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Sanremo 2019, The Zen Circus a Blogo: “Sogniamo di arrivare ultimi, ma rischiamo di non farcela…”

The Zen Circus, a Sanremo 2019, con “L’amore è una dittatura” ci parlano della loro partecipazione a Sanremo.

pubblicato 5 Febbraio 2019 aggiornato 16 Ottobre 2020 15:32

Una prima volta a Sanremo per The Zen Circus che raccontano a Blogo il perché hanno scelto proprio il Festival più nazional-popolare per festeggiare i loro primi 20 anni:

“E’ stata una coincidenza fantastica a dire il vero. Era proprio questa l’edizione giusta per farlo”

spiega Massimiliano Schiavelli, che ‘ruba’ per una volta il microfono ad Andrea Appino, sotto lo sguardo di Francesco Pellegrini (unico assente Karim Qqru).

“Lo abbiamo fatto anche toglierci uno sfizio – aggiunge Schiavelli – Non abbiamo mai partecipato a una competizione canora, se non una volta, nel 2000, ed è divertente. Ma poi è l’anno buono anche perché mai come quest’anno c’è una pattuglia così numerosa di artisti a noi vicini. Per noi è come una festa. E poi perché dopo tutto questo tempo passato a descrivere e a percorrere il Paese era giusto fare un’incursione in un territorio cosiddetto più generalista”.

Un territorio che non è proprio familiare: Appino confessa di non aver mai visto Sanremo in diretta (“se non dei pezzi, sul web”) e di aver fatto del Festival una serie da binge-watching, recuperando un po’ di edizioni precedenti. Un recupero che gli ha dato una ironica ‘certezza’: non possono vincere, perché chi vince deve ricantare subito il proprio brano e con gli strumenti da far entrare – e uno dei cambi palco più complicati dell’edizione – la cosa è complicato. Ma mai mettere limiti alla provvidenza e alle maestranze dell’Ariston.

Il loro sogno a Sanremo?

“Quello di arrivare ultimi, ma mi sa che non ce la faremo e quindi abbiamo abolito proprio l’idea che questa sia una competizione, perché in fondo non ci piace proprio l’idea di una competizione. Se poi dovesse capitare una vittoria… “

Intanto la canzone portata in gara, “L’amore è una dittatura”, non è nata per Sanremo, anche se pensata per un’orchestra,  e neanche a ridosso delle ‘convocazioni’ festivaliere. Nonostante questo si attaglia perfettamente al clima che stiamo vivendo:

“Non è una canzone d’amore canonica, né politica, ma nello stesso tempo è tutte e due le cose – spiega Appino – L’amore, per come è inteso nella tradizione sanremese, è sempre quello romantico, moi et toi.  Questa canzone, invece, tratta di un’idea d’amore più collettivo, anche perché l’amore romantico nasce proprio dall’amore per gli altri. La persona amata, prima di conoscerla e di amarla, è un estraneo. Partiamo da questo assunto per raccontare la mancanza di empatia con gli altri e quindi con se stessi. Nel momento in cui si odia se stessi, si odiano anche gli altri”.

Aggiunge Schiavelli:

“E’ un brano molto in linea anche con i lavori precedenti. Chi ci conosce già si accorgerà che non fa che confermare un percorso di narrazione iniziato da molto tempo”.

Una canzone che hanno proposto o che hanno presentato rispondendo a un invito?

“E’ un concorso di colpa. L’anno scorso erano iniziati i primi avvicinamenti, che non andarono a buon fine ma meglio così, decisamente. E quest’anno è stato un 50 e 50. Ci siamo corteggiati vicendevolmente, abbiamo detto che avremmo partecipato con questo brano ed è stato un sì”.

Venerdì sera duetteranno con Brunori, (“non una collaborazione di circostanza e ci tengo a sottolinearlo“, precisa Massimiliano”): due stili diversi anche se con tematiche affini, che arriveranno sul palco dell’Ariston con un arrangiamento inedito, arricchito da un quintetto ottoni, e “con quella sfumatura affabulatoria di Brunori un po’ diversa che arricchisce e completa il brano, per l’occasione suonata con un tempo diverso. “Sarà molto bella, molto circense… un’altra versione che non poteva che essere con Dario (Brunori, ndr).

Certo è che con Sanremo incroceranno un target diverso dal solito: in questo caso, cosa vorrebbe arrivasse di loro a “nonna Pina” che li guarda al Festivàl?

“Al pubblico cosiddetto “generalista”, termine che odio ma si usa, – risponde Appino – diciamo che cantiamo una canzone che parla di comunione con gli altri. Se avranno voglia di capirla la capiranno… Ma non vorrei che passasse l’idea che noi abbiamo chissà quale verità, che guardiamo con superiorità chi fa musica pop. Assolutamente no! Io credo vivamente che la musica possa essere anche un sottofondo al supermercato e che lo si possa fare un maniera fighissima. Io credo nel pop e credo nella musica che non faccia pensare, perché se la musica facesse solo pensare sarebbe du’ balle così. Mi piacerebbe che Nonna Pina si ritrovasse ne L’Amore è una dittatura, ma sarà più facile che ci riesca con un’altra canzone…”

scherza, chiosando. Non ci resta che chiedere alle nonne un commento sul brano dei The Zen Circus e nel frattempo rimandarvi alla nostra video-intervista. A loro il nostro in bocca al lupo.

 

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