Sanremo 2014, Cristiano De André: “Con Invisibili racconto la Genova della fine degli anni ’70”
Il cantautore presenta uno dei brani che canterà al Festival
Cristiano De André ha raccontato a Il Secolo XIX Invisibili, una delle canzoni – l’altra si intitola Il cielo è vuoto – che porterà sul palco del Festival di Sanremo tra pochi giorni. Il brano, contenuto nel suo nuovo album (si tratta di un riedizione in verità) Così in cielo così in guerra, racconta la Genova a partire dalla seconda metà degli anni ’70, quella in cui il figlio del grande Fabrizio ha vissuto da ventenne invisibile. Il brano infatti parla dei “figli di quelli che si erano ribellati e cominciavano ad assaporarne i risultati”:
Fra un’ipocrisia borghese dilagante e la lacerazione dell’anima dei giovani, i nostri padri si preoccupavano delle libertà che si erano costruiti e noi diventavamo invisibili. Ma purtroppo non finiva lì.
Perché “Genova fu inondata dall’eroina, le sue piazze diventarono pericolose come quelle di Verona, due città che mi ricordo molto calde”. La droga e la lotte sociale, nonostante l’apparenza, andavano comunque d’accordo:
C’erano gruppi musicali che incitavano anche a fare uso di droga. Non si capiva per quale motivo l’eroina fosse arrivata sul mercato ma di certo, complici quelle lacerazioni famigliari, se ne faceva uso per dimenticarsi di tutto e di tutti.
Le famiglie pensavano a tutto tranne che a curare i figli:
Una volta conquistata la libertà di andare contro il potere costituito e in pieno scontro sociale, ci si dimenticava dei propri figli. C’era l’urgenza di costruire una nuova società, diversa da quella borghesia che si stava suicidando. E i bambini erano un po’ relegati.
Il cantautore, che ha già partecipato tra i big alla kermesse canora nel 1993 e nel 2003, ha spiegato che sulla sua condizione di figlio invisibile ha pesato anche il cognome:
C’era la fatica di un cognome inesorabile: sempre messo davanti a quel genio di mio padre, dovevo trovarmi una grotta, un posto dove difendere Cristiano. (…) Oggi posso dire che la gente mi vuole bene, che ha superato un po’ il mio cognome.