Home Interviste Punkreas, Noise racconta Il Lato Ruvido a Blogo: “Dopo 25 anni che ci mettiamo la faccia, lasciatecelo cantare a squarciagola!”

Punkreas, Noise racconta Il Lato Ruvido a Blogo: “Dopo 25 anni che ci mettiamo la faccia, lasciatecelo cantare a squarciagola!”

Blogo ha fatto una lunga chiacchierata con il chitarrista Noise per conoscere i retroscena de Il Lato Ruvido, nuovo disco dei Punkreas in uscita il 22 aprile.

pubblicato 25 Marzo 2016 aggiornato 28 Agosto 2020 19:12

Il nuovo disco dei Punkreas si intitola Il Lato Ruvido ed esce il 22 aprile: non contenti di esserci goduti l’ascolto in anteprima, che ha svelato una band in gran forma, noi di Blogo abbiamo intervistato il gruppo per mezzo del chitarrista Noise, che si è fatto portavoce delle fantastiche vibrazioni di questo lavoro in studio.

Noise è quel che si dice un “fiume in piena” di parole e aneddoti. Non si ferma nemmeno di fronte al tempo che scorre: di cose da raccontare ce ne sono tante, sia sulla realizzazione del disco sia sulle motivazioni che da sempre animano la scrittura dei brani del gruppo di Parabiago, fortemente ringiovanito da questo album. Noise ci tiene a chiarirlo sin dall’esordio -felice- della nostra chiacchierata:

Noi siamo veramente orgogliosi di ‘sto disco, come non ci capitava da tempo, per cui siamo contenti che la prima recensione sia in linea con il nostro orgoglio! Siamo proprio innamorati di questo album.

L’orgoglio appunto, parte centrale delle registrazioni come ci spiega entusiasta Noise:

Veniamo da un periodo molto positivo, soprattutto dopo il Paranoia Domestica Tour: c’era entusiasmo, energia, voglia di suonare in maniera molto “giovanile”. Volevamo fare un’operazione che sulla carta era difficile:recuperare quel modo di fare musica dei nostri giorni, un po’ più viscerale e carnale, coniugandola contemporaneamente col nostro percorso artistico e le sperimentazioni. Mettere insieme questi due aspetti: recuperare gli esordi come istinto, tradurli in modi di comporre che riflettessero la maturità artistica. Un passo indietro per farne due in avanti, insomma! Un progetto ambizioso che poteva non riuscire, invece secondo noi… Anche le scelte che abbiamo fatto, con chi siamo andati a registrare, beh, siamo talmente entusiasti che tralascio ogni scaramanzia!

I temi di questo disco sono molto sociali ma canonici per voi: che cosa è cambiato rispetto a vent’anni fa?

È difficile dirlo, perché le cose sembrano non essere mai cambiate! (Ride) Quando abbiamo cominciato c’erano delle situazioni più precise come la visione e impostazione socioeconomica di una società: c’erano immaginari chiari, i comunisti da una parte, i capitalisti liberali dall’altra, e si faceva riferimento a loro stando da una parte o dall’altra. Adesso siamo in una situazione in cui non ci sono più quelle ideologie lì, è tutto più confuso e caotico: può far paura da un certo punto di vista ma ti lascia anche spazi.

In merito alle canzoni, vista la premessa, come vi siete posti?

Abbiamo cambiato prospettiva nella scrittura dei pezzi, tentando di recuperare quell’approccio di azione, di istinto, di sporcarsi le mani, per non metterci a fare analisi e controanalisi come degli studiosi polverosi, che dalle loro cattedre ti spiegano cosa fare e non fare, e in realtà finiscono con l’interpretare le cose quando le cose sono già andate da un’altra parte (ne parlano proprio nella title track Il Lato Ruvido, nda). Le canzoni hanno un punto di vista diverso, cinematograficamente direi che ci siamo messi in soggettiva. Un approccio istintivo anche a costo di fare errori è l’unica possibilità di muovere le cose in senso positivo e fare qualcosa di creativo. Ci siamo sporcati le mani, abbiamo fatto una cosa che puzza di sudore!

Più pancia e meno cervello?

Una buona sintesi! (Ride)

Uno dei brani che mi ha colpito di più è stato 800588605, che non è proprio una canzoncina leggera.. Al di là del tema, anche musicalmente pesta come un dannato. Cosa vi ha spinti a scriverla?

