostante la già numerosa quantità di pezzi bomba e la tenera presenza scenica di Lauren Mayberry.
Godendoci buona parte del set dei CHVRCHES siamo arrivati in peccaminoso ritardo per prenderci le prime file di uno dei concerti più attesi del festival, quello degli Arcade Fire. La situazione che si viveva a venti-trenta metri dal palco era quella tipica dei concerti da stadio: schiacciati come delle sardine e accerchiati da fastidiosi impeti corali. A dispetto di una band in grandissima forma ed una scaletta ben bilanciata (i pezzoni di Funeral sono sempre un gradino sopra a tutto il resto) non resistiamo più di cinque-sei pezzi. Come avevamo già avuto modo di constatare in quel di Bologna nel 2010 e come confermato da alcuni colleghi che si sono goduti il live dal sotto-palco, gli Arcade Fire potranno anche essere odiosi e sovraesposti, ma pochissimi possono ritenersi loro eguali oggigiorno.
Con il freddo che stava iniziando ad entrare prepotentemente nelle ossa, decidiamo quindi di passare qualche minuto al caldo avvolgente della Boiler Room in cui il grande Andy Stott stava macinando techno in un set più ballabile e fruibile rispetto alla – enorme – miscela primordiale e oscura che pervade le sue uscite discografiche. Resa audio impeccabile e location (l’unica al chiuso) assolutamente unica. Dopo Andy proseguiamo la fase elettronica con i Moderat sul palco ATP. Apparat e i due Modeselektor (Gernot Bronsert e Sebastian Szarzy) propongono parecchie tracce dall’ultimo album conquistando il pubblico con un secco mix di oscuro 2-step/garage e giuste melodie suonando a volte come un Burial dimensione-stadio. Il pubblico, grazie anche ai consueti visual d’effetto, apprezza.
Autori di un disco inferiore alle aspettative, i Metronomy rispondono con un live tutt’altro che deludente: scenografia retrò-sixties e completi bianchi dalla giocosa eleganza. Un set lineare e piacevole, senza grosse frenate, davanti ad un’area-Ray Ban (quasi) mai così colma. La giornata termina con l’uomo giusto nel momento giusto, ovvero Julio Bashmore e la sua corposa house.
Venerdì – 30 Maggio 2014
Prima di spostarci al Parc del Forum, venerdì ci godiamo qualche raggio di sole con la poco solare (ma assolutamente valida) proposta targata Majical Cloudz al Parc de la Ciutadella, location che ospita piccoli concerti tra mattina e primo pomeriggio. Una volta dentro al Parc del Forum il primo nome in scaletta è quello di Mas Ysa. Ancora nessun album all’attivo ma grande potenziale, espresso solo a tratti davanti ad un pubblico distratto dal temporale che dietro di lui stava avvicinandosi velocemente. Rinunciamo ad un impavido John Grant a causa dei fulmini e della pioggia battente aspettando in area food che il fenomeno continuasse la sua corsa verso il mare con in sottofondo la soundtrack dei Drive-by Truckers. Poi, ad un certo punto, un boato di applausi: davanti a noi, proprio sopra al Ray-Ban stage, si palesa un fantastico doppio arcobaleno completo, una visione che da sola vale più di molti concerti.
Ricaricati da cotanto splendore ci muoviamo svelti per prendere le prime posizioni all’Heineken stage dove stanno per salire sul palco le Haim, le quali scacciano qualsiasi tipo di eventuale critica con un set che non solo conferma la loro grande presenza scenica (e non parliamo solo delle ormai epiche “bassface” della bassista Este) ma colpisce anche per le ottime qualità tecniche (niente male i due backing-boys alle tastiera e batteria) che le tre sorelle dimostrano di possedere e di sprigionare con grande facilità. Colpiti in positivo dalle Haim ci si palesa quella che si è rivelata forse la scelta più difficile dell’intero festival: rimanere in zona per gli immensi Slowdive o dirigersi verso il palco Pitchfork per godersi dalla prima fila l’accoppiata FKA Twigs e War On Drugs? Alla fine, con non pochi rimorsi, scegliamo la seconda soluzione con la certezza di poter vedere gli Slowdive tra poche settimane a Padova.
