Rock In Idro 2014, giorno 2: live report e foto
Le foto e la recensione del secondo giorno del festival all’Arena Joe Strummer di Bologna con Russkaja, Snuff, Millencollin, Pennywise, Gogol Bordello, You Me At Six, Ska-P e Pogues.
La pioggia è arrivata anche nel secondo giorno di Rock in Idro 2014, ma è stata ben più clemente di quella che ha causato l’annullamento del primo giorno di festival: giusto qualche goccia in chiusura di serata ha fatto temere il peggio, poco prima dell’inizio del set dei Pogues, ma si è rapidamente fermata per lasciare il posto al polverone del pogo delle prime file.
Giornata intensa e soprattutto fortunatamente soleggiata che ha risparmiato il fango agli spettatori accorsi all’Arena Joe Strummer del Parco Nord di Bologna: all’apertura dei cancelli, sotto una lama di sole a picco, erano ancora pochi i temerari spettatori che hanno accompagnato il primissimo set degli italiani Lennon Kelly, forse penalizzati dall’orario. Ma i Russkaja, carichissimi e scenografici, hanno veramente infiammato la folla facendola ballare in cerchio per una buona mezz’ora, tra salti e incitamenti notevoli. Il loro ska carico di punk e bonomia russa è in grado di scomporre anche la serietà della sicurezza e mentre l’Arena si riempie è facile scorgere un mezzo sorriso di fronte alle grazie della giovane violinista della band.
Gli Snuff violentano di punk esagerato la folla accaldata, imbenzinando ancora di più le energie e cominciando a produrre i primi colpi di tosse da polverone; spetta ai You Me At Six placare leggermente la carica, portando un po’ di calma intrisa di pop sul palco del Rock in Idro. La loro presenza è particolarmente strana proprio per il genere che suonano, un pop-rock stile Fun e 30 Seconds To Mars: vagamente fuori luogo in un cartellone ska-punk, ma fanno il loro set con una discreta eleganza.
I Pennywise festeggiano degnamente i 25 anni di carriera con Jim Lindberg che firma autografi prima del set: sul palco portano il livello del pogo oltre ogni immaginazione. Spiace vederli piazzati alle 16.30 perché la loro esibizione è veramente intensa. Jim si fa persino prestare la macchina fotografica di una delle fotografe per immortalare il pubblico e farsi un selfie come si deve. Sul palco i Pennywise si divertono come ragazzini in sala prove e questo traspare dalla sequenza di pezzi, che porta verso il palco anche le persone più pigre rimaste sulla collina.
L’eredità dell’altissima energia non viene però degnamente raccolta dai Millencollin: durante quelle lunghe code di attesa cibo e turno in bagno che sono la cornice ideale di queste manifestazioni, molti spettatori ci hanno rivelato di aver mollato dopo i primi pezzi perché i Millencollin apparivano scarichi, mosci, poco convinti della loro presenza sul palco dell’Arena Joe Strummer, come se eseguissero un copione già scritto. Un vero peccato.
Per fortuna in scaletta era previsto un gruppo che tiene fede al proprio nome: i Gogol Bordello hanno dragato il palco in lungo e in largo con brani epici e la giusta dose di melodia per stemperare un po’ il polverone e l’adrenalina. Il loro set è stato grezzo e curatissimo, dolce ed energico, una vera e propria botta di vita ed euforia collettiva: il gigantesco gruppone eterogeneo guidato da Eugene Hütz è riuscito nella favolosa impresa di coinvolgere anche la lontanissima area vip nei balli sfrenati e nel caos geniale di musicisti che percorrono a falcate e salti il palco.
Non da meno sono stati gli Ska-P, primi headliner della serata con un set al tramonto davvero suggestivo. Il pubblico era lì per loro e i punk ska spagnoli non hanno lesinato su nulla: energia, incitamenti, richiami politici e il loro inno, quella Cannabis che li ha resi immortali in tutte le compilation alternative di questo mondo, suonato con un dispiego di fiati e salti davvero notevole. Mentre il sole cala dietro gli alberi di via Stalingrado c’è tempo per una birra e un momento di raccoglimento, in attesa del gran finale di giornata.
Eccoli, gli attesissimi Pogues. La morte di Phil Chevron, avvenuta lo scorso anno, ha portato sul palco un nuovo chitarrista che infonde sicurezza, ma l’attenzione è indubbiamente tutta per il santo poeta punk alcolizzato come lo chiamava Enrico Brizzi. Shane MacGowan cammina a passi malfermi, indossa una camicia fucsia improponibile e pantaloni ascellari, gli occhiali da sole al buio e una sigaretta tra le dita, eppure quando entra in scena il pubblico non ha occhi che per lui, nonostante la pessima illuminazione che lo lascia praticamente al buio per la gioia dei fotografi nel pit, impegnati a impostare le reflex per cercare di coglierne almeno mezza espressione. Shane MacGowan se ne sta aggrappato al microfono come ad una boa in mezzo al mare, smozzica parole e canta quel che può la sua voce consunta da troppa droga passata; tra le pause frequenti intona i più bei classici della band, che fa degnamente il suo lavoro di supporto e copertura del malconcio cantante e smuove il pubblico in danze di ispirazione irlandese.
Ci si saluta scemando verso i dj set notturni: molti scuotono la polvere dai capelli, tossiscono terra del Parco Nord, salutano il murale di Joe Strummer all’ingresso e si avviano verso una birra dissetante e l’asfalto di via Stalingrado. L’impressione di questa seconda giornata fa pensare che il cartellone, che tenta di acchiappare principalmente i giovanissimi amanti del punk rock dei primi anni Novanta, produca un effetto dejà-vu che suona parecchio anacronistico e tende anche un po’ a stufare per la ripetitività dei soliti nomi, nonostante si parli sempre di band di validissima potenza.