Noi le chiamiamo le cavalcate! Questa è una cavalcata su un tema che si prestava molto bene e che nasce dalle nostre esperienze: eravamo a Genova nel 2001, ne abbiamo viste di cotte e di crude, ma lo spunto è stato un episodio che ci è capitato qualche anno fa, quando dopo un concerto siamo finiti nello stesso albergo dove c’erano i reparti speciali che il giorno dopo sarebbero andati in Val di Susa. Loro sono stati disturbati dal rumore che veniva da una delle nostre camere e hanno buttato gas lacrimogeno dentro la stanza per farci smettere e uscire. Quando siamo usciti urlando come dei pazzi, il nostro manager ha chiamato avvocato, ufficio stampa e agenzia, e hanno capito che non era il caso di continuare con quel modo di fare. La cosa si è risolta con pochi danni e scuse ma ci è sembrato chiaro: se noi non fossimo stati persone con dei numeri da chiamare, come sarebbe andata a finire? Forse come Aldrovandi o come Uva? Per cui, quando abbiamo sentito che c’era un’associazione che metteva a disposizione un numero di assistenza per chi si trova in una situazione di questo tipo, ci è sembrata un’ottima idea far diventare la canzone uno spot per questa iniziativa. Sarebbe meglio che non ci fosse questa necessità, ma certe cose succedono ed è giusto denunciarle.

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Parliamo delle collaborazioni che sono molto eterogenee: da una parte Tito Faraci che vi ha scritto un testo e i Modena City Ramblers che vengono spesso visti come “band da Primo Maggio”, dall’altra avete scelto due nomi (Lo Stato Sociale e Shiva) che invece rappresentano un po’ il futuro…

Vedo che hai colto benissimo le nostre intenzioni: cercare delle collaborazioni che dessero la possibilità di confrontarci con uno spettro variegato. Il giovanissimo Shiva, i giovani dello Stato Sociale e i nostri coetanei come i Modena City Ramblers e con Tito… pure di una generazione prima. Per noi è importante relazionarsi, mischiarsi, imbastardirsi un attimo: è la carta vincente oggi come oggi. Restare arroccati non porta a nulla.

Come mai la scelta di un rapper? In Italia ormai c’è questa moda di mettere la quota rap in tutti i dischi e tutti i talent…

In realtà le nostre scelte di collaborazione riguardano principalmente le persone che ci piacciono, non valutiamo la parte artistica come primo elemento. Shiva l’ho conosciuto in un barettino che gestivo a Rho e questo ragazzo giovanissimo, avrà avuto 16 anni, mi ha chiesto di fare una seratina e mi ha molto colpito: una gran capacità di scrivere testi e pezzi intellligenti, significativi e taglienti, con un punto di vista suo. Ho pensato che sarebbe stato carino averlo: non ci siamo posti il problema che fosse un rapper. Il pezzo “Va bene così” parla delle problematiche della working class e dei lavoratori seriali, mi piaceva metterci dentro la voce di chi la vede come quello che lo aspetta, il ragazzo giovane che pensa “anh quindi è questa la m*rda che mi avete preparato?”. Ha scritto tutto lui. Noi non siamo dei gran fan del rap, però ci piaceva l’idea di fare questa cosa: non è un’operazione commerciale altrimenti avremmo preso qualcuno con un nome più altisonante! (Ride)

E invece la collaborazione con Lo Stato Sociale come è nata?

Più o meno con lo stesso meccanismo, però ci siamo incontrati negli studi di una televisione milanese dove eravamo ospiti. Abbiamo un amico in comune, Andrea Cegna, che ci ha sempre detto che loro somigliavano a noi vent’anni fa nel modo di fare e nel linguaggio. Sono venuti a trovarci in saletta, abbiamo passato una giornata insieme a parlare e ascoltare musica. Hanno ascoltato con attenzione i provini delle canzoni e ci hanno dato consigli molto mirati e precisi: in poco tempo ci siamo accorti che il nostro linguaggio, artisticamente molto diverso, aveva però punti in comune molto forti, come parlare di temi importanti (società e politica) con un taglio ironico. Ci siamo sentiti in sintonia in modo speciale… Però ti devo fare una domanda.

Dimmi!