FKA Twigs ripaga, nonostante qualche problema tecnico iniziale, con una grande performance. Sul palco tre musicisti (un chitarrista e due addetti al reparto elettronico-suonato dal vivo) a macinare battute lente, scomposte e sensuali sulle quali la minuta Tahliah Barnett danza (è ballerina e si vede, eccome…) e canta. Tra mosse alla Tricky e virate sexy l’intero live (brano inedito compreso) si assesta su affascinanti coordinate fumose e urbane. Non da meno i War On Drugs che, con picchi emozionali, propongono praticamente l’intero ultimo capolavoro Lost in The Dream con la professionalità di una band rodata in pieno stato di grazia. A fianco, sul palco Vice (il meno “dotato” a livello audio) i Growlers stanno mostrando ad un paio di migliaia di persone quanto, con il loro bizzarro surf-sound, possano essere divertenti, assolutamente fuori di testa e addirittura musicalmente disciplinati nonostante i fiumi di alcool nei loro corpi.
Con il freddo vicino ai picchi della scorsa edizione facciamo un salto all’ATP dove gli Slint suonano lo storico Spiderland. Un live, il loro, che andava sicuramente visto dall’inizio alla fine per poter apprezzare ogni minima sfumatura emozionale delle loro partiture post.
I Darkside (Nicolas Jaar, David Harrington), poco dopo, portano sul suggestivo Ray Ban stage il loro multisfaccettato Psychic con alle spalle un’evocativa scenografia, praticamente l’opposto di quella destinata agli (interessanti ma non troppo) spagnoli Oso Leone.
Sabato – 31 Maggio 2014
Gli americani Caveman sono il primo appuntamento di un sabato che si preannuncia intenso. La bella cornice del Parc de la Ciutadella (palco Martini) dona sapore ad un’esibizione che, contrariamente a quella dei successivi Speedy Ortiz, si rivela essere un po’ insipida per quanto elegante. La band di Sadie Dupuis regala mezz’ora di spaccato anni ’90 a cavallo tra indie-rock e virate noise: ottimo per il relax pomeridiano sotto un briciolo di sole. Il pomeriggio all’insegna delle “ragazze con chitarra” continua al Parc del Forum con La Sera (palco Vice), solare e sempre sorridente sa come regalare minuti di sana spensieratezza. Un salto all’ATP per il nuovo progetto dell’ex leader degli Yuck, Hebronix (personaggione), precede il ritorno in riva al mare tra palco Pitchfork e Vice, dove ci attendono l’esordiente Courtney Barnett (molto valida, ma Avant Gardener rimane di gran lunga superiore ai restanti brani proposti), le Dum Dum Girls (tracklist non eccelsa e presenza scenica migliorabile) e gli Hospitality, tanto carini su disco quanto anonimi dal vivo.
Tutt’altri suoni e contesti dall’altra parte del festival sul palco Heineken, dove Kendrick Lamar e la sua backing-band pompano all’inverosimile tra incitamenti, giochi con il pubblico e bassi sparati a mille. Neanche il tempo di terminare il set – comunque corto – di Kendrick e si torna ad un Pitchfork stage già stracolmo di spettatori per Blood Orange e la sua crew (tra gli altri Samantha Urbani ai cori). L’esibizione di Dev Hynes (già nei Test Icicles e solista come Lightspeed Champion) si rivela essere concreta, più “classica” che “pitchforkiana” con il nostro più musicista che personaggio, anche se chiaramente non sono mancati i suoi famosi balletti di jacksoniana memoria. Sul finire della performance, ad aumentare la presenza di weirdos sul palco, si è materializzato mr.Connan Mockasin.
Rimaniamo in zona Pitchfork per Ty Segall e la sua band (al basso c’era Mikal Cronin) e il consueto tirato e sguaiato garage-rock made in California prima di passare dal Ray-Ban stage dove i Chromeo hanno “intamarrito” (e divertito) migliaia di spettatori con dancefloor tracks dal sapore electro-disco-funk. Facciamo un ultimo salto al palco Vice per intercettare qualche minuto dei Cold Cave (non il contesto più adatto) per poi passare nuovamente all’ATP, dove si consuma la grande festa (di massa) messa in piedi dai Cut Copy. Gli Australiani, nonostante il grande richiamo sullo sfondo all’ultimo disco Free Your Mind per un’ora intera hanno alternato veri e propri classici (memorabile Hearts on Fire) ai singoli più recenti.
Grazie a Riccardo Zagaglia!
Photo Credit: Eugenia Angelini