SoloMacello Fest 2014: foto, video e commenti
Rivivi le emozioni del festival metal più 666 dell’Estate, con Unida, Destrage, Lili Refrain e molti altri.
Mentre il 25 Giugno gli amanti dell’hard rock più ‘commerciale’ erano a Milano per il concerto degli Aerosmith, gli appassionati di sonorità ben più heavy ed oscure erano dall’altra parte della città per il SoloMacello Fest.
Soundsblog aveva un inviato al Magnolia, e questo è quel che ci scrive (e mostra con le sue fotografie) Eugenio Crippa. Buona lettura…
Più passano gli anni, più ci si rende conto che recensire un evento come il Solomacello Fest (o SoloMacello, oppure ancora Solo Macello, non è ben chiaro ma non è che sia fondamentale) ha sempre meno senso, un po’ come parlare della Coca-Cola o dell’Ikea. Una garanzia insomma, punto e basta. Coloro che dirigono il progetto non hanno mai lesinato in autoironia, nonostante negli anni le cose si siano fatte sempre più serie: oggi Solomacello (d’ora in poi lo chiameremo così) non è soltanto fede incondizionata in Satana e nella sua manifestazione in musica, ossia il Metal, ma è anche una sorta di marchio ben distinto, anche dal punto di vista iconografico, attorno al quale ruotano decine di band provenienti dal fertile underground nostrano.
Squadra che vince non si cambia, perciò è naturale ripresentarsi come ogni anno presso il Circolo Magnolia di Segrate, alle porte di Milano e a due passi dall’aeroporto di Linate, un luogo che chiamare ‘locale’ è quantomeno riduttivo, dato che ai visitatori si apre innanzitutto un piccolo parco, che si attraversa per giungere al locale vero e proprio e all’area concerti, estesa nella versione estiva a due palchi, uno principale e uno più piccolo denominato “Messicano”. In occasione del Solomacello, inoltre, un tendone è riservato da un paio di stagioni a questa parte alla vendita di merchandise e dischi, e reca in un piccolo angolo un terzo e ultimo ‘palco’ – virgolettato, in quanto è una sorta di quadrato di 3 metri di lato ad altitudine zero – denominato “Gabbia”.
All’interno di un buon motore, non tutto è sempre oliato alla perfezione. I nomi degli artisti invitati sono diminuiti, il prezzo leggermente ritoccato (restano 15 Euro in prevendita, e 18 in cassa, sempre un buon ‘value for money’ per un festival); ciononostante, gli organizzatori infilano due “sovrapposizioni” che forse era possibile evitare, dando modo ai presenti di non dover sacrificare nulla. I volumi invece restano bassi, e purtroppo per quello non c’è nulla da fare: l’assurdo è che si tratta di un limite imposto alla musica dal vivo, mentre i DJ-set paiono non soffrire di alcun limite di decibel – e questo sarà tristemente evidente qualche giorno dopo, quando saliranno on stage gli australiani Wolfmother.
Dispiace anche vedere Wino e i suoi Spirit Caravan sul palco così presto, solo quarti su dieci nomi, secondi a presentarsi sul Main Stage dopo le brevi esibizioni di Tutti i Colori del Buio, Mexican Chili Funeral Party e Storm{O} (questi ultimi i meno preferiti dal sottoscritto per ragioni di puro gusto musicale, ma decisamente i più personali del trio, autori di un hardcore old-school cantato in italiano). Dispiace, dicevamo, in quanto per un musicista che è in sostanza sinonimo dei termini ‘Doom’ e ‘Stoner’ a livello mondiale ci si aspettava un trattamento migliore; gli Spirit Caravan, invece, si ritrovano soltanto a scaldare un pubblico ancora non troppo nutrito, che si divide tra una manciata di aficionados e molti impassibili astanti.
Dopo gli Ornaments, perfetti e quadrati come sempre nel loro post-metal strumentale, è, o meglio, sarebbe l’ora dei redivivi ZU, che confesso di aver trascurato in favore degli OJM, che non si fanno intimidire seppur relegati negli angusti spazi della Gabbia. “Siamo così grandi che non ci stavamo sul palco grande e siamo finiti qui”, confessa ironicamente il cantante dopo il primo brano di un set che sfora di parecchio – ma senza che nessuno se ne lamenti – la mezz’ora di tempo concessa.