Ci ha sorpreso la reazione di alcuni dei nostri fan di fronte alla collaborazione con Lo Stato Sociale, alcuni hanno detto “no!”. Siamo rimasti un po’ sorpresi, però ci piace quando chi ci segue è viscerale: si sentono parte di un contesto minoritario, chi ascolta punk rock vive di punk e oggi non è che se ne senta molto in giro… Però qualcuno, secondo me, ribalta il concetto di causa/effetto: essere minoritari non è un valore in sé; può essere una conseguenza delle tue scelte, un effetto, ma non può essere una causa. Nessuno deve scegliere di fare o ascoltare qualcosa perché è minoritario. Quindi perché?

Forse perché sono molto c*zzoni, sembra che non prendano mai niente sul serio ma in un modo ancora più leggero rispetto a voi, o perché le persone li vedono come la band esplosa ai tempi di internet mentre voi vi siete fatti le ossa nelle salette perché coì è la vera essenza del punk..

Beh noi li abbiamo portati nel nostro campo di gioco, non abbiamo attinto dal loro immaginario: abbiamo chiesto a loro di confrontarsi con il nostro modo di fare musica, non viceversa! (Ride)

Invece la collaborazione con i Modena City Ramblers?

È stata una collaborazione più agile: veniamo dallo stesso percorso, abbiamo annusato la stessa aria e bevuto la stessa acqua… anzi no, alcolici! La canzone racconta di noi, di gente che da 25 anni ci mette la faccia quando ci sono le cose importanti. Dopo 25 anni che ci mettiamo la faccia lasciatecelo cantare a squarciagola!

A livello di strumentazione, per ottenere questo suono siete andati a rispolverare chitarre e amplificatori d’epoca? Qualche tecnicismo in particolare?

Noi suoniamo sempre con gli stessi strumenti da un sacco di anni, quindi sono vecchi perché non li abbiamo mai cambiati! Riccardo Paravicini e Ale Bavo dello studio di Cuneo ci hanno permesso di registrare come in epoca pre-digitale: un agio, ognuno con le sue cuffie, però facevamo le prove suonando tutti insieme poi quando eravamo pronti registravamo, sempre tutti insieme. Col computer ora lo fai, però suonare insieme è tutta un’altra cosa e ci ha permesso di registrare bene quella che è la nostra dimensione, quella dal vivo, che è la nostra migliore. Ci siamo divertiti molto e questo divertimento si sente! Dopo abbiamo sovrainciso qualcosa, ma sempre con questo modo di fare: gli assoli per esempio li ho registrati dalla priam all’ultima nota tutti insieme, quando c’era quello giusto che emanava “il sangue”, con l’errorino o la nota sporca, era quello.

Parliamo del tour: quanto siete carichi?

Dopo il Paranoia Domestica Tour, che è andato benissimo, tutti hanno visto l’energia sul palco e la voglia di spaccare tutto: quindi vogliamo rilanciare. Questa sensazione positiva su un disco non la sentivamo da tempo: c’è entusiasmo, quindi pensiamo di fare un tour esagerato! Cominciamo il 22 aprile a Leoncavallo a Milano e il 23 andiamo a Mestre. Ho visto dei calendari: tanti posti, tante date… Troverete tutto sulla pagina Facebook.

Un’ultima domanda: ho scovato un sito che denuncia la cristianofobia dei Punkreas. Mi sono fatta delle risate. Tu che ne dici?

C’è arrivata anche qualche comunicazione da qualche università ebraica! Questo la dice lunga sulla capacità di essere ironici e autoironici da parte della Chiesa. Forse hanno male interpretato Satanasso… Parlo per me: tutti sono liberi di credere in chi e cosa vogliono senza alcuna fobia; certo è che se gli istituti religiosi invece di occuparsi di trascendentale e di anime fanno politica in maniera retrograda e distrattiva, come abbiamo visto per la legge sulle unioni civili… Questo non lo possiamo accettare. Se entri nel discorso di scelte che riguardano tutti noi, ci girano le palle. Le religioni vengono strumentalizzate per fare guerre e muovere masse, soprattutto in questi giorni: se guardiamo la Storia non possiamo escludere che abbiano fatto dei danni, no?

E con la chiosa retorica, Noise ci saluta e dà appuntamento a tutti per le date del tour 2016 dei Punkreas: che ancora non conosciamo, ma ve le diremo appena le sapremo. Perché Il Lato Ruvido è così: va goduto dal vivo, scorticandosi la pelle.

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