Siamo al terzetto finale, e il primo pogo della serata è scatenato dai Destrage, che giocano in casa e si portano dietro orde di fan che abbassano in maniera consistente l’età media dei partecipanti. Li si credeva dei giovincelli e invece ce li ritroviamo – unici tra l’altro ad avere una scenografia sul palco degna di tal nome – incredibilmente coinvolgenti nonostante l’alto tasso di tecnicismo dei loro pezzi, tanto che io me ne resto a osservarli fino all’ultimo minuto di concerto. Ok, lo dico: sbaglia chi li considera una band da ragazzini, sbaglia chi li ritiene poco adatti al Solomacello. Personalmente li avrei fatti suonare prima, ma poco importa; spero solo che anche i loro fan abbiano apprezzato le sonorità più ‘adulte’ incluse nel prezzo, così come chi scrive è rimasto sorpreso da dei Destrage così… maturi, ma anche autoironici! Da (ri)scoprire, magari partendo da un videoclip assurdo in cui tre di loro impersonano degli zombi che partecipano ad una corsa, se ci ho visto bene ambientato proprio a ridosso dell’Idroscalo.
È quindi tempo di fare un salto alla Gabbia per lo show di Lili Refrain, musicista romana che in ambito Do It Yourself ha ben pochi rivali. Lo dimostra il suo terzo disco “Kawax”, fresco di stampa (terzo? E dov’eravamo quando uscirono i due precedenti, mi chiedo spesso…), promosso da mesi con una lunga serie di date in giro per Italia, Germania e Francia. Su disco (ascoltabile integralmente e, ovviamente, acquistabile su bandcamp) vi sono alcuni ospiti, ma dal vivo Lili Refrain fa tutto da sola, costruisce i propri pezzi mandando in loop vocalizzi da pelle d’oca e riff di chitarra. Il positivo effetto sorpresa che ebbe la prima volta che la vidi suonare difficilmente si ripeterà, ma è sempre un piacere vederla in azione.
Purtroppo qualche inconveniente tecnico ritarda l’inizio del concerto dell’artista capitolina, e mi catapulto perciò davanti agli Unida di John Garcia. John. Garcia. Ho già detto tutto. Mentre il resto della band suona con un sorriso stampato il più del tempo sul volto, Garcia pare più concentrato, si muove avanti e indietro sul palco e fa dondolare l’asta del microfono come stesse tenendo una donna tra le braccia. Concerto impeccabile, che non può che ripescare i brani del loro classico “Copying with the Urban Coyote”, disco che oggi compie ben 15 anni, insieme a “Red” dallo split coi Dozer dello stesso anno (1999) e un paio di estratti (“Puppet Man”, “Hangman’s Daughter”) da quel “The Great Divide” (2001) registrato ma mai pubblicato in via ufficiale – ma che i fan del gruppo ovviamente posseggono in qualche maniera.
Dalle parti della Gabbia tutto procede molto bene, in realtà, ed è quindi scongiurato il timore che la sovrapposizione degli ultimi due concerti sposti tutto l’interesse dei presenti verso i palco principale: sono in molti, infatti, assiepati intorno a Lili Refrain, ed è chiaro come sia riuscita a costruirsi un seguito di fedeli ammiratori; la parte difficile ora è mantenerlo, ma le premesse sono più che buone.
Delirio post-concerto insieme a Arthur Seay (chitarra) e Miguel Cancino (batteria) degli Unida
Esaurite le note ‘suonate’, non è ancora tempo di levare le tende. Gli Unida scendono tra i comuni mortali, e raggiungono il banchetto del merch, dove sono letteralmente presi d’assalto, a partire da un John Garcia che è il primo a defilarsi, mentre i restanti tre resteranno al nostro fianco fino alle battute finali.
Volendo stilare un bilancio di metà anno, e tralasciando gli inarrivabili Desertfest e Roadburn, questo mini-festival rappresenta ad oggi il picco di una stagione concertistica che già ha dato molto, e che è destinata ad offrire ancor di più il prossimo autunno. Fate un giro sulle pagine internet di Solomacello e dell’agenzia di booking Hard Staff e non tarderete a scoprire quali meraviglie musicali ci attendono nel giro di una manciata di mesi!
Ecco la galleria fotografica completa!